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martedì 8 aprile 2025

TALASSEMIA - L'IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE E DELLA DONAZIONE DI SANGUE

 TALASSEMIA - L'IMPORTANZA DELLA PREVENZIONE E DELLA DONAZIONE DI SANGUE

 


 


 


 

sabato 20 luglio 2024

AVIS - ASSOCIAZIONE VOLONTARI ITALIANI DEL SANGUE

 Oggi una mia conoscente affetta da grave malattia genetica mi ha comunicato che non ha potuto effettuare le trasfusioni necessarie per continuare a vivere per mancanza di sangue.

Perchè non diventi donatore anche tu?

Sono già tante, ma non sufficienti,  le persone che con un piccolo gesto danno la possibilità di continuare a vivere a chi è affetto da gravi malattie. A tutte queste persone il mio più grande riconoscimento e ringraziamento.

Nonno Kucco



PERCHE' DONARE SANGUE

Il sangue è un insostituibile alleato negli interventi chirurgici e ortopedici, nella cura delle ustioni e delle emorragie, nei trapianti di organi e tessuti, nella cura di malattie gravi quali tumori, leucemie, anemie croniche.

 

DIVENTARE DONATORE:

Come ottenere l’idoneità

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Se risulti idoneo, sei pronto per la tua prima donazione.

 

Per approfondire:

https://www.avis.it/

https://www.avis.it/chi-siamo/dati-donazioni/ 

sabato 22 giugno 2024

LORETA PIETRO

 LORETA PIETRO

Da: https://storiaememoriadibologna.it/archivio/persone/loreta-pietro

 

Nato a Ravenna da famiglia nobile trasferitasi poi a Bologna, fin da ragazzo coltivò ideali patriottici; partecipò alla battaglia dell'8 agosto 1848 alla testa del Battaglione della Speranza, una formazione istituita per addestrare gli adolescenti alla vita militare e l'anno successivo, durante la Repubblica Romana, fu capitano della Guardia Civica. Nel 1850 si iscrisse alla facoltà di Medicina e chirurgia e durante l'epidemia di colera del 1855 si offrì come volontario per prestare servizio nel lazzaretto, rimanendovi per tutto il periodo del contagio. Laureatosi in chirurgia nel 1856 e in medicina nel 1858, iniziò a lavorare come medico condotto nelle Marche finché, nel 1861, l'anatomista Luigi Calori non lo richiamò a Bologna, per collaborare con lui come dissettore anatomico. In quegli anni ricoprì anche il ruolo di maggiore chirurgo della Cavalleria della Guardia Nazionale.

Nel 1866 partecipò alla terza Guerra di Indipendenza come ufficiale medico dei volontari garibaldini e si distinse particolarmente nella battaglia di Ampola, venendo promosso capitano e ricevendo una medaglia al valore. L'anno dopo fu nominato chirurgo a Fermo, ma già alla fine del 1868 veniva chiamato dall'Università di Bologna per insegnare clinica chirurgica e dirigere il relativo istituto, iniziando così la sua carriera accademica; nel 1871 fu nominato ordinario di Clinica chirurgica, succedendo a Francesco Rizzoli; dal 1878 al 1881 insegnò inoltre patologia speciale chirurgica e dal 1885 fu presidente della Società Medico-chirurgica di Bologna. Chirurgo abile, al tempo stesso ardito e prudente, Loreta eseguì interventi in tutti i settori della chirurgia, soprattutto all'addome: da segnalare quello su un aneurisma dell'aorta addominale (1884) e la prima resezione di un lobo del fegato (1887); ideò e costruì inoltre nuovi strumenti chirurgici per adattarli alle proprie tecniche, pubblicando poi i risultati dei suoi lavori in numerosi articoli di carattere innovativo, ricevendone premi e riconoscimenti. Venne nominato commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia, e nel 1887 fu eletto deputato (sul suo nome convennero i due schieramenti, moderato e progressista), anche se partecipò poco ai lavori del Parlamento. In occasione dell'Esposizione Emiliana (1888) fu membro del Comitato esecutivo e Presidente della Commissione per organizzare il Tempio del Risorgimento. Negli ultimi anni il suo carattere introverso e cupo si accentuò, fino a degenerare in vera e propria mania di persecuzione: giunse a isolarsi da tutti, entrando in contrasto coi suoi assistenti, e infine si tolse la vita. Nel 1892 gli fu dedicato un ricordo in marmo nell'anfiteatro della Clinica Chirurgica dell'Ospedale Sant'Orsola, e nel 1931 fu posta una lapide sulla casa dove abitò e morì, in via Santo Stefano. Anche una strada cittadina, nei pressi dello stesso Ospedale, è intitolata a Loreta. Presso il Museo del Risorgimento è infine conservata – oltre ad alcuni suoi documenti - l'uniforme garibaldina che utilizzò nel 1866.

Otello Sangiorgi

 

 Foto scattata il 21 giugno 2024 nell'atrio del Padiglione 27 dell'Ospedale S.Orsola di Bologna.


 

venerdì 26 aprile 2024

TERAPIA GENICA SU ANEMIA FALCIFORME E TALASSEMIA

 From: https://www.ansa.it/canale_saluteebenessere/notizie/medicina/2024/02/13/via-libera-ue-a-terapia-genica-su-anemia-falciforme-e-talassemia_593ff670-be78-4e7f-b167-d3e13561d1e1.html

Via libera dell'Ue a una terapia genica su anemia falciforme e talassemia. 


ROMA, 13 febbraio 2024
Redazione ANSA

La Commissione Europea ha approvato una nuova terapia genica per il trattamento della beta-talassemia e dell'anemia falciforme.

Il trattamento "ha il potenziale per trasformare la vita dei pazienti affetti da queste due patologie; ora è importante che questa terapia sia messa rapidamente a disposizione dei pazienti eleggibili", ha affermato Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di Ematologia e Oncologia Pediatrica dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e sperimentatore principale di due degli studi che hanno portato all'approvazione.

 L'anemia falciforme e la beta talassemia sono entrambe malattie ereditaria del sangue che colpiscono i globuli rossi inficiando la loro capacità di trasportare l'ossigeno agli organi e i tessuti del corpo. Entrambe richiedono un trattamento a vita e causano una diminuzione della qualità e dell'aspettativa di vita. Attualmente, una delle possibili potenziali cure è il trapianto di cellule staminali da donatore compatibile, ma questa opzione è disponibile solo per una piccola percentuale di pazienti. 

