giovedì 22 dicembre 2016

AUGURI

A u g u r i

NonnoKucco augura a tutti i lettori di questo blog

BUON NATALE e FELICE ANNO NUOVO


Merry Christmas and Happy New Year

Wesołych Świąt i Szczęśliwego Nowego Roku 

En frehlicher Grischtdaag un en hallich Nei Yaahr

Joyeux Noël et bonne année

Prettige kerstdagen en een Gelukkig Nieuwjaar!
Zalig kerstfeest en Gelukkig Nieuwjaar



明けましておめでとうございます
旧年中大変お世話になりました
本年もよろしくお願いいたします

С Рождеством Христовым
С наступающим Новым Годом


¡Feliz Navidad y próspero año nuevo!  

Vesel božič in srečno novo leto


Nollaig Shona agus Athbhliain Shona 

З Різдвом і Новим Роком

Feliĉan Kristnaskon kaj Bonan Novjaron  

venerdì 25 novembre 2016

LUDOVICO ARIOSTO - Poeta

LUDOVICO ARIOSTO - Poeta

Ludovico Ariosto è stato un poeta e commediografo italiano, autore dell' Orlando furioso.
È considerato uno degli autori più celebri ed influenti del suo tempo. 

L' 8 settembre 1474, nasceva, a Reggio Emilia, da Nicolò, di nobile famiglia ferrarese, e da Daria Malaguzzi Valeri, reggiana. Il padre, allora capitano della cittadella, al servizio di Ercole I d'Este, fu, a varie riprese, accusato di prepotenze e di malversazione e soggetto a trasferimenti: nel 1481 dovette andare a Rovigo, da dove però la guerra per il commercio del sale, tra Venezia e Ferrara 1482/1484 lo indusse ad allontanarsi, cercando rifugio di nuovo a Reggio; nel 1484 poteva stabilirsi ancora Ferrara e vi occupò le cariche di Collaterale dei soldati, e poi di Giudice dei dodici savi.

Data di morte: 6 luglio 1533, Ferrara

Luogo di sepoltura: Biblioteca comunale Ariostea, Ferrara

Coniuge: Alessandra Benucci

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Nell' ottobre 1515  l' Orlando furioso era compiuto, come risulta da una petizione dell'Ariosto  al doge di Venezia per ottenere privilegi di stampa per il poema, scritto "per spasso et  recreatione de Signori et persone di anime gentili et madonne»: la prima edizione, in 40 canti, usciva nel 1516 in Ferrara, presso la tipografia di Giovanni Mazzocco di Bondeno , ed era dedicata al cardinale Ippolito.

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Ludovico Ariosto in un ritratto disegnato da Tiziano e inciso da F. Marcolini nell'edizione dell'Orlando furioso (Ferrara 1532)

Finito di stampare il 29 ottobre 1985 dalla Garzanti Editore s.p.a., Milano. Collana "i grandi libri Garzanti", " 2 volumi - In copertina: particolare di "Angelica, Rodomonte e l'orca" dipinto attribuito a Gerolamo da Carpi. El Paso (Texas), Museum of Art (Kress Collection).


mercoledì 23 novembre 2016

PAOLO MALAGUTI

PAOLO MALAGUTI

Monselice (PD) 6 settembre 1978

Vive ad Asolo e insegna Lettere al Liceo "Brocchi" di Bassano del Grappa.

Ha scritto:

- SUL GRAPPA DOPO LA VITTORIA, Santi Quaranta - 2009

- SILLABARIO VENETO, Santi Quaranta -2011

- I MERCANTI DI STAMPE PROIBITE, Santi Quaranta - 2013

- LA RELIQUIA DI COSTANTINOPOLI, Neri Pozza - 2015

- NUOVO SILLABARIO VENETO, Neri Pozza - 2016

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Rapporto di parentela tra Paolo Malaguti e NonnoKucco

venerdì 18 novembre 2016

FERRARA - ADAMO BOARI - ARCHITETTO

FERRARA - ADAMO BOARI - ARCHITETTO

Marrara (Fe) 22/10/1863
Roma 24/2/1928

Marrara (Fe) - Via del Vescovo 95

Un ingegnere ferrarese in Messico


Il Gran Teatro Nacional, oggi Palacio de Bellas Artes. durante la costruzione, nel 1912.Adamo Boari, fra classicità rinascimentale e inquietudini novecentesche

