mercoledì 17 ottobre 2018

IL TERRITORIO FERRARESE




IL TERRITORIO FERRARESE.
 
Come tutta la pianura padana, il territorio ferrarese  è formato dai sedimenti quaternari con i quali il Po ed i suoi affluenti hanno colmato il grande golfo marino di età  pliocenica (1).  Per effetto della ridotta energia dei corsi d’acqua, i depositi sono costituiti da sabbie e argille, dunque da sedimenti fini o finissimi: le prime depositate in enormi quantità in corrispondenza degli alvei, che sono dunque pensili, cioè sopraelevati sulla pianura circostante, e ai lati degli stessi dove hanno formato gli argini naturali dei corsi d’acqua; le seconde depositate, invece, dalle alluvioni dei fiumi nelle aree di pianure ad essi interposte. Queste ultime erano, inoltre, prima degli interventi di bonifica, in gran parte acquitrinose, non riuscendo le acque a trovare uno sfogo spontaneo a causa della natura pensile dei fiumi maggiori e per la marcata tendenza all’interrimento di quelli secondari. Il territorio ferrarese era un ininterrotto susseguirsi di acquitrini, con pochi lembi di pianura relativamente indenni dall’impaludamento e mai, comunque, al riparo dal rischio di rovinose esondazioni dei corsi d’acqua.
Sempre determinanti sono state le divagazioni del corso principale del Po. Agli inizi del primo millennio avanti Cristo il fiume sfociava nel mare Adriatico con due rami principali: quello più settentrionale corrispondeva pressappoco all’attuale corso del fiume Tartaro (2), mentre il ramo meridionale scorreva tra Bondeno e Ferrara per dividersi ulteriormente, poco a valle di quest’ultima, nei due rami di Olana e di Spina (detto anche Padòa o Padusa)
 Attorno all’VIII secolo a.C., il ramo settentrionale perse importanza in seguito ad una rotta presso Sèrmide che ne deviò le acque nell’alveo del ramo di mezzogiorno, dove confluivano poco a valle di Bondeno. Venne così a configurarsi una situazione destinata a durare, nelle sue linee essenziali, per molti secoli: quella di un Po che, piegando tra Sèrmide e Bondeno decisamente a sud e scorrendo poi verso il mare in direzione sud-est, veniva a limitare a meridione gran parte del territorio dell’odierna provincia di  Ferrara anziché a settentrione come avviene oggi. Presso la foce del fiume sorgeva la città greco-etrusca di Spina, importante centro di commerci tra le più avanzate civiltà dell’area mediterranea ed i popoli dell’entroterra, fiorente soprattutto tra il  VI ed il IV secolo a.C..
 La colonizzazione romana avviene in un periodo in cui l’idrografia si è relativamente assestata, senza grossi cambiamenti rispetto all’epoca etrusca; il costante apporto di sedimenti del Po ha da tempo causato l’interrimento del porto di Spina ed il suo definitivo tramonto, ed al tempo stesso ha portato alla formazione di un primo vero delta, all’incirca nella zona oggi compresa tra Comacchio e la foce del Reno, dunque molto più a sud del delta attuale. 
 
(1) -  Il Pliocene è un'epoca della scala delle ere geologiche, la seconda delle quattro che compongono il Neogene. Il nome deriva dal greco pléion ("più") e kainòs ("recente"), e ha un significato traducibile in grosso modo come "continuazione del nuovo". Il nome fu scelto da Charles Lyell e si riferisce alla natura già sostanzialmente moderna dei molluschi marini dell'epoca. Il Pliocene copre l'arco di tempo compreso fra 5,2 milioni di anni fa (fine del Miocene) e 1,8 milioni di anni fa (inizio del Pleistocene)
(2) -  Il fiume Tartaro è l'unico fiume che sbocca fra l'Adige ed il Po nel mar Adriatico. È uno dei pochi fiumi italiani che nasce in pianura da polle assieme ai suoi affluenti. Il tratto finale del suo corso è artificiale e prende il nome di Canalbianco o Canal Bianco.