 La nuova terapia il cui nome è exagamglogene autotemcel [exa-cel] è la prima terapia di editing genico basata sul sistema CRISPR/Cas9. Questa tecnologia consente di modificare geneticamente le cellule staminali e progenitrici ematopoietiche del paziente portando alla produzione di alti livelli di emoglobina fetale nei globuli rossi. Nelle sperimentazioni, il trattamento ha ridotto o eliminato le crisi vaso-occlusive e ridotto la necessità di trasfusioni.
    Il prodotto potrà essere utilizzato nei pazienti con almeno 12 anni affetti da beta-talassemia dipendente dalle trasfusioni o da anemia falciforme severa caratterizzata da crisi vaso-occlusive ricorrenti, per i quali è appropriato il trapianto di cellule staminali ematopoietiche ma non è disponibile un donatore consanguineo compatibile. Si stima che siano circa 8 mila i pazienti in Europa potenzialmente eleggibili al trattamento.  


From: https://www.rainews.it/tgr/lazio/articoli/2024/04/bambino-gesu-roma-locatelli-editing-del-genoma-guariti-da-talessemia-e-anemia-falciforme-grazie-alle-forbici-molecolari-8be7ce0f-7686-4ed4-bd71-345a91aff321.html

Editing del genoma, guariti da talessemia e anemia falciforme grazie alle forbici molecolari

Nell'esperimento coinvolto anche il Bambino Gesù. Il prof. Locatelli, che ha coordinato la sperimentazione sulla talassemia: “Una pietra miliare nella storia del trattamento di queste patologie”

 
 
Trovata una cura sperimentale che sembra dare speranza a chi soffre di talassemia

Guariti grazie alle “forbici” molecolari in grado di correggere i difetti del DNA. Sono i pazienti con talassemia e anemia falciforme coinvolti in due studi internazionali, pubblicati ora sullo stesso fascicolo della rivista New England Journal of Medicine, che hanno visto l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù tra i centri di ricerca protagonisti della sperimentazione, basata sulla tecnica di editing genetico nota con il nome di CRISPR-Cas9.

 Il 91% dei pazienti talassemici – documentano gli studi – ha raggiunto l’indipendenza dalle trasfusioni periodiche, che per i soggetti con affetti da questa malattia sono necessarie per mantenere adeguati i valori di emoglobina nel sangue. Il 97% dei pazienti con anemia falciforme è divenuto invece libero dalle crisi vaso-occlusive, che possono provocare complicanze gravi e fortemente invalidanti. Per il prof. Franco Locatelli, che ha coordinato in particolare la sperimentazione sulla talassemia, si tratta di «una pietra miliare nella storia del trattamento di queste patologie»
 

L’EDITING DEL GENOMA
L’editing del genoma con il sistema CRISPR-Cas9 è una tecnologia innovativa che valse il Nobel per la Chimica nel 2020 alle scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna. Funziona come un “correttore” del DNA ad altissima precisione. Il metodo si basa sull’impiego della proteina Cas9, una sorta di forbice molecolare che viene programmata per tagliare o modificare specifiche sequenze del DNA di una cellula, potendo così portare – potenzialmente – alla correzione di varie malattie. CRISPR-Cas9 è un complesso di molecole biologiche formato da frammenti di RNA (acido ribonucleico) e da proteine: il segmento di RNA è la bussola che indica il bersaglio da colpire, la proteina Cas9 esegue il taglio o la modifica. Le cellule prelevate dalla persona malata vengono “corrette” in laboratorio con questo approccio, poi vengono infuse nell’organismo dove si riproducono al posto di quelle difettose.
 

TALASSEMIA E ANEMIA FALCIFORME
La talassemia e l’anemia falciforme sono le due malattie ereditarie del sangue più frequenti al mondo. In Italia si contano 7000 pazienti talassemici, che dipendono regolarmente da trasfusioni, mentre i pazienti falcemici si stima che siano circa mille, a fronte di 300.000 nuovi nati nel mondo ogni anno. 100.000 i falcemici che vivono negli Stati Uniti d’America, ma il 75% dei bambini con questa patologia nasce nell’Africa Subsahariana. A differenza dei falcemici che nascono nei paesi economicamente più avanzati, con una prospettiva di vita intorno ai 50 anni, la loro probabilità di sopravvivenza difficilmente va oltre i 20-25 anni, per le complicanze legate alla loro condizione.
Entrambe le patologie sono causate dalle mutazioni dei geni coinvolti nella sintesi delle catene dell'emoglobina, la proteina dei globuli rossi che trasporta ossigeno nell’organismo. Normalmente, nei soggetti adulti, ogni molecola di emoglobina è formata da 4 catene proteiche: 2 catene alfa e 2 catene beta. Nelle forme più gravi di talassemia il problema è l’assenza o la marcatamente ridotta produzione di catene beta, che rende inadeguati i livelli di emoglobina nel sangue tanto da dover ricorrere regolarmente a trasfusioni in media ogni tre settimane e assumere tutti i giorni un farmaco in grado di eliminare il ferro che altrimenti si accumulerebbe. Nonostante vi sia stato nel tempo un indiscutibile miglioramento nelle prospettive di sopravvivenza di questi pazienti, di fatto essa rimane ancora oggi di 20-25 anni inferiore rispetto a quella della popolazione sana. Con in più lo sviluppo, spesso, di complicanze legate al sovraccarico di ferro, che possono essere di tipo endocrinologico (diabete, ipotiroidismo o ridotta fertilità), cardiologico o epatologico (fibrosi e addirittura cirrosi).
Nell’anemia falciforme, invece, non è la quantità ma l’alterazione della struttura delle catene beta che porta alla formazione di globuli rossi anomali, a falce, che ostacolano flusso sanguigno e ossigenazione nei capillari provocando crisi vaso-occlusive che possono determinare eventi celebro-vascolari acuti, ipertensione polmonare, patologie renali o quadri di ridotta funzione della milza. Anche in questo campo i progressi della terapia medica sono stati importanti. Ma pure a fronte di questi miglioramenti, difficilmente la prospettiva di vita dei soggetti falcemici supera i 50-55 anni con complicanze, per alcuni di loro, fortemente invalidanti che si sviluppano anche in età relativamente giovane.
 

