sabato 25 dicembre 2010

E famose un regalino

Beh, abbiamo lavorato bene e i Babbi Natale aka Pantalone ce voiono bbene!

Ecco cosa a questi si sono regalati coi soldi di BN:


Rapido calcolo:
iPad 64gig 3g: 800€
Se ne desume che l'anello tricolore valga idem.
Diciamo che non tutti i 1000 ne beneficino.
La SVP per es potrebbe limitarsi a regalare dello Speck dop docg dip dap da soli 100€.
Occhio alle pesche sciroppate leghiste del Lago di Como, una di quelle potrebbe effettivamente costare quanto un buon Sfurzat d'annata veramente buona.

Allora facciamo 600 tra camera e senato?
600*800= 480.000€

Bene, bravi, continuate così!
Intanto Babbo Natale vi saluta e forse un giorno o l'altro vi ci manda pure.

*Sfurzat: vino elite della Valtellina che sta poco distante dal Lago di Como.

Pubblicato da  http://pztake.blogspot.com/2010/12/e-famose-un-regalino.html
il 22/12/2010
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Cartolina di Natale

Come biglietto di auguri natalizi, una lettrice ha spedito agli amici questa storiella edificante. Un sant’uomo chiede a Dio di poter visitare l’inferno e il paradiso, possibilmente nell’ordine (preferisce il lieto fine). Dio lo conduce davanti a due porte chiuse e spalanca la prima. Al centro della stanza spicca una tavola rotonda e al centro della tavola un pentolone da cui emana un profumo delizioso. Ma le persone sedute intorno alla tavola sono ridotte a scheletri. Ciascuna di esse ha un mestolo attaccato al braccio, lo tuffa nel recipiente per raccogliere il cibo e però poi non riesce a portarlo alla bocca perché il manico del mestolo è più lungo del braccio. Che supplizio atroce, pensa il sant’uomo, compatendo gli affamati. «Hai appena visto l’inferno», dice Dio e spalanca la seconda porta, quella del paradiso. C’è una tavola rotonda al centro della stanza anche lì. Al centro della tavola un pentolone da cui emana lo stesso profumo. E le persone sedute intorno alla tavola hanno un mestolo attaccato al braccio che nessuna di esse riuscirà mai ad avvicinare alla bocca. Eppure sono ben pasciute. «Non capisco», sbotta il sant’uomo. «È semplice» - risponde Dio -. «All’inferno gli uomini muoiono di fame perché non pensano che a se stessi. In paradiso, invece, stanno tutti in salute perché ognuno mangia dal mestolo degli altri».

Questo apologo mi ha talmente toccato il cuore che avrei voglia di dare una mestolata a Gasparri.

Massimo Gramellini
La Stampa, 21/12/2010

giovedì 23 dicembre 2010

Buozzi Bruno

Nato a Pontelagoscuro (Ferrara) il 13 gennaio 1881, ucciso dai tedeschi a La Storta (Roma) il 4 giugno 1944, dirigente sindacale socialista.
Era stato costretto a lasciare la scuola dopo le elementari e fece, da ragazzo, il meccanico aggiustatore. Quando si trasferì a Milano, trovò lavoro come operaio specializzato alle Officine Marelli e poi alla Bianchi. Nel 1905 aderì al sindacato degli operai metallurgici e al PSI, militando nella frazione riformista di Turati. Nel 1920 fu tra i promotori del movimento per l'occupazione delle fabbriche. Più volte eletto deputato socialista prima della presa del potere da parte del fascismo, Bruno Buozzi nel 1926 espatriò in Francia, dove continuò, nella Concentrazione antifascista, l'attività unitaria contro il regime di Mussolini.
Durante la guerra di Spagna, per incarico del suo partito, diresse l'opera d'organizzazione, raccolta e invio di aiuti alla Repubblica democratica attaccata dai franchisti. Alla vigilia dell'occupazione tedesca di Parigi, Buozzi si trasferì a Tours. Lo tradì il comprensibile desiderio di visitare, a Parigi, la figlia partoriente. Nel febbraio del 1941 fu, infatti, arrestato dai tedeschi nella Capitale francese. Rinchiuso dapprima nelle carceri della Santé, fu successivamente trasferito in Germania e, di qui, in Italia dove rimase per due anni al confino in provincia di Perugia.
Riacquistata la libertà alla caduta del fascismo, ai primi di agosto del 1943, Bruno Buozzi fu nominato dal governo Badoglio, insieme al comunista Giovanni Roveda e al democristiano Gioacchino Quarello, commissario alla Confederazione dei sindacati dell'industria. Durante l'occupazione nazista di Roma, Buozzi trovò ospitalità presso un amico colonnello e, quando questi dovette darsi alla macchia, cercò un altro precario rifugio, dove fu sorpreso dalla polizia.
Era il 13 aprile 1944. Fermato per accertamenti e condotto in via Tasso, i fascisti scoprirono la vera identità del sindacalista. Il CLN di Roma tentò a più riprese, ma senza successo, di organizzarne l'evasione e il 1° giugno 1944, quando gli americani erano ormai alle porte della Capitale, il nome di Bruno Buozzi fu incluso dalla polizia tedesca in un elenco di 160 prigionieri destinati ad essere evacuati da Roma. La sera del 3 giugno, con altri 12 compagni, Buozzi fu caricato su un camion tedesco, che si avviò lungo la via Cassia, ingombra di truppe in ritirata. In località La Storta, forse per la difficoltà di proseguire, l'automezzo si fermò e i prigionieri furono fatti scendere. Rinchiuso in un fienile per la notte, all'indomani il gruppo fu brutalmente sospinto in una valletta e Bruno Buozzi - sembra per ordine del capitano delle SS Erich Priebke - fu trucidato con tutti i suoi compagni.
Dopo la Liberazione, a Bruno Buozzi sono state intitolate strade e piazze a Roma e in molte altre città d'Italia. Portano il suo nome anche cooperative, associazioni sportive, scuole. Una Fondazione Bruno Buozzi, che ha tra i suoi compiti quello di incrementare gli studi sul sindacalismo, si è costituita a Roma il 24 gennaio 2003. La presiede Giorgio Benvenuto.

Link permanente alla pagina dell'Anpi: http://anpi.it/b25/
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martedì 21 dicembre 2010

Auguri

AUGURI ! Apri la tua e-card.
- clicca sul francobollo per aprire la tua e-card;
- clicca sulla palla di neve più grande;
- trascina le palle una sopra all'altra per formare un pupazzo di neve;
- clicca su una delle tre palle di neve.

Auguri!!!!

lunedì 20 dicembre 2010

L'amato leader

L’astutissima intervista in cui Bersani liquida le primarie e annuncia di volersi alleare con Fini e Casini anziché far fronte comune con Vendola e Di Pietro ha finalmente ricompattato il popolo dei democratici. Lo si evince da una passeggiata nel sito del Pd.