Al I secolo d.C. risale il primo importante intervento dell’uomo sull’ecosistema deltizio, lo scavo della fossa Augusta, che univa il porto di Ravenna al Po di Spina. I Romani avevano anche tracciato, sin dal II secolo a.C., grandi vie di comunicazione attraverso il territorio ferrarese: lungo la costa la Via Popilia, in direzione sud-nord, e nell’interno, in diagonale, la Via Emilia Altinate, lungo la quale si trovava l’abitato di Vicus Varianus , oggi Vigarano Pieve.
Il più importante insediamento romano di cui abbiamo conoscenza non sorgeva però lungo queste arterie, ma in corrispondenza di uno snodo di vie d’acqua: conosciuta sia con il nome di Vercellae che con quello di Vicus Habentia, l’attuale Voghenza, frazione del comune di Voghiera (Vicus Iriae), fu centro fiorente in epoca imperiale, quindi sede della prima diocesi ferrarese dal 330 al 657, quando fu distrutta dai Longobardi e iniziò a levarsi l’astro del capoluogo Ferrara.
Nell’alto Medioevo l’assetto idrografico del territorio tornò a cambiare. L’Olana, uno dei due rami in cui si divideva il Po a valle di Ferrara, abbandonò il vecchio tracciato orientato verso nord-est per riversarsi in un ramo fino ad allora secondario che defluiva sinuosamente da ovest ad est e che diventerà il Po di Volano; lungo il suo corso sorgerà Caput Gauri (Codigoro), così detta perché situata nel punto in cui si staccava dal Volano la diramazione del Gaurus o Po di Goro, e presso la foce si insedierà l’abbazia di Pomposa, destinata ad esercitare un ruolo di primaria importanza nella civiltà dell’occidente cristiano. Intanto, nel 709, l’esarca di Ravenna, Felice, fa aprire un varco nel corso principale del Po, subito a valle di Ferrara: le acque defluiranno verso sud, quindi verso Argenta ed il mare, creando il corso detto di Primaro. Il Po, dunque, continuava a defluire verso il mare lungo due direttrici principali, ma queste non erano più l’Olana e e il Padòa o Padusa, bensì i due rami del Volano e del Primaro, posti più a sud dei precedenti.
Ma un altro fenomeno, destinato ad avere ripercussioni fin quasi ai nostri giorni, si verificò in conseguenza del nuovo assetto idrogeologico: il Panaro ed il Reno, che fino al tempo dei Romani scaricavano le proprie acque nel Po, non riuscirono più a trovare sfogo nel grande fiume, che in conseguenza del volume particolarmente ingente di acque e di sedimenti si era costruito un alveo pensile e quai inviolabile, e formarono pertanto estesi impaludamenti sulla sua destra idrografica. Gli interventi dell’uomo che si succederanno nel corso dei secoli nel tentativo di risolvere il problema non saranno coronati da successo che nei prima anni del novecento.
Un aumento del regime delle precipitazioni determinò, attorno al 1152, una serie di rotte rovinose del Po a monte di Bondeno e precisamente nei pressi di Ficarolo. La furia delle acque aprì un nuovo corso nella pianura a nord di Ferrara, corso che diventerà più importante di quello vecchio che lambiva la città capoluogo e che da questo momento fu detto appunto di Ferrara. La città estense veniva così ad essere difesa a nord dal Po Grande (come sarà chiamato per l’ingente volume d’acqua)  e a sud dagli impaludamenti che si estendevano sulla destra idrografica del Po di Ferrara che si biforcava nei rami di Volano e Primaro.
I fronti verso i quali si rivolgono le attenzioni dapprima della Signoria Estense e poi del Governo Pontificio, sono in sostanza due: la bonifica delle terre basse o polesini, interposte ai terrapieni degli alvei pensili dei maggiori corsi d’acqua, e la questione del Reno, fonte di plurisecolari attriti con i bolognesi, che non riusciva più a trovare uno sfogo naturale nel Po. Ma è soprattutto con la necessità di ripopolare il contado ferrarese, flagellato dalla Peste Nera (1) del 1348 ed in stato di abbandono, che vengono avviate da Borso d’Este (2) e dai suoi successori le prime sistematiche bonifiche del territorio. I polesini che circondavano il capoluogo al di qua del corso del Po di Ferrara-Primaro erano tre: quello di Casaglia ad ovest, quello di San Giorgio a sud-est, nel cuneo di campagna interposto tra il Primaro ed il Volano, e quello di San Giovanni Battista, detto anche di Ferrara, a nord-est, tra il Volano ed il Po Grande. Altri grandi appezzamenti di terreno paludoso furono bonificati nelle “possessioni” della Sammartina a sud-ovest di Ferrara, per iniziativa di Ercole I (3).
Per tali bonifiche si ricorse in genere al sistema dello scolo naturale delle acque, scavando un canale collettore delle acque del comprensorio da bonificare, che doveva essere previamente delimitato da un argine circondario artificiale. L’impresa era impegnativa soprattutto perché il livello dei terreni, più basso delle quote di piena dei fiumi circostanti, imponeva un tracciato molto lungo del canale stesso, affinché potesse riversare per gravità le acque di scolo in un corpo idrico posto ad una quota inferiore. Precari furono i risultati della bonifica della Sammartina il cui collettore dovette essere prolungato addirittura sino a Traghetto, dove si riversava nel Primaro; la bonifica era però sempre esposta alla minaccia di inondazione del Reno il Governo Pontificio tentò anche di sfruttare i volumi di piena del fiume, fatto esondare di proposito nella possessione, al fine di aumentare la quota di livello del suolo per colmata, facendovi cioè depositare l’abbondante detrito in sospensione.


(1) - Con il termine di Peste nera (o Grande morte o Morte nera) ci si riferisce normalmente alla         epidemia che imperversò in tutta Europa tra il 1347 e il 1352 uccidendo almeno un terzo della popolazione del continente.


(2) -  Borso d'Este (1413 – 20 agosto 1471) fu un figlio illegittimo di Niccolò III d'Este, marchese di Ferrara, duca di Modena e Reggio, e della favorita del marchese, Stella de' Tolomei, nota anche con il nome di Stella dell'Assassino. Borso il 18 maggio 1452 ricevette i feudi di Reggio e Modena dall'Imperatore Federico III come duca. Il 14 aprile 1471 il papa Paolo II lo nominò duca di Ferrara.


(3) -  Ercole I d'Este (Ferrara, 26 ottobre 1431 – Ferrara, 15 giugno 1505) fu duca di Ferrara dal 1471 al 1505 e uno dei principali mecenati e uomini di cultura del Rinascimento. Dopo la morte del fratellastro Borso, nel 1471 divenne duca e sposò Eleonora d'Aragona, figlia di Ferdinando I di Napoli.
 

Sistemazione idraulica del territorio di San Bartolomeo in Bosco.
Mappa del 1778 del perito Ambrogio Baruffaldi.