LE FORBICI MOLECOLARI SUL GENE BCL11A
Le due sperimentazioni internazionali, promosse da Vertex Pharmaceuticals e Crispr Therapeutics, si basano sull’osservazione di un gene, che si chiama BCL11A, che svolge un ruolo fondamentale nella produzione di emoglobina nel sangue al termine della vita fetale. Quella presente nel feto, infatti, è un tipo di emoglobina diversa (chiamata appunto emoglobina fetale), formata non da catene alfa-beta, ma da catene alfa-gamma. Questa specifica molecola di emoglobina viene progressivamente sostituita a partire dalla nascita, quando si attiva un meccanismo, guidato dal gene BCL11A, che blocca la sintesi delle catene gamma con la produzione, al loro posto, delle catene beta, responsabili della malattia nei pazienti con talassemia e anemia falciforme.
Il trattamento sperimentato nei due trial internazionali si basa proprio sul ripristino della sintesi dell’emoglobina fetale tramite l’editing del genoma. Le cellule staminali emopoietiche dei pazienti, prelevate tramite aferesi e selezionate, vengono modificate in appositi laboratori con il sistema CRISPR-Cas9 programmato per “spegnere” il gene BCL11A e far ripartire la produzione di emoglobina fetale alfa-gamma, con i benefici attesi. Dopo questa manipolazione genetica, le cellule modificate vengono infuse nei pazienti che nel frattempo sono stati sottoposti a una terapia farmacologica per “distruggere” il midollo, in modo da fare spazio alle nuove cellule staminali ingegnerizzate che si moltiplicheranno correggendo la malattia.
Sul NEJM nel 2021 erano stati pubblicati i casi di un paziente talassemico e di un paziente falcemico trattati con questo approccio, come dimostrazione “di principio” dell'efficacia della terapia. Già allora l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù era coinvolto nella sperimentazione, che è poi proseguita con lo sviluppo dei due studi multicentrici chiamati CLIMB-111 e CLIMB-121, entrambi pubblicati oggi, dove sono stati arruolati numerosi pazienti di età compresa tra i 12 e i 35 anni trattati con questo approccio. Per il primo studio, dedicato ai pazienti con talassemia, l’Ospedale pediatrico della Santa Sede è stato il centro di coordinamento internazionale, con il prof. Franco Locatelli prima firma, avendo coordinato lo studio e reclutato il maggior numero di pazienti. Per il secondo studio, dedicato ai pazienti con anemia falciforme, patologia che impatta soprattutto sui soggetti di colore, il Bambino Gesù è stato il secondo centro internazionale per arruolamento di pazienti, nonostante la partecipazione di numerosi centri statunitensi.
 

I RISULTATI DEGLI STUDI CLIMB-111 E CLIMB-121
Lo studio CLIMB-111 ha coinvolto a livello internazionale 52 pazienti con talassemia di cui 14 arruolati dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. 35 pazienti avevano un follow up di 16 mesi, considerato sufficiente per valutare l’efficacia dell’approccio al momento della presentazione dei risultati. 32 su 35 avevano ottenuto la completa indipendenza trasfusionale, pari a una percentuale di poco superiore al 91%. Se si estendono i tempi del follow up, tutti e 52 i pazienti coinvolti nello studio hanno ottenuto l’indipendenza trasfusionale, definita come un valore di emoglobina maggiore o uguale a 9 grammi per decilitro di sangue per almeno un anno di tempo. Il valore medio di
emoglobina registrato nei pazienti è stato infatti pari a 13,1 grammi per decilitro (11.9 grammi di emoglobina fetale). Sono valori persino superiori di quelli osservati nei genitori, che sono portatori del carattere di questa patologia autosomica recessiva (un figlio su quattro eredita la malattia). Valori che persistono nel tempo, perché i livelli di emoglobina registrati non diminuiscono nei pazienti con più lungo follow up (4 anni fa la prima infusione) e anche la presenza delle cellule editate, sia nel sangue periferico che nel midollo, non cambia nel tempo e si mantiene stabile. Il profilo di sicurezza, infine, è del tutto congruente con quello di un trapianto autologo e decisamente migliore rispetto a quello che si associa al trapianto allogenico, che infatti anche prima della messa a punto di questa nuova terapia veniva limitato ai soggetti sino ai 12-14 anni, perché sopra questa fascia di età i rischi del trapianto diventavano troppo elevati.
Nello studio CLIMB-121 sulle anemie a cellule falciformi sono stati inclusi 44 pazienti (7 arruolati dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù) anch’essi tra i 18 e i 35 anni, con età media di 21 anni. In questo caso, l’obiettivo atteso non era l’indipendenza dalle trasfusioni, ma l’assenza di episodi vaso-occlusivi per almeno 12 mesi consecutivi. 30 di questi pazienti avevano un follow up sufficiente per essere valutati. 29 di loro, pari al 97%, sono diventati liberi da crisi vaso-occlusive. Anche in questo caso i livelli di emoglobina di questi pazienti sono decisamente buoni, con una percentuale di emoglobina fetale superiore al 40%. Ed anche in questo caso il beneficio risulta sostenuto nel tempo.
DUE NUOVE SPERIMENTAZIONI SUI MINORI DI 12 ANNI
Alla luce di questi dati l’editing genetico con CRISPR-Cas9 per il trattamento di talassemia e anemia falciforme si presenta oggi come un’opzione terapeutica che funziona e che può essere offerta teoricamente ad ogni paziente, perché non è condizionata dalla necessità di avere un donatore compatibile (ogni paziente serve da donatore di sé stesso). La terapia è stata approvata dalla Food and Drug Administration e dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) per i pazienti di età superiore ai 12 anni. Per i pazienti di età inferiore ai 12 anni sono in corso due nuove sperimentazioni all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, che ha già trattato due bambini talassemici e due bambini falcemici con risultati incoraggianti, a conferma dell’efficacia della terapia indipendentemente dall’età del soggetto.
“UNA PIETRA MILIARE”
Per il prof. Franco Locatelli, responsabile dell’area clinica e di ricerca di Oncoematologia, Terapia Cellulare, Terapie Geniche e Trapianto Emopoietico del Bambino Gesù di Roma: «La pubblicazione congiunta dei due studi su una rivista come il New England Journal of Medicine rappresenta una sorta di pietra miliare per quello che è il cambiamento di scenario terapeutico e il potenziale definitivamente curativo di queste due patologie così diffuse nel mondo. Un risultato che dimostra una volta di più la capacità e la determinazione dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù nell'investire in terapie innovative in grado di cambiare la storia naturale di malattie così complesse. Questi studi testimoniano come l'Ospedale presti attenzione a tutto quello che può cambiare la probabilità di sopravvivenza e la qualità di vita dei malati affetti da malattie genetiche».

Nel servizio di Filippo Pala, montaggio di Mariangela Fedele, l'intervista a Franco Locatelli - Responsabile Oncoematologia e Terapia Cellulare Ospedale Bambino Gesù 

 

giovedì 25 aprile 2024

THALASSEMIA

 THALASSEMIA

 

Notizie tratte da:

https://www.thalassemicibari.it/la-thalassemia/ 

Cosa è la Thalassemia

La talassemia conosciuta anche come anemia mediterranea è una malattia genetica ereditaria che provoca una malformazione nella struttura dei globuli rossi.

Anemia Mediterranea, Malattia di Cooley, Beta Talassemia, Talassemia Major: termini diversi per indicare una grave forma di anemia emolitica, ossia di una malattia dei globuli rossi carenti di emoglobina, esposti a una continua e rapida distruzione.

La talassemia è nota anche come anemia mediterranea a causa della distribuzione geografica: la talassemia si verifica più spesso nelle persone di origine italiana, greca, medio-orientale, sud-asiatica ed africana.

distribuzione geografica talassemia

In Italia ci sono circa 7000 pazienti di cui circa 800 in Puglia e circa 100 nella provincia di Bari.

distribuzione geografica talassemia in Italia

Cause della malattia

La causa della talassemia è rappresentata dalla presenza di difetti nei geni dell’emoglobina, a livello del DNA: l’unico modo per contrarre la talassemia è ereditare uno o più geni di emoglobina difettosi dai propri genitori.