«Sono un ex iscritto e tra poco sarò un ex elettore» (Francesco). «Ma Fini è di destra! Come è possibile anche solo pensare a un’alleanza con lui?» (Michele). «Stasera restituisco la tessera» (Francesca). «Così non andiamo da nessuna parte, anzi sì: al suicidio» (Chiara). «Mi domando cosa avete nel cervello. Ma davvero le partorite voi queste cavolate? Andatevi a nascondere e non fatevi più rivedere!» (Gianni). «Cacchio, ma si può?» (Gian Piero). «Se succede, lascio il partito in un secondo» (Gianluca). «Bersani fa bene, sono d’accordo con lui» (Fassina, ma forse è la sorella dell’ex segretario). «Cioè, fatemi capire: dovrei scegliere alle prossime elezioni fra Fini e Berlusconi?» (Alessandro). «Dopo la fatica che abbiamo fatto a liberarci di Binetti e Rutelli, paffete che ci ritroviamo a subire i loro veti!» (Monica). «State ancora una volta riuscendo a rivitalizzare Berlusconi. Sono allibito» (Stefano). «Ero un ventenne che aveva trovato una piccola speranza. Ora lei me l’ha spenta di nuovo. Grazie, segretario» (Riccardo). «D’ora in poi come inizierà i suoi comizi? Cari democratici, cari compagni, cari camerati?» (Concita). «Grazie a tutti quelli che stanno commentando l’intervista» (Pier Luigi Bersani). «Segretario, tu ci ringrazi, ma i commenti li leggi o guardi solo le figure?» (Monica). 

Massimo Gramellini
La Stampa. 18/12/2010
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Nonni



E’ grande il cortile nei miei ricordi. Quante volte ritorno con la mente, quasi una fuga, all’età felice; felice anche allora o solo felice oggi nei miei pensieri? Era sufficiente che dalla piazza del paese, piazza, e ben lo sanno chi è vissuto o conosce il paese, che non esiste in realtà, m'inoltrassi per il passaggio fra la macelleria e il muro di cinta dei Moggi, per entrare nel cortile dove si affacciava la porta dell’abitazione dei miei nonni materni. La sera, dopo il lavoro e prima della cena, il nonno lo ricordo seduto sulla panca di fianco alla porta con i piedi immersi in una catinella d'acqua.; il suo lento lavarsi, il corpo stanco in silenzioso raccoglimento quasi a voler riassumere tutto l’accaduto della giornata. Ciao nonno!

Lavoravano duro i nonni. Ma, nei miei ricordi, l’essenziale non è mai mancato. Ho ancora nella memoria i piatti di pasta con il ragù di carne, particolarmente buono, per me. Ma non bisognava sciupare nulla: nemmeno le briciole; a fine pasto non era necessario scrollare la tovaglia dalle briciole di pane, erano già state raccolte e mangiate. Il nonno, per farmi capire il concetto, mi disse che tutte le briciole lasciate sulla tavola avrei dovuto raccoglierle con un secchio senza fondo, prima di potere andare in paradiso. A volte il secchio senza fondo era sostituito da un forcone ma il ragionamento era lo stesso.
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giovedì 16 dicembre 2010

Tumiati Francesco

Nato a Ferrara nel 1921, morto a Cantiano (Pesaro) il 17 maggio 1944, studente, Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.
Di nota famiglia ferrarese, per seguire le orme del padre, eminente avvocato, si era iscritto alla Facoltà di Legge. Nel 1941 il giovane Tumiati decise di arruolarsi volontario. Mandato in Nordafrica, tornò in Italia nel febbraio del 1942, per seguire a Bologna un corso per allievi ufficiali. Promosso sottotenente fu assegnato al 32° Reggimento carristi. Fu sorpreso dall'armistizio mentre, con il suo reparto, si trovava a Cantiano, nella zona montana tra l'Appennino centrosettentrionale e il mare Adriatico. Il sottotenente si diede alla macchia, seguito da un gruppo di suoi carristi e ben presto divenne, con il nome di Francino, comandante del distaccamento "Pisacane" della Brigata Garibaldi "Pesaro". Per otto mesi guidò i suoi partigiani in azioni audacissime contro i nazifascisti. Nel maggio del 1944, durante un massiccio rastrellamento, Francino fu catturato dai tedeschi e sottoposto ad un processo sommario. Sollecitato a tradire i suoi compagni in cambio della propria salvezza, rifiutò ogni compromesso e fu immediatamente fucilato.
Tratto da: http://www.anpi.it/donne-e-uomini/francesco-tumiati

Francesco Tumiati, nasce a Ferrara il 25 maggio 1921.
Terzo di quattro fratelli, proviene da una famiglia borghese, colta e di tendenze liberali. Suo padre Leopoldo, noto avvocato e preside della Facoltà di Legge della locale Università, fu deputato nazional-liberale nell’ultima legislatura pre-fascista.
Al piccolo Francesco viene impartita un’educazione ispirata all’austerità ed al rigore morale.  Ironico e anticonformista, amante della letteratura, nel 1930 viene inviato a studiare nello stesso Collegio Fiorentino che già aveva ospitato il padre e gli zii.
Con la proclamazione dell’Impero nel 1936, il padre Leopoldo abbandona la sua avversione al regime, ma il giovane Francesco, pur con in tasca la tessera del partito, continua a manifestare sempre una sua propria libertà intelletuale derivante anche da una vivace intelligenza.
Partito volontario nella Seconda Guerra Mondiale, Tumiati viene inviato a combattere sul Fronte Libico e, al rientro in Patria, nel settembre 1942 presta servizio col grado di Sottotenente di Fanteria Carrista a Verona.
Dopo un travagliato periodo di riflessione, susseguito all’8 settembre 1943, matura la scelta di adesione attiva alla Resistenza.
Nella stessa famiglia, intanto, il fratello Gaetano, fatto prigioniero in Africa e prigioniero degli americani negli Stati Uniti, dopo sofferta decisione sceglie di non collaborare con gli alleati, finendo nel campo di concentramento di Hereford, in Texas.