Negli anni della formazione di Adamo Boari, che lo porteranno dalla natia Ferrara a laurearsi appena ventitreenne alla Facoltà di Ingegneria dell'Università di Bologna, il dibattito sull'architettura prende una strada affatto inedita nella storia europea, perché diventa prima di tutto dibattito sull'ingegneria, e più precisamente sui rapporti di questa con i valori dell'estetica e dell'arte. Si potrebbe anzi dire che le straordinarie conquiste della tecnica delle costruzioni, rese possibili dai nuovi impieghi della ghisa e dell'acciaio con le incredibili realizzazioni delle Esposizioni Universali, da Paxton a Eiffel, sposti l'attenzione del pubblico e di molti uomini di cultura dai temi sempre più rarefatti e controversi dello stile a quelli ben più concreti e apprezzabili della scienza applicata e delle conquiste da questa consentite. Il problema tuttavia non è banale.

Nelle scuole di ingegneria  mi si perdoneranno le inevitabili semplificazioni cui una breve esplorazione come la presente obbliga- ci si fa, in genere, paladini della più immobile tradizione accademica, sostenendo il classicismo più vieto e conformista, dato l'interesse scarso o nullo per la ricerca stilistico-formale, quando uno stile "classico" universalmente (e
anche piuttosto acriticamente) accettato finiva per essere "un problema di meno"; l'interesse della categoria si riversava piuttosto sulla ricerca tecnologica e sulla sperimentazione dei nuovi materiali che l'industria iniziava a mettere a disposizione dei costruttori: la ghisa, l'acciaio, il calcestruzzo armato con barre di ferro.


La facciata del Gran Teatro Nacional di Città del Messico.Al contrario, all'interno delle Scuole di Belle Arti, il dibattito sullo stile è più acceso che mai, ed è pressante l'esigenza di rottura dei canoni classici, quale necessaria premessa all'invenzione di stili nuovi o alla riscoperta revivalistica (ma non per questo meno rivoluzionaria) di canoni da tempo desueti come il gotico, nell'esplicito intento di rompere il conformismo dell'Accademia, che automaticamente nega, con il suo porsi in termini definitivi e universali, qualsiasi possibile rinnovamento del linguaggio architettonico, qualsiasi evoluzione verso una poetica figurativa nuova.
E' interessante notare poi come entrambe le scuole di pensiero finiscano per convergere verso un risultato del tutto simile, ossia verso lo sbocco eclettico, pur con provenienze da direzioni opposte: gli ingegneri per una sostanziale indifferenza verso i valori del linguaggio architettonico, che porta all'automatica e rassicurante adesione a tutto quanto tramandato e in qualche modo omologato dalla storia; gli architetti, nell'ansia di innovazione e ricerca di qualcosa di affatto nuovo (o rivoluzionario in quanto riecheggiante gli stilemi di un medioevo vitale perché preaccademico) cui non corrisponde, però, se non molto raramente, un'autentica forza di invenzione poetica e di ricerca stilistica; non stupisce allora che sia ormai alle porte il pasticcio che con garbato disincanto farà riflettere il musiliano Uomo senza qualità sul fatto che, lungo le strade dei nuovi quartieri di Vienna, si allineassero e facessero mostra di sé tutti gli stili "dall'assiro al cubista" (e non era forse ingegnere anche lo stesso Musil?).