Le malattie genetiche sono causate da un’alterazione del patrimonio genetico di un individuo (DNA) che si evidenzia in difetti più o meno gravi; sono dette ereditarie quando i difetti del DNA si trasmettono attraverso le generazioni (non in modo contagioso!), coinvolgendo spesso più individui di una stessa famiglia.

Nei casi di queste tipologie di malattie genetiche non accade che tutti i componenti saranno malati, potrebbero esserci individui completamente sani ed altri portatori. La differenza si spiega osservando i geni che caratterizzano ogni individuo.

(Ognuno di noi possiede due geni (pezzetti di DNA) che portano un’informazione sulla stessa caratteristica dell’individuo (ad esempio il colore degli occhi).
Alcune di queste informazioni sono dette dominanti ed altre recessive e differiscono appunto, in base alla caratteristica di riuscire a “predominare” sull’informazione dell’altro gene. Facciamo un esempio: “un gene degli occhi marroni” è predominante rispetto ad “un gene degli occhi azzurri” quindi un individuo avente entrambi questi geni avrà gli occhi marroni.
Per avere gli occhi azzurri sarà quindi necessario avere entrambi i geni con la stessa informazione: occhi azzurri.)

Questa spiegazione sta alla base della spiegazione su individui sani, malati e portatori per le talassemie .

In considerazione di questo, quindi, possiamo dedurre che 2 genitori sani potranno avere il 100% dei figli sani e 2 genitori malati potranno avere il 100% dei figli malati.

Il paziente e la terapia

Le tappe evolutive nella cura della talassemia: ieri una malattia a prognosi funesta, oggi una condizione compatibile con una lunga sopravvivenza.

La terapia attualmente in uso consiste in frequenti trasfusioni di sangue, mediamente ogni 15 giorni. Queste comportano un accumulo di ferro nel cuore, nel fegato e nelle ghiandole endocrine che, per essere eliminato, necessita della somministrazione di farmaci ferrochelanti.
Nonostante i notevoli progressi della terapia convenzionale, non si può ancora parlare di guarigione definitiva dalla Talassemia e dalle emoglobinopatie.

Il percorso del progresso terapeutico non è completo: a breve termine i farmaci migliori, e a medio termine le terapie geniche, sono destinati a migliorare ulteriormente le prospettive di vita dei pazienti.

Le trasfusioni di sangue

Quello che consente al paziente talassemico di vivere è ricevere per tutta la sua vita trasfusioni di sangue.

Il paziente talassemico esegue mediamente due trasfusioni di sangue al mese e relative visite di controllo. Ovviamente questa procedura costituisce un rimedio transitorio: i nuovi globuli rossi si legano comunque all’emoglobina alterata, prodotta dal midollo osseo, e subiscono invariabilmente il processo di distruzione precoce
Si presenta però il problema dell’accumulo di ferro che si libera dall’emoglobina, passa nel circolo sanguigno e va a depositarsi in vari organi — soprattutto fegato, cuore, pancreas — danneggiandone inesorabilmente la funzione.

La compatibilità

Quindi da quanto scritto sopra si evince quanto sia importante DONARE SANGUE, per cui:

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A V I S - ASSOCIAZIONE VOLONTARI ITALIANI SANGUE

 


PERCHE' DONARE SANGUE

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mercoledì 5 aprile 2017

Rieducazione Posturale Globale | Bellia Rosario



Rieducazione Posturale Globale

Rieducazione Posturale Globale
  
La Rieducazione Posturale Globale è un importante e rivoluzionario metodo riabilitativo che nasce da studi, ricerche biomeccaniche e neurofisiologiche del Professor Philippe E. Souchard.
Tale metodo prevede un riallungamento dei muscoli antigravitari. Questi sono sottoposti ad una attività contrattile continua e prolungata sia per assicurare la coattazione articolare dei vari segmenti corporei, sia per mantenere le posture e garantire l'equilibrio generale durante il moto.
La postura è la posizione che il nostro corpo occupa nello spazio grazie al tono e al pretensionamento dei muscoli statici. Essa dipende dal patrimonio genetico, dalla personalità e dalle afferenze esterne e di adattamento all´ambiente avvenute nel corso della nostra vita.
Quando l'organismo subisce un trauma, uno stimolo doloroso, un condizionamento a una postura fissa e prolungata nel tempo, reagisce innescando un meccanismo che contrae e accorcia la muscolatura tonica. Ciò consente di preservare dal "pericolo" le funzioni egemoni (importanti attività dell'organismo; quest´ultimo per mantenere l'integrità e la sopravvivenza delle stesse, sacrifica altre strutture determinando patologie a carico dell'apparato muscolo-scheletrico).
L'obiettivo della R.p.g. è quello di ripristinare in maniera globale l'equilibrio statico e dinamico del corpo. Il trattamento di tale pratica è qualitativo, basato su posture di stiramento progressivo attivo dei muscoli statici e di natura fibrosa, interamente gestite dal terapeuta con la partecipazione attiva del paziente.
Souchard nell´elaborare questa tecnica prescrive osservanza e rispetto di tre principi fondamentali: individualità, causalità e globalità.
Il concetto di individualità chiarisce che la tecnica non può essere standardizzata, perché ognuno presenta adattamenti differenti in quanto soggetto attivo a livello conscio e inconscio dei propri riflessi.

Il termine causalità sottolinea come lo studio attento del paziente, biomeccanico e non solo, riesce sistematicamente a risalire alla causa del dolore, eliminando tutti i compensi messi in atto nel tempo.
Il principio della globalità si rifà all'oggettività: per ricreare l'equilibrio perduto è necessario lavorare attivamente su tutta la struttura osteomuscolare. È evidente, quindi, quanto sia importante combattere ogni tipo di patologia agendo sul corpo nella più totale globalità, al fine di eliminare dolore e causa del sintomo.
Sotto l'aspetto scientifico è estremamente importante studiare il paziente dal punto di vista della biomeccanica, aspetto che consentirà d'individuare i "tiranti muscolari" responsabili dello squilibrio strutturale.

Durante il processo di riprogrammazione posturale, la morfologia del paziente viene messa di continuo a confronto con un modello detto "biotipo di riferimento", nel quale le curve fisiologiche sono teoricamente esatte, con lo scopo di agire globalmente per riequilibrare tutto il sistema muscolare, allentando la tensione delle catene muscolari contratte.

La pratica della Rieducazione Posturale Globale può giovare al portatore di algie vertebrali di origine reumatologica o traumatica, al portatore di dolori e patologie articolari degli arti superiori ed inferiori, a colui che è affetto da contratture muscolari e/o squilibri vertebrali, a colui che presenta delle disfunzioni respiratorie inerenti a dei postumi di traumi e malattie neurologiche, a chi ha delle deviazioni e deformazioni ortopediche (piedi piatti, cavi, ginocchio valgo o varo, ecc.), alla donna in stato interessante, sia in termini preventivi che curativi, e a tanti altri soggetti.
   