Intanto in Italia Francesco, lascia Ferrara per unirsi ai gruppi Partigiani costituisi nell’Appennino dell’Italia centrale.
Verso la fine del 1943, con alcuni amici, tra cui un giovane seminarista, raggiunge le Marche, dove inizialmente trova una situazione di forte disorganizzazione e confusione, con gente in fuga dalle città e militari allo sbando che cercano con ogni mezzo di tornare alle proprie case.
Dopo un primo periodo di peregrinazione tra le parrocchie di Peglio e dell’Orsaiola nella zona di Urbania, lasciato in seguito dai due compagni che fanno ritorno a Ferrara, entra presto in contatto con altri giovani partigiani che andavano organizzandosi nel nascente movimento resistenziale.    
La sera spesso, visita povere famiglie contadine con cui si intrattiene a discorrere al focolare e si avvicina a quel mondo per lui nuovo con grande spirito di solidarietà.
Subito dopo il tragico bombardamento di Urbania del gennaio 1944, Tumiati accorre in città per prestare aiuto alla popolazione impegnandosi, senza badare alla fatica e al pericolo di essere arrestato come renitente, nella rimozione delle macerie, nel disseppellimento dei corpi, nell’assistenza e trasporto dei feriti.
Entrato nei nuclei che compongono la V Brigata Garibaldi, prende parte distinguendosi per il coraggio e la determinazione al combattimento del 25 marzo 1944 in cui le forze della Resistenza presso Cantiano respingono clamorosamente consistenti truppe nazifasciste impiegate in un’ampia azione di antiguerriglia.   Durante le azioni militari all’interno del suo gruppo composto da un consistente nucleo di ex-prigionieri jugoslavi tra cui il partigiano sloveno “Poldo” (Leopold Verbovsek), si distingue per valore e efficacia.  
Il suo gruppo opera con una certa autonomia all’interno della V Brigata Garibaldi, e si rende protagonista di numerose azioni, tra le quali si segnala ad esempio l’assalto alla caserma dei C.C. di Acqualagna sede anche della milizia fascista.
Presto però, Tumiati decide di riprendere stabili contatti con il comando della V Brigata Garibaldi. Il suo gruppo viene riaccolto tra le fila di quest’ultima, e aggregato al 1° Battaglione, con la denominazione di Distaccamento “Giannetto Dini”, in memoria del giovane partigiano fanese da poco fucilato.   A capo di quella formazione, da tutti conosciuto come il “comandante Francino”, partecipa all’assalto alla Caserma dei C.C. di Cagli.
Durante il rastrellamento del maggio 1944 nella zona umbro-marchigiana dell’Appennino tra Cantiano e Città di Castello, il suo distaccamento ebbe l’ordine di sganciarsi e ritrovarsi solo successivamente nella zona prevista.
Malgrado ancora fosse presente un’intensa attività nemica Tumiati decide di riprendere l’azione finendo catturato da militi della Repubblica Sociale in località San Polo nei pressi di Cantiano. Viene fucilato il 17 maggio 1944, presso il cimitero di Cantiano assieme a due partigiani jugoslavi.
L’intensa vicenda umana e civile del giovane comandante “Francesco” è narrata, anche con ricchezza di documentazione personale, nel volume scritto dal fratello Gaetano Tumiati dal titolo “Morire per vivere : vita e lettere di Francesco Tumiati Medaglia d'Oro della Resistenza”, con prefazione di Giovanni Conso, Ferrara, Corbo 1995.
 Tratto da: http://www.portalememorie.it/CMDirector.aspx?id=1245
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Neve - 16 dicembre 2010














mercoledì 15 dicembre 2010

Parto Cesario

Quanto invidio mia moglie, che riesce ad assentarsi dal telegiornale per guardare una coppia di passerotti appollaiati sulla ringhiera del balcone. Io, noto masochista, pure nel dì di festa non stacco gli occhi dal racconto della crisi, dove gli ex missini scorrono a frotte: La Russa, Gasparri, Ronchi, Urso, Matteoli, Bocchino, non se ne vedevano tanti, e tutti insieme, dalla giornata dell’oro alla Patria del 1935. Dopo la cacciata da Berlusconia, Bocchino ha chiesto asilo politico a un cameraman: lunedì litigava con La Russa a «Porta a Porta», martedì si accapigliava con Rotondi a «Ballarò» e ieri faceva jogging solitario in un boschetto di microfoni.

Fosse solo Bocchino. Poi ci sono tutti gli altri. I soliti ignoti, il cui voto non ha mai contato un tubo e ora invece può far cadere governi e sbilanciare bilanci allargando lo spread con la Germania, come ripetono minacciosi gli economisti. Così restiamo appesi, noi e lo spread, agli umori dell’onorevole Scilipoti, dipietrista apparentato con Rossella O’Hara, che «oggi la mia posizione resta quella di ieri, ma domani vedremo» e annuncia una conferenza stampa con Cesario che potrebbe partorire ribaltoni a breve, mentre Calearo aggiorna il tassametro della fiducia (da 350 mila euro in su) e Razzi ammette che le proposte sono allettanti, specie per chi ha un mutuo da pagare come lui. Confidavo nella nota rigidità dei sudtirolesi, ma il tg dice che stanno trattando l’astensione in cambio della segnaletica bilingue e allora spengo la tv con un’espressione intraducibile e mi metto a guardare i passerotti anch’io.

Massimo Gramellini
La Stampa, 9/12/2010
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mercoledì 8 dicembre 2010

Zortea di Canal San Bovo, Trento

Agosto 1950.
Ho appena terminato la prima classe delle elementari. Altri tempi, dopo aste verticali, quadrati e segnetti vari, riesco a malapena a leggere e a scrivere. Ma è un mese importante perché, data la mia salute cagionevole e la mancanza di disponibilità economiche, i miei genitori sono riusciti a mandarmi in "colonia", in montagna a Zortea di Canal San Bovo in provincia di Trento. E' la prima volta che mi allontano da casa e senz'altro i miei genitori una certa preoccupazione l'avranno avuta. Io non ricordo il mio stato d'animo, troppi anni sono passati; l'unica problema, parlando con gli amici, era come fare a nascondere il mangiare se non era di mio gusto; segno evidente della mia inappetenza. Erano due gli Enti che davano la possibilità di inviare i bambini in vacanza: il Comune e il Patronato scolastico. La guerra era appena terminata e il Comune non godeva di grandi risorse finanziare e correva voce che il trattamento era migliore nelle colonie del Patronato scolastico. Per questo mia mamma e la nonna Maria fecero di tutto per mandarmi con il Patronato e la cosa ci costò due salami cotechini per ottenere la raccomandazione necessaria. Seppi dopo tanti anni che il Governo centrale, per controbattere le colonie del Comune (giunta di sinistra), finanziava con fondi segreti il Patronato scolastico.
La mamma mi costruì uno zaino utilizzando la stoffa dei sacchetti di pasta (la pasta non era venduta in scatole di cartone come oggi). Dentro allo zaino c'era tutto quello che mi doveva servire, preparato seguendo l'elenco che ci era stato consegnato e su ogni capo di biancheria era stato applicato un numero in modo che le Signorine (vigilatrici) sapessero a quale bambino apparteneva. Partimmo di buon ora quel mattino. La nonna con lo zaino sul manubrio, la mamma con me sul sellino di legno della bicicletta. Dovevamo percorrere  quindici chilometri, la distanza che separa il nostro paese dalla città. La partenza era fissata dalle scuole dell'Alda Costa. In tram ci portarono alla stazione ferroviaria e in treno giungemmo alla Stazione di Feltre; si proseguì, poi, con un pulman che si dovette fermare nel fondovalle perché il ponte che attraversava il torrente era troppo stretto. Quindi tutti a piedi a percorrere la salita che arrivava a Zortea. Appena cercai di mettermi sulle spalle lo zaino, si ruppero le bretelle e dovetti faticare non poco a portare il peso fino a destinazione.
La "colonia" era una scuola elementare adattata allo scopo: camerate con letti a castello, il letto delle Signorine in un angolo riparato da tende, servizi igenici... non li ricordo. Al mattino, prima della colazione, tutti in fila in cortile, a lavarci ad una fontana. Tante passeggiate, gare con le cavallette alle quali avevamo tolto le ali. Prima della partenza, nelle scuole Alda Costa, fummo pesati e, prima del ritorno, ripesati per controllare se eravamo aumentati di peso durante la vacanza. Un giorno la Signorina, vedendomi seduto su un gradino della scala, assorto nella lettura della lettera ricevuta da casa volle sincerarsi se nella lettera ci fosse scritto qualcosa di non piacevole e volle leggerla. La mia mamma, fra tante altre cose, si raccomandava di andare a servite la Messa per non dimenticarmi quello che avevo imparato come chierichetto. E così fui obbligato, la domenica successiva, ad andare a servire messa: fu un disastro, non era una messa come le nostre; che figuraccia.