La palazzina fatta costruire da Boari in Corso Ercole, a Ferrara.Esattamente negli anni in cui questo dibattito si accende fino a raggiungere, a tratti, i toni della più aspra polemica, Adamo Boari termina gli studi di ingegneria e inizia la sua fulminante carriera professionale che lo porterà, nel volgere di pochi anni, dall'Italia al Brasile, agli Stati Uniti e, infine, in Messico, dove realizzerà le sue opere più importanti. Tornerà definitivamente in Italia nel 1916, in seguito alla rivoluzione messicana, stabilendosi a Roma e con frequenti ritorni nella sua Ferrara, dove farà realizzare dal fratello Sesto (ma con ogni probabilità su suo proprio disegno) una palazzina in "stile Rinascimento" nella strada che è l'icona della Ferrara estense: via dei Piopponi, oggi Corso Ercole I d'Este.
Difficile oggi una valutazione critica reale e approfondita delle opere maggiori e più importanti di Adamo Boari, se non visitandole direttamente in Messico, impresa che non mi risulta a oggi intrapresa da alcuno studioso ferrarese e neppure italiano. Una volta tornato in Italia, infatti, l'opera di Adamo non va molto oltre una serie di proposte e progetti che rimangono in massima parte sulla carta, mentre sarà il fratello Sesto colui che realizzerà concretamente architetture che però, per dimensioni e importanza, non possono essere paragonate con quelle messicane del fratello maggiore, anche se rimangono per noi di grande interesse perché è del tutto probabile che nelle opere di Sesto non manchi la superiore forza ispiratrice di Adamo.

Il palcoscenico del Gran Teatro Nacional di Città del Messico durante la costruzione. Per certo, le immagini del Palacio de Correos di Città del Messico ci suggeriscono la volontà lucida di un progettista di solida impostazione ingegneristica, che impone all'intorno urbano una massa imponente, ma non muscolosa, e che sa alleggerire con le merlettature al di sopra della loggia all'ultimo piano (purtroppo gravemente danneggiata col terremoto del 1985) un volume che appare comunque imponente e maestoso, pur se carente nel trattamento tridimensionale delle facciate, che rimangono, in definitiva, ancorate ai piani di riferimento cartesiani, senza che la luce possa penetrarvi a conferire chiaroscurale profondità. L'apparato ornamentale appare controllato (fatto non banale, date le mode dell'epoca), pur con il ricorso a stilemi di chiara ispirazione eclettica in cui riecheggiano -fra gli altri- timbri moresco-orientaleggianti.

D'altro canto, ancora oggi, non è scontato per un europeo liberarsi dalla fuorviante semplificazione che il Messico sia l'"Egitto d'America".
Di certo il limite ingegneristico del Boari si rivela a una riflessione sulla data di costruzione del Palacio de Correos, il 1907, quando si rifletta sul fatto che F. L. Wright avrebbe completato solo due anni più tardi la Robie House su Oak Park, e che nel 1910 i viennesi sarebbero stati sconvolti dal palazzo sulla Michaelerplatz di un Adolf Loos quarantenne. Peraltro, sempre a Vienna, nel 1905 Otto Wagner aveva completato il palazzo della Banca Postale con ben altri esiti sul piano della capacità di inserimento nella scena urbana e del controllo architettonico e dell'ornato, mentre a Glasgow Mackintosh già aveva realizzato la sua Hill House e Bruxelles aveva conosciuto i nitidi volumi marmorei di Hoffmann.

Più interessante per noi è forse l'analisi dell'altra gigantesca costruzione messicana di Adamo Boari, realizzata in immediata prossimità al Palacio de Correos, ossia il Gran Teatro Nacional, oggi Palacio de Bellas Artes, a partire dal 1904. Poiché la costruzione venne terminata solo nel 1934, Boari non la vide mai finita, anche se non mancano testimonianze di un suo coinvolgimento continuato nel progetto ancora dall'Italia, in costante contatto con l'architetto messicano Federico Mariscal, incaricato di portare a termine la costruzione del teatro dopo il ritorno in patria del nostro. Se i primi disegni del nuovo Teatro Nacional risalgono al 1902, è del tutto probabile che Boari avesse ben presente quanto realizzato a Parigi per l'Esposizione Universale del 1889, e nello specifico la Rotonda di Jean-Camille Formigé, sia per la tecnologia di costruzione in acciaio rivestito in lastre marmoree, sia per l'imponente consistenza dell'edificio sormontato da una cupola, (con l'immancabile alata, che però guida la fantasia dell'osservatore più che alla Samotracia alle vecchie macchine del caffè) in posizione prospettica e centrale nel suo contesto monumentale.