[Fonte http://www.trapaniok.it/17919/Salute-trapani/rieducazione-posturale-globale]


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Posted By marco to ECOLOGIC at 4/05/2017 12:42:00 PM

lunedì 20 febbraio 2017

Perché l’avena combatte il colesterolo? - Repubblica.it





Perché l'avena combatte il colesterolo?

Sappiamo da tempo che alcuni cereali, come l'avena, sono alleati importanti nella lotta contro il colesterolo cattivo. Ma come riescono a contrastarne gli effetti? A spiegarlo è un nuovo studio dell'dell'Università del Queensland (in Australia), che ha identificato il preciso meccanismo con cui l'avena riduce la quantità di colesterolo nel sangue, aiutando così a limitare il rischio di malattie cardiache. Una vera e propria chiave di volta che potrebbe portare alla ricerca di altri cereali, come il grano, che abbiano proprietà ed effetti simili.

Quel che si sapeva fino ad oggi è che l'effetto benefico dell'avena è dovuto all'azione del beta-glucano, un polisaccaride solubile che esercita sul nostro organismo diversi effetti positivi, come migliorare la digestione a livello dello stomaco e promuovere la motilità intestinale. Inoltre, secondo uno studio canadese apparso poco tempo fa sul British Journal of Nutrition, il beta-glucano non sarebbe solo in grado di ridurre il colesterolo cattivo (Ldl), ma anche altri due importanti marcatori del rischio cardiovascolare: il cosiddetto colesterolo non-Hdl e l'apolipoproteina B, una proteina addetta al trasporto del colesterolo cattivo ai tessuti attraverso il sangue. "Il beta glucano non è contenuto solamente nell'avena, ma anche in molti altri cereali integrali", spiega Maddalena Lettino, responsabile dell'Unità operativa di Cardiologia dello Scompenso dell'ospedale Humanitas. "Per esempio, l'orzo, il riso integrale e anche la pasta o il pane prodotti con farine meno raffinate, tutti cibi che dovrebbero essere consumati da chi è affetto da ipercolesterolemia".

Quale fosse però il preciso meccanismo con cui i beta-glucani abbassano i livelli di colesterolo nel sangue rimaneva un mistero. Una delle teorie più accreditate proponeva che fosse dovuto alla capacità dei beta-glucani di "ripulire" il nostro organismo dalla bile prodotta durante la digestione. "Si pensava che il nostro organismo fosse così costretto a produrre nuova bile utilizzando il colesterolo, diminuendone così la quantità presente nel flusso sanguigno", spiega Purnima Gunness, una delle ricercatrici che ha collaborato allo studio.

Il nuovo studio invece ha prodotto risultati opposti. Lavorando su dei maiali, i ricercatori hanno infatti dimostrato che i beta-glucani nell'avena riducono la quantità totale di bile presente nell'apparato digestivo: dando ad alcuni degli animali questo cereale per 26 giorni, si è osservata una riduzione del 24% di acili biliari nel sangue. Al contempo, il colesterolo totale è diminuito del 34% e quello Ldl del 57%. Risultati che hanno permesso ai ricercatori di formulare una nuova ipotesi.

"Non siamo ancora perfettamente sicuri del perché, ma in presenza di questi polisaccaridi c'è molta meno bile nell'organismo. Questo significa che i grassi, che la bile aiuta a emulsionare, non vengono digeriti rapidamente o completamente", spiega la ricercatrice. E un minore o più lento assorbimento di grasso, sottolinea Gunness, è un fattore importante che permette di ridurre il colesterolo presente nel sangue. "Ora che sappiamo in che modo i beta-glucani hanno un impatto positivo sui livelli di colesterolo – conclude Gunness – potremo presto identificare altre fibre che possono avere un effetto simile".


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Posted By marco to ECOLOGIC at 2/13/2017 10:44:00 PM

sabato 12 novembre 2016

I MISTERI DELLA PASTA COTTA DUE VOLTE

http://www.ilfattoalimentare.it/pasta-spaghetti-essiccazione-temperatura.html

I misteri della pasta cotta due volte. Prima viene essiccata ad altissime temperature e poi in pentola. Nessuno ne parla, ma la qualità è diversa


Pasta essiccata ad alte temperature (sinistra) e ad altissime temperature a destra (riconoscibile per il tipico colore ambrato)

Oggi gli spaghetti vengono "cotti" due volte: prima a 90-115°C nel pastificio durante la fase di essiccamento e poi a 100°C nella pentola di casa. Sì avete capito bene la temperatura durante il processo di lavorazione della pasta è maggiore rispetto a quella raggiunta dall'acqua di cottura. Il trattamento ad altissime temperature cambia il valore nutrizionale e suscita qualche perplessità tra i nutrizionisti. I sistemi di essiccazione (chiamati HTSt (High Temperature-Short time), VHTs (Very High Temperature-Short time), o anche AT e AAT… con o senza iniezione di vapore), permettono di raggiungere temperature molto elevate e di ridurre i tempi di lavorazione risparmiando notevolmente sui costi. Nessuno vuole parlare di questi trattamenti che però sono diffusi in tutto il mondo e anche in Italia. Non parlano i marchi leader (Barilla, Rummo, La Molisiana…) e anche le catene di supermercati (Coop, Conad, Esselunga, Lidl…). Rifiutano il confronto le tre aziende che vendono in Italia gli impianti (Pavan, Fava e Buhler) e tace anche l'associazione di categoria Aidepi. Abbiamo inviato 19 richieste per avere informazioni con risultati disastrosi. Solo Granoro, Agnesi, Divella, Delverde e con un certo ritardo De Cecco  hanno risposto (vedi nota in fondo all'articolo), dicendo che non usano altissime temperature e indicando quali sono i loro schemi di lavorazione. Difficile capire perché tanti segreti su un aspetto che riguarda il piatto nazionale degli italiani, abituati a mangiarne quasi 30 kg l'anno a persona. Tutto ciò risulta ancora più strano dato che siamo considerati tra i principali produttori mondiali.

Il progressivo incremento della temperatura durante l'essiccazione provoca un danno alle proteine che possono essere distrutte o diventare meno biodisponibili. Il problema riguarda un po' tutti gli aminoacidi essenziali, in particolare la lisina che non solo è essenziale ma, per la pasta rappresenta un fattore limitante (riducendo il valore biologico delle proteine). L'importanza degli aminoacidi essenziali deriva dal fatto che l'uomo non è in grado di sintetizzarli in quantità sufficiente, e quindi devono essere assunti attraverso il cibo.