Zortea dove si trova ?

1950 - Zortea di Canal San Bovo (Tn) - Colonia montana del Patronato scolastico di Ferrara - Il nonno Kucco è il terzo da sinistra nella seconda fila in piedi.

Votare o non votare ?

Alcuni giorni fa ho avuto una vivace discussione con un carissimo amico se andare o meno a votare alle prossime elezioni politiche. Alla mia asserzione che l'astensionismo non risolve i problemi, il mio amico mi ha snocciolato una serie di motivi a sostegno della sua tesi e per ribadirli mi ha inviato questa mail:
" Carissimo Nonno Kucco, 
sempre più convinto della mia decisione, ti ribadisco che, probabilmente,  non andrò a votare perché:
01) - non voglio, con il mio voto, legittimare la presenza in Parlamento di persone che, in tempo di     crisi, percepiscono in un mese quello che un lavoratore, se lavora, percepisce in un anno;
02) - è vergognoso che i parlamentari si rechino allo stadio per vedere le partite di calcio con le auto blu;
03) - la sanità pubblica ha tempi di attesa lunghissimi, mentre se pago il giorno dopo posso fare l'esame ;
04) - lo Stato finanzia la scuola privata e taglia i fondi alla scuola pubblica;
05) - lo Stato ha esentato dall' I.C.I. gli edifici di proprietà della Chiesa cattolica;
06) - lo Stato destina l'8 per mille alle varie organizzazioni religiose. Che siano i loro adepti a finanziarle.
07) - lo Stato pone ostacoli alla ricerca scientifica in nome di un'etica religiosa, l'etica di uno stato laico  deve essere un'etica laica. Non dimentichiamo che in nome della religione cattolica sono stati uccisi migliaia di persone e distrutte intere civiltà;
08) - c'è ancora il segreto di stato sulle stragi;
09) - i parlamentari acquisiscono il diritto alla pensione, se non erro, dopo cinque anni;
10) - si costruiranno le centrali nucleari;

Forse non riuscirò a cambiare la tua idea ma ti prego di meditare.
Ciao"

Senza di loro

Possiamo farcela. Anche se la crisi si fa critica, l’euro è ricoverato alla neuro e Bruxelles sta per intimarci di dimezzare il debito pubblico, così la prossima volta sulla Mole con gli studenti ci saliranno i pensionati? Anche se La Russa vola sopra l’Afghanistan credendosi l’erede illetterato di D’Annunzio (chi fa la Duse, Santanchè?) e Bersani si arrampica sui tetti come lo spazzacamino di Mary Poppins, ma col sigaro in bocca che neanche Messner? Anche se alla Camera la Mussolini bacia sulla bocca l’indagato Cosentino, Bossi confessa «sono stato studente universitario anch’io» (fino a 40 anni, ci aveva preso gusto) e Berlusconi, dico Berlusconi, invita tutti a comportarsi con sobrietà? Sì, possiamo farcela e proverò a spiegarvi perché.

Tranne che ai tempi di Mussolini (infatti finì in tragedia), la politica italiana ha sempre affrontato i passaggi cruciali della storia allo stesso modo: ignorandoli. Nell’Ottocento il premier Depretis coccolava le pratiche sulla sua scrivania: «Ognuna di esse avrei dovuto deciderla entro 24 ore, se non volevo mandare in rovina l’Italia. Le 24 ore sono passate, la pratica è sempre lì e l’Italia va avanti lo stesso». Un secolo dopo, con le fabbriche bloccate e i terroristi a sparare per strada, i governi democristiani si occupavano di convergenze parallele. E mentre i politici rimuovevano i problemi, gli italiani li risolvevano inventandosi l’economia sommersa. Una cosa un po’ eroica e un po’ illegale: come tutto, qui da noi. Sì, la sfangheremo anche stavolta. Chissà in che modo e con chi. Ma sicuramente senza di loro.

Massimo Gramellini
La Stampa, 26/11/2010
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martedì 7 dicembre 2010

Le piccole fortezze private su ruote crescono

Con lungimiranza da favola pure i nostri ci si mettono.
A fabbricare suv, non le elettriche.

Quelli ai quali PZ suggeriva di cambiare nome e "mission" in Fabbrica Italiana Alternative Tecnologies


Un gustoso articoletto sul tema lo trovate su quel giornale comunista e travagliato del Fatto Quotidiano.

Copiato da: http://pztake.blogspot.com/ (un milanese.......pungente)
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lunedì 6 dicembre 2010

Punti base

I giornali e i telegiornali parlano di punti base.
Chi sa che sono?
Oggi sono 215 più dei Bund (chi sa che sono?)

Oh bella, il debito (30000€ a testa per abitante sul suolo italico) pubblico per rifinanziarsi paga in btp a 10 anni il 4,8%.
Il debito pubblico sale da sempre (con una piccola parentesi quando era al governo Prodi).
Se PZ non erra da quando ci sta questo governo (2 anni) di 400miliardi.
Una buona parte del rifinanziamento va a pagare gli interessi sul debito. Gli altri in auto blu, stipendi dei gerenti, scorte, attrito burocratico ed altre amenità, tipo la creazione dalla società del ponte sullo stretto o qualche mancia per l'Expoinutile™.
Senza contare gli "interventi" della protezione civile.