Interno del Gran Teatro Nacional di Città del Messico.La realizzazione messicana appare però meglio imbastita e giocata con maggiore sapienza spaziale per gli effetti tridimensionali del pronao semicircolare d'andito e delle sovrapposte arcate che ne scavano la facciata in profondità arricchendola di un effetto chiaroscurale che manca nella costruzione parigina, e finisce per offrire un risultato assai più convincente, pur nell'affinità dell'impostazione, evidente sul piano della tecnologia di costruzione.
Significativa, pur nella dimensione contenuta, è certamente la casa di abitazione di Adamo Boari a Città del Messico, realizzata nel 1899 nella Calles de Monterrey y Álvaro Obregón, che per i muri lisci e la quasi totale assenza di ornato viene ancor oggi considerata il prototipo dell'architettura moderna in Messico.

Qui, ancora, i nitidi piani che definiscono le facciate vengono scavati in profondità dal portico di ingresso e dalla sovrapposta loggia, ma la forma delle forature e degli incavi della facciata, pur riecheggiando stilemi nouveau di chiara ascendenza europea, nulla hanno a che fare con la "goticità" verticale di Horta; sono semmai superfici nette che anticipano il pieno controllo volumetrico di un Van de Velde e che, più di tutto, sembrano porre le basi della poetica delle ville ferraresi di Sesto, e che sono così ferraresi perché, pur nella novità del linguaggio e non esenti dagli inevitabili conformismi stilistici del loro tempo, sono permeate di quella classicità rinascimentale che non a caso si trova radicata così fonda nei due fratelli ferraresi. Certamente l'opera di Adamo Boari andrebbe ancora studiata e approfondita, soprattutto attraverso una diretta presa di contatto con le maggiori opere messicane e con l'analisi degli ultimi grandiosi progetti come quello per la Società delle Nazioni a Ginevra; impossibile quindi per noi tirare somme in questa sede, se non con l'invito a rileggere le belle monografie di Alessandra Farinelli Toselli, Lucio Scardino, Angela Ammirati e Marica Peron. Quel che oggi possiamo dare per definitivamente acquisita è la figura di un grande  ingegnere ferrarese, un accorto e sapiente costruttore, un uomo di cultura attento ai valori della storia e della tradizione fino a farsi egli stesso archeologo, un disegnatore di mano rapida dotata della geniale capacità di sintesi che a tratti ricorda Edwin Lutyens, suo lontanissimo contemporaneo. Più di tutto, un progettista che ha assorbito della città natale l'atmosfera unica e irripetibile del suo Rinascimento, e ne ha riportato lo spirito in paesi lontani, forse ultimo ambasciatore dei Duchi d'Este.

Articolo di Andrea Veronese
pubblicato sul n. 27/Dicembre 2007
su
FERRARA - VOCI DI UNA CITTA'
edizione Fondazione Cassa di Rispermio di Ferrara.

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martedì 15 novembre 2016

FERRARA - ANNIBALE ZUCCHINNI - Artista, scultore, pittore.

FERRARA - ANNIBALE  ZUCCHINNI - Artista, scultore, pittore.