Il danno delle proteine causato dalle elevate temperature può essere misurato attraverso la furosina
Il danno termico nei confronti delle proteine causato dalle elevate temperature può essere misurato attraverso la quantità di furosina. Secondo quanto riportato in letteratura i valori oscillano da 100 a 200 mg/100 g di proteine, quando le temperature di essiccazione sono inferiori agli 85°C. La pasta con valori di  furosina inferiori a 200, viene considerata un prodotto con un buon indice di qualità nutrizionale, perché la quantità degli aminoacidi essenziali come la lisina resta elevata. Quando facendo le analisi si riscontra un valore di furosina di 5-600,vuol dire che la temperatura di essiccazione è molto elevata e in questi casi la biodisponibilità della lisina subisce un forte ridimensionamento. Considerato che la pasta resta il piatto fondamentale per milioni di italiani, sarebbe opportuno dare un valore nutrizionale differenziato ai vari tipi di pasta in funzione del trattamento subito nella processo industriale.
Per capire meglio bisogna sapere che l'essiccazione della pasta è una fase importante della lavorazione ed in continua evoluzione. Purtroppo la legge italiana prevede solo l'impiego di semola di grano duro per li spaghetti e non regolamenta questo aspetto che è invece molto importante. Se nel 1880 per asciugare gli spaghetti ci volevano 8-10 giorni in estate e 20-30 in inverno, nel 1903 con l'avvento dell'essiccazione meccanica i giorni si riducono a 3-5, e diventano 24-36 ore nel 1950 quando la temperatura di essiccazione raggiunge circa 60°C. L'intervallo dimezza ancora nel 1970 (12-15 ore) quando si superano i 65°C. Nel 1985-90 il termometro arriva a 80-85 °C, le ore diventano 4-6. (3) Con i nuovi macchinari che lavorano ad altissime temperature 90-115°C dopo 2-3 ore la pasta corta è pronta.

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In linea generale una temperatura di essiccazione inferiore ai 60°C limita il danno termico, perché non altera la struttura del glutine e mantiene il più possibile intatte le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del prodotto (1). Le paste migliori artigianali infatti utilizzano l'essiccazione lenta a basse temperature. Nella produzione su scala industriale le temperature medie variano da 60 a 80°C. Poi ci sono molti marchi famosi che operano ad alte e altissime temperature da 90°C in su con punte massime di 115°C. Il problema è che la pasta essiccata a 60°C è diversa da quella lavorata a 80 oppure a 115°C. Per capire meglio basta fare un paragone con il latte che può essere: pastorizzato, pastorizzato di alta qualità, a lunga conservazione o sterilizzato. La tipologia e anche il prezzo cambiano in relazione alla qualità iniziale e soprattutto in base alla temperatura raggiunta durante la lavorazione. Più sale la temperatura, più cambia il sapore e più si riduce il valore nutrizionale e il prezzo. Allo stesso modo la pasta essiccata a basse e medie temperature è diversa da quella che arriva a 115°C. In questo caso il diverso trattamento termico come pure  le differenze nutrizionali non sono evidenziate in etichetta come avviene per il latte.

Aumentare le temperature di essiccazione comporta una notevole riduzione dei tempi di lavorazione e dei costi.
Aumentare le temperature di essiccazione comporta anche una notevole riduzione dei tempi di lavorazione e quindi una riduzione dei costi. Produrre un lotto di spaghetti dopo 20 ore di lavorazione o dopo 2.5-3 ore fa la differenza. L'altro elemento decisivo che incentiva le aziende ad alzare la temperatura, è la possibilità di conferire alla pasta una migliore tenuta in cottura anche se si impiegano semole non eccellenti. Una volta, quando la temperatura di essiccazione arrivava a 60°C, per produrre una buona pasta in grado di assicurare la tenuta in cottura, serviva una semola con un elevato contenuto di proteine e un glutine tenace ed elastico. Adesso la situazione è cambiata. La semola ha un tenore di proteine maggiore rispetto a 40 anni fa anni (i valori oscillano da 12,0 a 14,5% rispetto al 10,5% previsto dalla legge), ma è vero che basta dosare in modo sapiente la temperatura nella fase di essiccazione per garantire sempre un'ottima tenuta in cottura. Oggi infatti tutte le paste che si comprano al supermercato,anche quelle che costano 0,75 €/kg, non scuociono. Alzando la temperatura durante l'essiccazione, il glutine forma un reticolo ben strutturato in grado di trattenere con facilità all'interno le molecole di amido gelatinizzato, e in questo modo la pasta tiene sempre bene la cottura. Certo il colore diventa più intenso e scuro per via della reazione di Maillard (*) ma si tratta di un aspetto che il marketing e la pubblicità hanno trasformato da difetto in pregio. Oggi le paste ambrate piacciono molto al consumatore, anche se il colore è scuro (vedi foto in alto) è dovuto alle altissime temperature che provocano l'ossidazione degli acidi grassi insaturi e la degradazione dei pigmenti carotenoidi. Quando i gradi salgono troppo anche  il gusto viene penalizzato, perché si perdono sostanze aromatiche.


Oggi la pasta non scuoce mai perché viene essiccata al altissime temperature
Nel test condotto da Altroconsumo nel maggio 2016 su 24 tipi di penne rigate, si nota che tutte le marche superano brillantemente la prova cottura e il 95% anche quella di assaggio. Questo avviene perché l'essiccazione ad alte e altissime temperature garantisce il buon risultato sia per la pasta di primo prezzo sia per quelle vendute al triplo. "Il trucco delle altissime temperature funziona ma non fa miracoli" –  ci spiega un capo pastaio che lavora da 25 anni nel settore.
 

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Chi usa semole con un'alta percentuale di proteine e un buon grado di tenacità ed elasticità ed essicca a temperature inferiore a 80°C oppure a 60°C, ottiene un prodotto superiore, ma lo vende anche a prezzo elevato. Gli altri usano semole di qualità corrente e, attraverso le altissime temperature,  raggiungono ugualmente un buon risultato a costi decisamente inferiori. Secondo le ricerche condotte in Italia su questo argomento (1), (2), le differenze tra i pastifici artigianali (dove il processo prevede essiccazione lenta e basse temperature), e industriali (essiccazione veloce e altissime temperature) non sono più così nette. Si ha ragione di ritenere che diverse paste in vendita sul mercato riportino in modo arbitrario scritte come "pasta artigianale" o "lavorazione lenta", "lavorazione artigianale", "essiccata lentamente a basse temperature"…

Sull'etichetta della pasta i consumatori vogliono trovare l'origine del grano
A questo punto viene spontaneo chiedersi qual è il vero significato di molte diciture presenti sulle confezioni e anche nei messaggi pubblicitari. Molti  degli slogan che hanno molta presa sul consumatore, sono privi di significato non essendo riferiti a precisi parametri. I pastifici che vantano produzione lente ed essiccazioni lunghe, dovrebbero indicare in modo chiaro sull'etichetta quali sono i tempi di lavorazione e le temperature in relazione ai valori di furosina che abbiamo indicato in tabella. Altrimenti si tratta di parole prive di significato utili a prendere in giro il consumatore. Una volta riconosciuti  i parametri di furosina che indiciamo in tabella, sarebbe il caso di riportare anche il valore nutrizionale effettivo in relazione alla quantità di aminoacidi essenziali biodisponibili. Gli acquirenti hanno il diritto di sapere se gli spaghetti sono stati "precotti".