La Germania paga 2,6%.
Poco più della metà.
Che vuol dire che la Germania, reduce dall' assorbimento di uno stato comunista e salvataggio di banche più "creative" di quelle italiche (21000€ di debito pro capite) paga meno su un debito pubblico inferiore (3400 contro 3600miliardi di miliardi di vecchie lire, come direbbe fede) mentre pantalone paga il doppio su un importo maggiore.
Ogni pantalone fa 1400€ a testa (vedi sopra) solo di interessi per anno e senza rimborsare una lira pardon €.

Domanda ulteriore: Se foste una banca o anche un angel investor a uno come pantalone gli prestereste una lira, pardon €?

PS: punto base=1/100 di un percento 

Copiato da: http://pztake.blogspot.com/ (un milanese....pungente)
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martedì 30 novembre 2010

Trilussa - Questione de razza

- Che cane buffo! E dove l'hai trovato? -
Er vecchio me rispose: - E' brutto assai,
ma nun me lascia mai: s'è affezionato.
L'unica compagnia che m'è rimasta,
fra tanti amichi, è 'sto lupetto nero:
nun è de razza, è vero,
ma m'è fedele e basta.
Io nun faccio questioni de colore:
l'azzioni bone e belle
vengheno su dar core
sotto qualunque pelle.
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mercoledì 24 novembre 2010

Ferrara - foto nel Brooklyn Museum


Caricata il 14 gennaio 2010 da Brooklyn Museum
Nessuna restrizione nota sul diritto d'autore Nessuna restrizione nota sul diritto d'autore



































































lunedì 22 novembre 2010

Qualcuno era comunista


di Gaber - Luporini

1991 © Edizioni Curci Srl - Milano



Uh? No, non è vero, io non ho niente da rimproverarmi. Voglio dire... non mi sembra di aver fatto delle cose gravi.
La mia vita? Una vita normale. Non ho mai rubato, neanche in casa da piccolo, non ho ammazzato nessuno, figuriamoci!... Qualche atto impuro ma è normale no?
Lavoro, ho una famiglia, pago le tasse. Non mi sembra di avere delle colpe... non vado neanche a caccia!
Uh? Ah, voi parlavate di prima! Ah... ma prima... ma prima mi sono comportato come tutti.
Come mi vestivo? Mi vestivo, mi vestivo come ora… beh non proprio come ora, un po’ più… sì, jeans, maglione, l’eskimo. Perché? Non va bene? Era comodo.
Cosa cantavo? Questa poi, volete sapere cosa cantavo. Ma sì certo, anche canzoni popolari, sì… “Ciao bella ciao”. Devo parlar più forte? Sì, “Ciao bella ciao” l’ho cantata, d’accordo, e anche l’“Internazionale”, però in coro eh!
Sì, quello sì, lo ammetto, sì, ci sono andato, sì, li ho visti anch’io gli Inti Illimani... però non ho pianto!
Come? Se in camera ho delle foto? Che discorsi, certo, le foto dei miei genitori, mia moglie, mia…
Manifesti? Non mi pare... Forse uno, piccolo proprio... Che Ghevara. Ma che cos’è, un processo questo qui?
No, no, no, io quello no, io il pugno non l’ho mai fatto, il pugno no, mai. Beh insomma, una volta ma… un pugnettino, rapido proprio…
Come? Se ero comunista? Eh. Mi piacciono le domande dirette! Volete sapere se ero comunista? No, no finalmente perché adesso non ne parla più nessuno, tutti fanno finta di niente e invece è giusto chiarirle queste cose, una volta per tutte, ohhh!
Se ero comunista. Mah! In che senso? No, voglio dire…
Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia.
Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà… la mamma no.
Qualcuno era comunista perché vedeva la Russia come una promessa, la Cina come una poesia, il comunismo come il Paradiso Terrestre.
Qualcuno era comunista perché si sentiva solo.
Qualcuno era comunista perché aveva avuto un’educazione troppo cattolica.
Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la letteratura anche… lo esigevano tutti.
Qualcuno era comunista perché “La Storia è dalla nostra parte!”.
Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto.
Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto.
Qualcuno era comunista perché prima era fascista.
Qualcuno era comunista perché aveva capito che la Russia andava piano ma lontano.
Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona.
Qualcuno era comunista perché era ricco ma amava il popolo.
Qualcuno era comunista perché beveva il vino e si commuoveva alle feste popolari.
Qualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio.
Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l’operaio.
Qualcuno era comunista perché voleva l’aumento di stipendio.
Qualcuno era comunista perché la borghesia il proletariato la lotta di classe. Facile no?
Qualcuno era comunista perché la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopo domani sicuramente…
Qualcuno era comunista perché “Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse-Tung”.
Qualcuno era comunista per fare rabbia a suo padre.
Qualcuno era comunista perché guardava sempre Rai Tre.
Qualcuno era comunista per moda, qualcuno per principio, qualcuno per frustrazione.
Qualcuno era comunista perché voleva statalizzare tutto.
Qualcuno era comunista perché non conosceva gli impiegati statali, parastatali e affini.
Qualcuno era comunista perché aveva scambiato il “materialismo dialettico” per il “Vangelo secondo Lenin”.
Qualcuno era comunista perché era convinto d’avere dietro di sé la classe operaia.
Qualcuno era comunista perché era più comunista degli altri.
Qualcuno era comunista perché c’era il grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista nonostante ci fosse il grande Partito Comunista.
Qualcuno era comunista perché non c’era niente di meglio.
Qualcuno era comunista perché abbiamo il peggiore Partito Socialista d’Europa.
Qualcuno era comunista perché lo Stato peggio che da noi solo l’Uganda.
Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di quarant’anni di governi viscidi e ruffiani.
Qualcuno era comunista perché piazza Fontana, Brescia, la stazione di Bologna, l’Italicus, Ustica, eccetera, eccetera, eccetera.
Qualcuno era comunista perché chi era contro era comunista.
Qualcuno era comunista perché non sopportava più quella cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia.
Qualcuno credeva di essere comunista e forse era qualcos’altro.
Qualcuno era comunista perché sognava una libertà diversa da quella americana.
Qualcuno era comunista perché pensava di poter essere vivo e felice solo se lo erano anche gli altri.
Qualcuno era comunista perché aveva bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, perché era disposto a cambiare ogni giorno, perché sentiva la necessità di una morale diversa, perché forse era solo una forza, un volo, un sogno, era solo uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita.
Qualcuno era comunista perché con accanto questo slancio ognuno era come più di se stesso, era come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall’altra il senso di appartenenza a una razza che voleva spiccare il volo per cambiare veramente la vita.
No, niente rimpianti. Forse anche allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare, come dei gabbiani ipotetici.
E ora? Anche ora ci si sente come in due: da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si è rattrappito.
Due miserie in un corpo solo.