Ferrara 1891 - Garbagnate Milanese 1970


A Ferrara, in Via Carlo Mayr n. 110, unitamente alla famiglia Picchiatti  è ricordato  Annibale Zucchini:


(Testo)QUESTA CASA EDIFICATA ALLA META' DEL SECOLO XVI
FU COSTRUITA E A LUNGO ABITATA
DALL'ANTICA FAMIGLIA PICCHIATTI

BARTOLOMEO PICCHIATTI E FRANCESCO ANTONIO
SUO FIGLIO FURONO ILLUSTRI ARCHITETTI
OPEROSI ALLA CORTE DI NAPOLI NEL SECOLO XVII

IN TEMPI RECENTI IN QUESTA CASA VISSE
TUTTI GLI ANNI CREATIVI DELLA SUA VITA
FIGLIO DELLA SOLITUDINE
ANNIBALE ZUCCHINI
ARCHITETTO E SCULTORE
ULTIMO MAESTRO DELL'OFFICINA FERRARESE

MAGGIO 1974

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 Annibale Zucchini pittore

Scritto da  Carlo Bassi sulla rivista 
FERRARA - VOCI DI UNA CITTA'
(n. 27 del Dicembre 2007)
Edizione Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara.
 
Un grande dipinto ritrovato, immagine dei sogni e delle tensioni di una generazione nell'immediato dopoguerra.



Ripensare ai mesi che seguirono al luminoso aprile del 1945, quando finalmente pareva potessero fiorire i cento fiori dei sogni covati nei rifugi in attesa delle bombe o, lontano, sui fronti della guerra o su quelli delle montagne, è scoprire come fosse difficile (e come sia ancora oggi inspiegabile), sconvolti da tanti mesi di vita precaria, trovare un assetto mentale che potesse essere chiaramente descrivibile.
Facevamo un giornale, Incontro, che orgogliosamente voleva parlare di politica, arte, letteratura; ci sentivamo finalmente protagonisti del cambiamento, volevamo guardare il mondo oltre le mura della città, uscire dalla nebbia che aveva avvolto i nostri pensieri per tanto tempo, seguendo una tensione al nuovo che pareva essersi spalancato davanti a noi.


Nello stesso tempo leggevamo libri che narravano la sofferenza e la fatica di vivere e su quelle pagine si modellavano i nostri pensieri più segreti, il nostro dire: Cronache di poveri amanti di Pratolini, Bubu di Montparnasse di Charles Louis Philippe, Pierrot amico mio di Queneau. La dura realtà narrata in quelle pagine diventava tedio, spleen, che trasferivamo in brani narrativi che aprivano ogni numero del giornale.
Anche Giorgio Bassani scriveva, appartato, le sue storie di poveri amanti con versi che scandivano questa intensa, irresoluta sofferenza: Sei solo ormai: in un fumo amaro sopra funeste / solitudini di acque arrossa languido il fuoco / di nostalgici incendi le solenni foreste. C'erano anche importanti riferimenti figurativi: i disegni di Giovanni Testori esposti da Taddei, la montagna di testine modellate da Annibale Zucchini pronte per essere distrutte dal furore di un insoddisfatto gesto creativo, immortalata nell'opera prima di Florestano Vancini.

Si viveva una incredibile miscela esistenziale che sconvolgeva il fare e il pensare dei giovani protagonisti di quei tempi come noi eravamo. Nel cuore di queste tensioni mi appaiono figure significative la cui memoria si fa tenerezza: Adolfo Baruffi, finissimo letterato; Bruno Pultrini, olimpico tessitore di amicizie; Giorgio Bissi, realista politico senza dubbi; Claudio Varese, il Maestro di tutti noi. Ma chi incarnava in pieno quella sofferenza come sigla della vita era Annibale Zucchini, più maturo di anni di noi, ma giovanissimo nello spirito e con una capacità straordinaria di cogliere le tensioni dei tempi.

E' in questa temperie che nasce il dipinto appena scoperto sulla parete di





una casa di via Ragno 15/A e che tutti noi abbiamo visto realizzarsi nel lento lavoro dell'artista. Zucchini, in quella stagione del suo lavoro, insieme alle "Teste" modellava statue di grandi dimensioni, "I Giganti": per spostarle negli spazi angusti del suo studio, si faceva aiutare da alcuni facchini, dei quali era diventato amico, che lavoravano al carico e scarico nei vari mercati della città.
Questi operai, comunisti duri e puri, avevano una loro cellula di partito in via Ragno, in un sottotetto, che era conosciuta come la fogna: aveva adottato il nome sommamente spregiativo, ma emblematico, che i fascisti davano ai luoghi che dovevano ‘ripulire' nelle loro scorribande contro gli avversari del regime.