Qual è il vero significato di diciture sulle confezioni relative alla  lenta lavorazione e alle basse temperature
Sempre in tema di trasparenza ci sono altri elementi che vorremmo trovare sulle etichette della pasta. La prima è l'origine del grano. Si tratta di una notizia che gli italiani vogliono conoscere, ma che le aziende si ostinano a non indicare adducendo scuse improbabili (in Italia il 30 – 40% del grano utilizzato nei pastifici è importato dall'estero ma nessuno lo dichiara in etichetta, anche se la materia prima straniera è in genere di ottima qualità). Prova di questa ipocrisia è che quando gli spaghetti o i maccheroni sono ottenuti con semola 100% italiana le aziende lo evidenziano in etichetta. Per esempio Barilla indica l'origine sulla confezione solo per la pasta Voiello (marchio di sua proprietà) perché la semola è 100% italiana, ma dimentica qualsiasi riferimento all'origine per la pasta con il suo marchio. Un altro elemento utile da riportare sull'etichetta è il tempo di cottura, che potrebbe essere differenziato tra la pasta al dente e quella cotta fino a quando scompare la cosiddetta "animella".
Le richieste che rivolgiamo ai produttori sono tre: indicare il tipo di lavorazione, le temperature di essiccazione utilizzando come riferimento il metodo della furosina, e l'origine del grano duro. I più volenterosi potrebbero cimentarsi anche con  il valore nutrizionale. Si tratta di un passo avanti doveroso nei confronti del nostro piatto nazionale. Aspettiamo delle risposte da: Barilla, De Cecco, Delverde, Garofalo… e anche dalle catene di supermercati che propongono la pasta con il loro marchio, ricordando a tutti che ignorare il problema non è una soluzione.

(1) "La furosina come marker di qualità della pasta di grano duro" Giannetti, Boccacci Mariani, Mannino. Tecnica Molitoria – dicembre 2013.
(2) "Indagine sul danno termico della pasta secca e sue relazioni con le caratteristiche della materia prima e delle condizioni di processo". Pagani, Marti, Bottega, Patacca. Tecnica Molitoria – aprile 2013
(3) "La furosina: un indicatore di processo per la pasta" Acquistucci, Pagani, Marconi, Panfili. Accademia dei Georgofili Firenze 28 novembre 2013
(*) La reazione di Maillard come pure il valore di furosina dipendono oltre che dalla temperatura, dall'umidità del tunnel di essiccazioen e dal tempo di permanenza

Temperature e  tempi di essiccazione comunicati a Il Fatto Alimentare da quattro produttori, gli altri preferiscono il silenzio

  • Granoro – Pasta lunga temperatura essiccazione: da 48°C a 75°C; tempo  7,5 ore
    –  Pasta corta temperatura essiccazione: da 70°C a 75°C;  tempo 6 ore;
    –   Pasta Artigianale "Le Specialità di Attilio": da 40°C a 50 C° (con umidificazione) tempo da 8 a 12 ore.
  • Agnesi – temperatura essiccazione: 72-75°C; tempo 4,5-5 ore per pasta corta 7 ore  pasta lunga
  • Divella – temperatura essiccazione: 78-85°C; tempo 8 ore per pasta corta 20 ore pasta lunga
  • Delverde – temperatura media di essiccazione: 40-55°C (inferiore a 70°C per alcuni formati); tempo 8 ore per pasta corta 20 ore pasta lunga (30 ore per alcune linee)
  • Del Cecco – temperatura media di essiccazione: 60-65°C ; tempo 8 -10 ore per pasta corta, 18-36 ore pasta lunga.
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  Roberto La Pira

giornalista, tecnologo alimentare


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Posted By marco to ECOLOGIC at 10/23/2016 09:30:00 AM

giovedì 10 novembre 2016

SALTARE LA CENA?


http://www.lagrandevia.it/2016/10/21/saltare-la-cena/

SALTARE LA CENA?

Da più di 100 anni sappiamo che se agli animali diamo poco da mangiare – 20-30% in meno di quello che mangerebbero se avessero disponibilità illimitata di cibo –  vivono di più e si ammalano meno di cancro e di altre malattie degenerative. Il primo studio è stato pubblicato nel 1909 e 100 anni dopo, nel 2009, è stato pubblicato il primo studio sulle scimmie, che ha confermato che anche le scimmie dimezzano il loro rischio di ammalarsi di cancro se sottoposte a restrizione calorica. 
Converrebbe anche a noi mangiare meno, dunque, ma sappiamo che è difficile in questa società dell'abbondanza, dove il cibo è sempre disponibile.  Studi sperimentali più recenti, su roditori, hanno mostrato che il digiuno intermittente, cioè  periodi di digiuno o di marcata restrizione calorica (50% in meno) alternati a periodi di dieta ad libitum, riducono l'incidenza dei tumori, ad esempio dei tumori della mammella, ancor più che una restrizione calorica costante (ad esempio 25% in meno). Sempre in esperimenti animali si è anche osservato che il digiuno intermittente, ad es. due giorni non consecutivi alla settimana,  è associato a una ridotta crescita dei tumori, ad esempio della prostata e del fegato, ma non tutti gli studi hanno confermato questi risultati. Recentemente si è dimostrato che se gli animali con tumore sono messi a digiuno 48 ore prima della chemioterapia, il giorno stesso e il giorno dopo del trattamento, la chemioterapia è molto più efficace nel controllare la crescita tumorale. La ragione, verosimilmente, è che mettendoci a digiuno riduciamo marcatamente la glicemia, la concentrazione di fattori di crescita, e lo stato infiammatorio, tre fattori che cooperano nella stimolazione della proliferazione delle cellule tumorali. Le cellule tumorali sono in stress metabolico e più suscettibili al veleno della chemioterapia.
E nell'uomo? Più studi clinici sono in corso ma non ci sono ancora risultati sull'effetto del digiuno sulla prognosi.  Ci sono però studi che indicano che chi ha la glicemia più alta, pur all'interno dell'intervallo di normalità, si ammala di più e, se ammalatosi, ha più frequentemente recidive. Lo stesso vale per lo stato infiammatorio e per i fattori di crescita (Vedi il documento sulla dieta adiuvante le terapie oncologiche nella sezione riservata ai soci de LaGrandeVia). È interessante, comunque, che molti  pazienti che hanno deciso di digiunare in occasione della chemioterapia hanno testimoniato che non hanno avuto i disturbi gastrointestinali (nausea, vomito e diarrea ) altrimenti frequenti durante il trattamento (verosimilmente perché con il digiuno le cellule di rivestimento della mucosa del tubo digerente, che normalmente proliferano molto vivacemente, smettono di moltiplicarsi e non sono più bersaglio del veleno chemioterapico).
Uno studio recente su 2413 donne operate per carcinoma mammario suggerisce che, probabilmente, brevi periodi di digiuno siano efficaci anche nell'uomo (Marinac CR et al. 2016 JAMA Oncology 2:1049). Queste pazienti compilavano periodicamente diari alimentari in cui registravano anche l'ora in cui consumavano pasti e spuntini. Mediamente passavano 12,5 ore fra l'ultimo pasto della sera e il primo del mattino. Nel corso di 7,3 anni di sorveglianza 390 donne hanno avuto una recidiva della malattia o un nuovo tumore mammario.   L'incidenza  di questi nuovi eventi è stata significativamente più alta (36% in più) nelle donne il cui intervallo di digiuno notturno era inferiore a 13 ore rispetto a quelle con intervallo superiore, a parità di altri fattori che influenzano la prognosi (età, gruppo etnico, grado di istruzione, concomitanza di altre malattie, stadio del tumore alla diagnosi, grado di malignità, terapie effettuate, stato menopausale, consumo calorico totale). E' interessante che le donne che rimanevano senza mangiare per meno di 13 ore avevano più alti livelli ematici di emoglobina glicata (un indice di esposizione media al glucosio nel volgere di tre mesi), un'ulteriore ragione per consigliare di tener bassa la glicemia ai malati di cancro.
Pare ragionevole, anche se non ci sono ancora risultati delle sperimentazioni sull'uomo, consigliare ai malati di cancro che non siano denutriti brevi periodi di digiuno, ad esempio saltare la cena, o mangiare solo una piccola porzione di verdure non amidacee condite con poco olio extravergine di oliva.
(FB Ottobre 2016)