Qualcuno era comunista
 http://www.youtube.com/watch?v=emoFu3iejiQ

sabato 20 novembre 2010

L'immensità


Don Backy
Don Backy - Mogol - Mariano
Io son sicuro che, per ogni goccia
per ogni goccia che cadrà
un nuovo fiore nascerà
e su quel fiore una farfalla volerà
Io son sicuro che
in questa grande immensità
qualcuno pensa un poco a me
e non mi scorderà
Sì, io lo so,
tutta la vita sempre solo non sarò
e un giorno io saprò
d'essere un piccolo pensiero
nella più grande immensità.....
di quel cielo.
Sì, io lo so,
tutta la vita sempre solo non sarò
un giorno troverò
un po' d'amore anche per me
per me che sono nullità
nell'immensità...

Altri interpreti: Johnny Dorelli; Mina

L'Immensità

venerdì 19 novembre 2010

Canzone


Don Backy - Celentano
Nel più bel sogno, ci sei solamente tu
sei come un'ombra che non tornerà mai più
tristi sono le rondini nel cielo
mentre vanno verso il mare
é la fine di un amore.
Io sogno e nel mio sogno vedo che
non parlerò d'amore, non ne parlerò mai più
quando siamo alla fine di un amore
piangerà soltanto un cuore
perché l'altro se ne andrà
Ora che sto pensando ai miei domani
son bagnate le mie mani
sono lacrime d'amore.

Nel più bel sogno ci sei solamente tu
sei come un'ombra che non tornerà mai più
questa canzone vola per il cielo
le sue note nel mio cuore
stan segnando il mio dolore.
Questa canzone vola per il cielo
le sue note nel mio cuore
stan segnando il mio dolore.

Canzone

giovedì 11 novembre 2010

Novembre

Gemmea l'aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l'odorino amaro
                                     senti nel cuore.......


ma secco è il pruno, e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
                                     sembra il terreno.


Silenzio, intorno: solo, alle ventate,
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cader fragile. E' l'estate,
                                     fredda, dei morti.

Giovanni Pascoli

http://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Pascoli
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mercoledì 10 novembre 2010

CALCOLARE LE RADICI QUADRATE A MANO

Quando facevo le medie (tardo Mesozoico, insomma...) a scuola ci insegnavano ad estrarre una radice quadrata con carta e penna. La cosa era assolutamente inutile, visto che stavano già comparendo le prime calcolatrici tascabili, e alla peggio uno poteva trovare ancora un regolo calcolatore: diciamo caritatevolmente che veniva fatto per saggiare l'attenzione dello scolaro. Ad ogni modo sono passati più di trent'anni, e come tutte le cose del passato anche il calcolo manuale di una radice quadrata è diventato una specie di piacevole ricordo, "chissà come diavolo si faceva". Per i nostalgici (e soprattutto per StorieDiMe che è stata l'ultima in ordine di tempo a chiedermelo :-) ) ecco qua il metodo che era insegnato a me, recuperato dagli anfratti della mia memoria. Nel seguito troverete i vari passaggi per scoprire qual è la radice quadrata di 522729.

Passo 1:
si scrive il numero separandolo con dei puntini ogni due cifre partendo da destra.
  _________

√ 52.27.29 |
           |---------
           |

Passo 2:
si calcola la radice quadrata del gruppo di cifre (una o due) più a sinistra (in questo caso, 52). Si calcola il quadrato di questo numero (7), e lo si toglie dal gruppo di cifre in questione. Si abbassa il successivo gruppo di due cifre.
  ________

√ 52.27.29 | 7
  49       |---------
  --       |
   3 27

Passo 3: (qui arriva il bello). Si raddoppia il numero finora calcolato come radice quadrata (in questo caso, 7) e lo si scrive sotto. Adesso dovremo trovare qual è il più grande x che permetta di avere un prodotto inferiore al resto che abbiamo a sinistra (in questo caso, 327).
  ________

√ 52.27.29 | 7
  49       |---------
  -----    | 14x * x = ???
   3 27


Passo 4:
Il trucco è partire dall'alto e scendere in basso; per non partire da 9, si può anche fare ad occhio la divisione eliminando le cifre più a destra dai due numeri. In questo caso, invece che 327/14x facciamo 32/14 che dà 2; per sicurezza, partiamo da 3 e verifichiamo che il risultato "sfora". Scendiamo a 2, eseguiamo la sottrazione, e facciamo scendere un ulteriore gruppo di due cifre.
  ________

√ 52.27.29 | 72
  49       |---------
  -----    | 143 * 3 = 429
   3 27    | 142 * 2 = 284
   2 84
   ----
     43 29

Passo 5: Riprendiamo dal passo 3. In questo caso non è però necessario raddoppiare il risultato parziale (72), ma si può semplicemente sommare i due numeri moltiplicati nel passaggio precedente (142 e 2), visto che il risultato che si ottiene è lo stesso.
  ________

√ 52.27.29 | 72
  49       |---------
  -----    | 143 * 3 = 429
   3 27    | 142 * 2 = 284
   2 84    |---------
   ----    | 144x * x = ????
     43 29 |

Passo 6: Riprendiamo il passo 4. Facendo 43/14, la prima ipotesi è 3, che ci va perfettamente bene (beh, l'esempio l'ho preparato apposta!)
  ________

√ 52.27.29 | 723
  49       |---------
  -----    | 143 * 3 = 429
   3 27    | 142 * 2 = 284
   2 84    |---------
   ----    | 1443 * 3 = 4329
     43 29 |
     43 29
     -----
         0

Nel caso il numero di cui stiamo calcolando la radice non fosse un quadrato perfetto, non ci sono problemi: come in una divisione, si continua ad aggiungere degli zeri, naturalmente in coppia.


Tratto da:
http://xmau.com/mate/art/radicequadrata.html

Perchè pubblico questo post nell'era dei computer ?
Per ricordare e allenare il cervello.
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Rizzieri Bruno

Nato a Ferrara nel 1918, caduto a Ferrara il 30 aprile 1944, operaio meccanico, Medaglia d'oro al Valor militare alla memoria.
Al momento dell'armistizio, Bruno Rizzieri era in forza, come aviere, all'aeroporto di Forlì. Decise subito di darsi alla macchia e di raggiungere il Ferrarese. Qui organizzò una formazione partigiana che, dopo la sua morte, avrebbe preso il suo nome. Il giovane, infatti, cadde durante uno scontro durante un'azione di sabotaggio. Questa la motivazione della massima ricompensa al valore, decretata alla memoria di Bruno Rizzieri: "Patriota di pura fede, primo organizzatore delle forze partigiane della sua zona, primo nelle azioni più rischiose, era di esempio per iniziativa, capacità, coraggio. Nel corso di una difficile azione di sabotaggio condotta insieme ad un commilitone, veniva sorpreso da superiori forze nemiche. Vista la gravità della situazione, faceva porre in salvo il compagno d'arme e affrontava audacemente da solo la pattuglia avversaria usando la sua arma con calma e fredda determinazione. Benché ferito, resisteva strenuamente agli attacchi nemici finché, colpito da più raffiche di mitra, immolava generosamente la sua esistenza alla causa della libertà inneggiando alla Patria".