Su una parete di questo luogo Zucchini avrebbe dovuto celebrare le glorie del partito comunista; glielo avevano chiesto, vincendo la sua riluttanza, i suoi amici facchini militanti della cellula. Il risultato sarà invece l'immagine, l'emblema, il simbolo dell'atmosfera che ho appena descritto. Lo scultore rivela le doti pittoriche che aveva sperimentato in anni lontani e dipinge come un affresco, nei modi dei maestri medioevali: operai che costruiscono (i temi di Ferdinand Leger), simboli del lavoro e del partito che danno il senso alla composizione e, a lato, appoggiato a una vasca, un libro: Cronache di poveri amanti, il romanzo di Pratolini.

In questo dipinto, meritevolmente recuperato dopo più di mezzo secolo dalla sua




scomparsa, e nuovamente visibile per la cortesia del signor Angelo Laterza, titolare della Osteria degli Ulivi, è concentrata l'immagine di tutta la nostra condizione esistenziale di quei tempi: il lavoro, la gioia e l'orgoglio per ‘la città che sale' (il fantastico tema di Boccioni), costruita dalla fatica dell'uomo e illuminata dal sole dell'avvenire, e la tristezza della vita, il tedio esistenziale esemplificato nella ‘figura' di un romanzo che narra di tristezza e di povertà senza riscatto, le cui pagine nutrivano le nostre attese.
Se qualcuno scriverà la storia della nostra generazione e si soffermerà su quegli anni a Ferrara, non potrà prescindere dai significati che quel dipinto contiene e comunica.

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Links correlati:

Wikipedia

Annibale Zucchini

Chi era Costui - Annibale Zucchini

sabato 12 novembre 2016

FERRARA - GIOVANNI GROSOLI PIRONI - frammenti di storia

GIOVANNI GROSOLI PIRONI

Carpi 20/8/1859
Assisi 20/2/1937


A Ferrara, in via Montebello 33, una lapide ricorda Giovanni Grosoli Pironi:




(Testo)

IL SENATORE GIOVANNI GROSOLI PIRONI
NATO A CARPI IL 29 AGOSTO 1859
DECEDUTO IN POVERTÁ AD ASSISI
IL 20 FEBBRAIO 1937
QUI SVOLSE GENEROSA E INDEFESSA ATTIVITA
PER L'INGRESSO DEI CATTOLICI
NELLA VITA PUBBLICA DEL PAESE
DALLA TORMENTOSA VIGILIA
ALLA CONCILIAZIONE FRA CHIESA E STATO
_____

LA GIUNTA DIOCESANA DI AZIONE CATTOLICA
E I SUPERSTITI AMICI E DISCEPOLI
RICONOSCENTI
______

16 NOVEMBRE 1963

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Anche nel più grande museo all'aperto d'Italia

http://www.chieracostui.com/costui/docs/search/schedaoltre.asp?ID=15292

è presente la scheda di Giovanni Grosoli Pironi.

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Per saperne di più:
 - Giovanni Grosoli Pironi
 - Scheda senatore GROSOLI Giovanni

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Articolo pubblicato su

FERRARA - VOCI DI UNA CITTA'
Rivista semestrale di cultura, informazione e attualità della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara
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Un collateralismo ingombrante

Scritto da  Romeo Sgarbanti 
 
Giovanni Grosoli, promotore del Centro Nazionale Italiano (1924-1930)