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Posted By marco to ECOLOGIC at 11/09/2016 12:18:00 PM

mercoledì 18 giugno 2014

Problemi di cuore - Come è fatto e come funziona il cuore


Come è fatto e come funziona il cuore

Il cuore è un muscolo composto da 4 cavità, due superiori: atrio destro e sinistro e due inferiori: ventricolo destro e sinistro. Il sangue povero di ossigeno, giunge al cuore da tutti gli organi tramite le vene cave (superiore ed inferiore). Entra nell’atrio destro, attraversa la valvola tricuspide e passa nel ventricolo destro. Da questo viene pompato nelle arterie polmonari, uscendo dal cuore attraverso la valvola polmonare. Nel polmone il sangue si ossigena. Da qui ritorna nell’atrio sinistro, attraversa la valvola mitrale e passa nel ventricolo sinistro. Da questo viene pompato nell’arteria aorta e da questa in tutte le arterie che lo distribuiscono ai vari organi. L’uscita del sangue dal ventricolo sinistro avviene attraversando la valvola aortica. Il cuore pertanto è come un motore, anzi, come una pompa; o meglio come due pompe affiancate che si contraggono contemporaneamente spingendo il sangue, la parete destra (atrio destro e ventricolo destro) nei polmoni; la parte sinistra (atrio sinistro e ventricolo sinistro) nelle arterie e quindi a tutti gli organi.






Cosa sono le coronarie?
Il cuore e per svolgere la sua funzione necessita di un continuo apporto di ossigeno e “nutrimento”che possiamo considerare, in modo molto semplificativo, “il carburante” di questo “motore”. L’ossigeno, proveniente dai polmoni, viene trasportato dal sangue e giunge al cuore attraverso le arterie coronarie. Le coronarie, quindi, forniscono l’ossigeno al cuore; sono vasi sanguigni che nascono dall’aorta, al di fuori del cuore e lo avvolgono correndo sulla sua superficie. Da questi rami principali si dipartono ramificazioni più piccole che raggiungono tutte le pareti del cuore.
Le coronarie sono due: la coronaria sinistra che origina dall’aorta con un tratto breve chiamato tronco comune, che si divide in due rami: l’arteria discendente anteriore che trasporta il sangue alla parete anteriore del cuore e l’arteria circonflessa che lo porta alla parete laterale. La coronaria destra fornisce il sangue alla parete inferiore del cuore. 

 




Ma chi da l’ordine al cuore di battere, cioè di contrarsi?
Come ogni motore o pompa, il nostro cuore è fornito di un impianto elettrico. E’ come un’automobile che è dotata di un motore e di un impianto elettrico (batteria e cavi elettrici). L’impulso alla contrazione viene dato da una specifica parte del cuore chiamata “nodo del seno” che è localizzata nell’atrio destro. Si tratta di una vera e propria centralina elettrica, che invia un impulso elettrico a tutte le parti del cuore: atri e ventricoli, stimolandoli a contrarsi. La trasmissione di questo impulso avviene tramite dei “fili elettrici” che si dipartono da essa raggiungendo ogni parte del muscolo cardiaco. Se ritorniamo all’esempio dell’automobile e paragoniamo il muscolo cardiaco al motore dell’auto, l’impianto elettrico è costituito dal “nodo del seno”, cioè la centralina (o batteria) e dal “sistema di conduzione” (nodo atrio-ventricolare, fascio di His, branca destra e sinistra), cioè i fili elettrici.








Il nodo del seno manda mediamente (quando siamo a riposo) da 50 a 70 impulsi al minuto. Questi tramite il sistema di conduzione si diffondono negli atri, determinandone la contrazione; quindi raggiungono il “nodo atrio ventricolare” (una sorta di seconda cabina elettrica) e da qui, attraverso due ramificazioni (la branca destra e la branca sinistra), arrivano, rispettivamente al ventricolo destro e sinistro. In tal modo l’ordine partito dal nodo del seno si diffonde progressivamente a tutte le 4 cavità cardiache determinandone la contrazione in sequenza: prima gli atri e poi i ventricoli.








Gli impulsi elettrici inviati dal nodo del seno sono ritmici. Cioè cadono l’uno dall’altro ad una stessa distanza di tempo (esempio: uno ogni secondo). Quindi anche le contrazioni del cuore, cioè i battiti, sono ritmici. Questo tipo di battito normale si chiama “ritmo sinusale” perchè nasce dal nodo del seno. Può essere lento e viene definito bradicardico; ciò avviene, ad esempio durante il riposo e il sonno; o veloce e viene definito tachicardico; ad esempio durante gli sforzi, la paura, la rabbia . Infatti in queste ultime condizioni l’organismo a bisogno di piu’ energia ed il nodo del seno (la batteria o centralina) stimola il cuore a contrarsi più rapidamente per far giungere una maggior quantità di sangue ossigenato a tutti gli organi che devono lavorare maggiormente.





Notizie tratte da:
http://www.botonimarco.it/come_e_fatto_e_come_funziona_il_cuore.html#