La lapide si trova a Ferrara, in Viale IV Novembre, nel piccolo parco di fronte al n.82.

San Martino


  La nebbia agli irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;

ma per le vie del borgo
dal ribollir de' tini
va l'aspro odor dei vini
l'anime a rallegrar.

Gira su' ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l'uscio a rimirar

tra le rossastre nubi
stormi d'uccelli neri,
com'esuli pensieri,
nel vespero migrar.
 
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domenica 7 novembre 2010

Saluteremo il signor padrone

Saluteremo il signor padrone
per il male che ci ha fatto
che ci ha sempre maltrattato
fino all'ultimo momen'
Saluteremo il signor padrone
per la sua risera neta
pochi soldi in la casseta
ed i debiti a pagar

Macchinista macchinista faccia sporca
metti l'olio nei stantuffi
di risaia siamo stufi
Macchinista macchinista faccia sporca
metti l'olio nei stantuffi
di risaia siamo stufi
a casa nostra vogliamo andar
 
Con un piede con un piede sulla staffa
e quell'altro sul vagone
ti saluto cappellone
ti saluto cappellone
Con un piede con un piede sulla staffa
e quell'altro sul vagone
ti saluto cappellone
a casa nostra vogliamo andar 


Il lavoro delle mondine era massacrante: lontane da casa, sottoposte a turni disumani in condizioni ambientali spesso proibitive, ricevevano una paga irrisoria ed erano alla mercé del proprietario della risaia, padrone assoluto delle loro esistenze. La fine del periodo di lavoro era per loro un vero e proprio ritorno alla vita.
Il "cappellone" cui si allude nei versi finali di questa canzone è probabilmente il largo cappello di paglia che le mondine usavano per proteggersi dal sole e che può finalmente essere abbandonato al momento di tornare a casa.
 Testo della canzone e commento tratti da:



sabato 6 novembre 2010

Bella Ciao

Il seguente testo è quello più diffuso, con tra parentesi alcune varianti:

« Una mattina mi son svegliato,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
e ho trovato l'invasor.

O partigiano, portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
O partigiano, portami via,
ché mi sento di morir.

E se io muoio da partigiano,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E se io muoio da partigiano,
tu mi devi seppellir.

E seppellire (Mi porterai) lassù in (sulla) montagna,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E seppellire (Mi porterai) lassù in (sulla) montagna
sotto l'ombra di un bel fior.

E (Tutte) le genti che passeranno
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
E (Tutte) le genti che passeranno
Mi diranno «Che bel fior!»

«È questo il fiore del partigiano»,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
«È questo il fiore del partigiano
morto per la libertà!» » 

Bella ciao -
Bella ciao - Modena City Ramblers
Bella ciao - Modena City Ramblers e Paolo Rossi
Bella ciao - Simone Cristicchi e Minatori di Santa Fioria 1/5/2010

La canzone delle mondine:

Alla mattina appena alzate
Oh bella ciao bella ciao
Bella cia ciao ciao
Alla mattina appena alzate
Laggiù in risaia ci tocca andar

E fra gli insetti e le zanzare
Oh bella ciao bella ciao
Bella ciao ciao ciao
E fra gli insetti e le zanzare
duro lavoro ci tocca far

O mamma mia oh che tormento
Oh bella ciao bella ciao
Bella ciao ciao ciao
O mamma mia oh che tormento
io ti invoco ogni doman

Ma verrà il giorno che tutte quante
Oh bella ciao bella ciao
Bella ciao ciao ciao
Verrà un giorno che tutte quante
lavoreremo in libertà

testo tratto da:
"Il fischio del vapore"
Francesco De Gregori
Giovanna Marini

venerdì 5 novembre 2010

Bungagiorno

Gli americani sono dei quaccheri. Lì un presidente può fare bunga bunga con Marilyn Monroe o una stagista della Casa Bianca, ma se telefonasse all’Fbi per far rilasciare una minorenne arrestata per furto, oltretutto spacciandola per nipotina di Mubarak, sarebbe costretto a dimettersi alla velocità della luce. E se dicesse di averlo fatto perché è un uomo di buon cuore? Peggiorerebbe soltanto la situazione. L’abuso di potere, la sacralità della carica, bla-bla.

Che perbenismo triste, che formalismo ipocrita. E la Francia giacobina? Neanche a parlarne. Lì un presidente può tenere nascosta una figlia tutta la vita come Mitterrand o sposare una modella col birignao più appuntito delle caviglie, ma se telefonasse alla Gendarmerie per far rilasciare una minorenne arrestata per furto, oltretutto spacciandola per nipotina di Mubarak, sarebbe costretto a ritirarsi a vita privata. I francesi non hanno una storia alle spalle che consenta loro di apprezzare certi slanci liberali. Sapranno cucinare le omelette, ma la democrazia non gli è mai riuscita bene. I tedeschi, poi: luterani, gente fanatica. Lì un cancelliere non telefonerebbe al Polizeipräsidium neanche per far rilasciare la propria, di nipotina, altro che quella di Mubarak. Ecco, forse solo in Egitto, dove la democrazia affonda nei millenni (i famosi Faraoni della Libertà), il presidente telefonerebbe alla polizia per far rilasciare una minorenne arrestata per furto. Ma non la spaccerebbe per nipotina di Mubarak, essendo lui Mubarak. Semmai per nipotina di Berlusconi: esisterà, al riguardo, un accordo bilaterale?

Massimo Gramellini
La Stampa - 29/10/2010

Giovinezza ciao

Davvero fosforica l’idea concepita dal Festival di Sanremo per i 150 anni dell’Italia unita: eseguire sul palco «Bella ciao» e «Giovinezza», rispettivamente colonna sonora della Resistenza e dei pestaggi squadristi. Erano italiani anche quelli, no? Come l’olio d’oliva e l'olio di ricino, la Costituzione e le leggi razziali. Ah, le forzature della par condicio! Perché le due canzoni non sono proprio la stessa cosa. «Bella ciao» è la torva nenia dei partigiani rossi ed evoca cosacchi a San Pietro e santori ad Annozero. Invece «Giovinezza» trasuda ottimismo spensierato: ti mette subito voglia di afferrare un manganello e scendere in strada a sgranchirti un po’. Come dite, organizzatori del Festival dell’Ipocrisia? «Giovinezza era l’inno della goliardia toscana del primo Novecento». Ma certo. E' per questo che è famosa. E’ per questo che volete trasmetterla in eurovisione. Per rendere omaggio a quel fenomeno ingiustamente sottovalutato che fu la goliardia toscana del primo Novecento. E «Faccetta nera» allora, era lo slogan di una crema abbronzante?

Peccato che tanti italiani saliti in montagna o internati in Germania dopo l'8 settembre non siano più qui a commentare questo gemellaggio ardito (in ogni senso): vi avrebbero spiegato la differenza fra «Bella ciao» e «Giovinezza» meglio di me, anche se con toni meno ilari. Provo a condensare il loro pensiero: il fascismo è stato un regime dittatoriale precipitato in catastrofe, non può essere banalizzato in questo modo. In nessun modo. Vi sembrerà incredibile, ma non tutto fa spettacolo nella vita.

Massimo Gramellini






La Stampa - 4/11/2010
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sabato 30 ottobre 2010

Considerazioni

Nulla v'è per una città più nemico che un tiranno, quando non vi siano anzitutto leggi generali, e un uomo solo ha il potere, facendo la legge egli stesso a se stesso.

Euripide

LussuriaÈ lussurioso chi si fa travolgere dal sesso, chi è malato di desiderio e riesce perfino a dedicare al piacere carnale il tempo che dovrebbe dedicare alle faccende quotidiane. 
 

DA WIKIPEDIA:

La lussuria è l'abbandono lascivo al piacere sessuale. Una persona lussuriosa agisce solo con lo scopo di sedurre altri per avere rapporti. Spesso un lussurioso tende a mettere in mostra tutte le sue doti che giudica "attraenti" e si offre in maniera diretta (tentando di sedurre) o indiretta (ad esempio tenendo la camicia eccessivamente sbottonata). Chi è afflitto da questo peccato, per sedurre, punta solo sulla dimostrazione delle sue doti fisiche o intellettuali, non potendo contare su un' intesa sentimentale, infatti tende e svalutare i partners, da lui considerati solo degli oggetti utili a raggiungere il piacere. Oltre che per la ricerca del piacere l'atto sessuale è per una persona lussuriosa anche dimostrazione di forza. Nella società occidentale il termine lussuria non è più molto usato, in quanto si ritengono normalmente accettabili i comportamenti sessuali che coinvolgono adulti consenzienti.

San Bartolomeo in Bosco (Ferrara)


La guerra è ancora lontana, ma ben presto arriverà anche nel nostro piccolo paese. Il 1943 è un anno denso di avvenimenti. Il 28 giugno si celebra solennemente a Ferrara il terzo anniversario della morte di Italo Balbo, scomparso in Africa solo diciotto giorni dopo l’entrata in guerra dell’Italia; la presenza di personalità politiche e militari è massiccia e ben otto di loro, il 24 luglio, durante l’ultima  riunione del  Gran Consiglio, avrebbero votato l’ordine  del  giorno Grandi che portò alla caduta di Mussolini. I firmatari dell’o.d.g. Grandi[1] presenti a Ferrara  erano: lo stesso Grandi, i quadrumviri De Bono[2] e De Vecchi[3] ed i fascisti ferraresi Gottardi[4], Pareschi[5], Rossoni[6], Bignardi[7] ed Albini[8].

A San Bartolomeo sarebbero successi dei fatti gravi ma già da tempo il piccolo paese era stato teatro di avvenimenti ricordati anche nei libri di storia del fascismo. Come scrive Alessandro Roveri, nel suo libro Le origini del fascismo a Ferrara 1918/1921, “….. Il 27 febbraio 1921, domenica,  si verificò il primo passaggio di una lega, quella di San Bartolomeo in Bosco, al “sindacalismo” fascista: fatto “clamoroso” che, dal Chiurlo ( o Chiurco?) [9] in poi, è apparso con doveroso rilievo in tutte le storie del fascismo. Ma di clamoroso il fatto non aveva proprio nulla, se non in rapporto all’inguaribile ottimismo (ottimismo dell’intelligenza, purtroppo per loro, più che della volontà) dei dirigenti del movimento operaio di ogni tendenza.  Dal dicembre 1920 la lega di San Bartolomeo in Bosco si trovava decapitata essendosi sottratto con la latitanza il capolega Vancini alla condanna per estorsione poi intervenuta il 17 gennaio 1921; in mezzo all’infuriare della violenza fascista , ben protetta dalla forza pubblica, nessuno ebbe il coraggio di sostituire Vancini; mentre dal canto suo il “sindacato” fascista prometteva la terra ai contadini. I poveri braccianti di San Bartolomeo in Bosco, abituati per anni, anche durante i periodi di predominio del sindacalismo rivoluzionario, ad ottenere occupazione attraverso il potere contrattuale della lega e i lavori pubblici procurati dal ministerialismo riformista, fecero un ragionamento molto semplice: il riformismo non poteva ora dare più nulla, la rivoluzione non sarebbe più venuta, l’occupazione la promettevano i fascisti, a non andare con i quali c’era solo da rischiare bastonate e revolverate senza possibilità di difesa. Perché dunque fare gli eroi e non provare? Per queste ragioni l’ex sindacalista rivoluzionario Pilo Ruggeri, recatosi a San Bartolomeo in Bosco, parlò e “guadagnò al fascio il sindacato operaio.”  Fu un facile veni, vidi, vici.” [10]

Già nell’agosto del 1919, Alfredo Volta, un possidente della frazione del comune di Ferrara, denominata San Bartolomeo in Bosco, vi fondava, di sua iniziativa, all’indomani del suo congedo dall’esercito, il circolo antibracciantile Patria e Libertà, ottenendo l’adesione di una quarantina di piccoli proprietari e piccoli affittuari. Ma il tentativo era prematuro: la locale lega reagì energicamente, boicottando gli aderenti al circolo, che dovette sciogliersi con la stessa rapidità con la quale si era costituito.[11]
 Lo strascico di reciproco risentimento determinato da questo episodio farà di San Bartolomeo in Bosco un terreno particolarmente fertile per il dinamismo fascista. 
 

 [1] Dino Grandi, conte di Mordano (Mordano, 4 giugno 1895 – Bologna, 21 maggio 1988)
 [2] Emilio De Bono (Cassano d'Adda, 19 marzo 1866 – Verona, 11 gennaio 1944)
 [3] Cesare Maria De Vecchi (Casale Monferrato, 14 novembre 1884 – Roma, 23 giugno 1959)
 [4] Luciano Gottardi (San Bartolomeo in Bosco, 19 febbraio 1899 – Verona, 11 gennaio 1944)
 [5] Carluccio Pareschi (Poggio Renatico, 19 agosto 1898 – Verona, 11 gennaio 1944)
 [6] Edmondo Rossoni (Tresigallo, 6 maggio 1884 – Roma, 8 giugno 1965)
 [7] Annio Bignardi
 [8] Umberto Albini
 [9] Giorgio Alberto Chiurco 1896/?
[10]  Cfr. A.Roveri, Le origini del fascismo a Ferrara, Feltrinelli 1974, pag. 166