Il senatore Giovanni Grosoli diede vita il 12 agosto 1924 in Bologna al Centro Nazionale Italiano, in affiancamento a Mussolini, vedendo nel fascismo la possibilità di una rinascita religiosa dell'Italia e l'uscita da una situazione di disordine sociale. Il fascismo gli sembrava una soluzione tutto sommato accettabile. Egli era, inoltre, contrario alla politica di opposizione al fascismo del Partito Popolare, valutandola nociva agli interessi cattolici.
Acutamente Carlo Arturo Jemolo commentò: «Per chi conosca il mondo cattolico, non è dubbio che, se Grosoli, Santucci, Crispolti hanno lasciato il partito, è che hanno avuto la certezza di attuare il pensiero non espresso, di prevenire il desiderio di Pio XI». Invero, la Santa Sede, intuendo la tendenza inarrestabile di un partito ormai avviato a diventare regime, con partiti all'opposizione impotenti a modificare il corso degli eventi, avvertiva il disagio della presenza del Partito Popolare che, pur formato prevalentemente da cattolici, non era mai stato delegato il ruolo di tutelare gli interessi cattolici, tanto meno nella condizione di una vita pubblica ormai dominata dal fascismo. Il Card. Gasparri, da Segretario di Stato, si lasciò guidare dal realismo: evitare l'esistenza di un solo partito di ispirazione cristiana all'opposizione, affiancandolo con un movimento politico di cattolici che, ponendosi su un piano collaborativo, riuscissero a influenzare le direttive su questioni di carattere religioso. Il Grosoli, dunque, nel promuovere il C.N.I. assecondò un'esigenza vitale della Chiesa in quel momento storico, pur sapendo che la Santa Sede avrebbe trattato il C.N.I. con distacco, ritenendo tutti i cattolici impegnati nell'agone politico tenuti ad assumersi la paternità dei propri comportamenti.
Rispetto al Grosoli occorre temperare le interpretazioni sul clerico-fascismo: non tutto è applicabile alla lettera. Egli non condivise mai il fascismo come ideologia, i. Non si confuse mai politicamente con il fascismo, pur guidando un movimento in posizione collaterale. Tutta la sua vita fu impegnata ad infrangere l'isolamento in cui i cattolici, attivi nella loro professione di fede, erano tenuti nel Paese. Egli non modificò la sua linea nemmeno di fronte al fascismo.
Si può addebitargli un'erronea valutazione del fascismo. Ma in questo fraintendimento della potenziale natura del fascismo non fu solo. Statisti sperimentati quali Giolitti, Orlando, Salandra ed intellettuali non di secondo piano, come Croce, intesero il fascismo come un fenomeno transitorio che, restaurato l'ordine sociale, avrebbe saputo rispettare le istituzioni liberali, rientrando nell'alveo della legalità. Inoltre il fascismo non rivelò subito il suo vero volto, anzi inizialmente si era presentato come restauratore dello Stato liberale. Il Grosoli, pubblicamente stimato per la sua integrità morale, con un seguito ancora autonomo dal fascismo nelle valutazioni morali e nel giudizio politico, faceva ombra alla logica dell'assolutismo politico fascista.
L'intervenuta instabilità di banche cattoliche, compreso il "Piccolo Credito" di Ferrara, entrate in difficoltà per immobilizzi in investimenti eccessivi, che avevano privato queste banche della loro liquidità, si prestò per una  definitiva liquidazione economica e politica di un collateralismo divenuto ingombrante. Fu sufficiente il mancato intervento della Banca d'Italia per mettere fuori gioco il grosolismo, la spina dorsale del C.N.I. Nell'anno medesimo della Conciliazione il Grosoli, spogliato di tutto, si autoesiliò in Assisi, ospite di un convento di Suore Francescane stimmatine, che gestivano un orfanotrofio in passato da lui beneficato.
L'anno successivo, nel luglio del 1930, il C.N.I. decretò il proprio scioglimento.

Pubblicato nel  Num. 27 - Dicembre 2007


I MISTERI DELLA PASTA COTTA DUE VOLTE

http://www.ilfattoalimentare.it/pasta-spaghetti-essiccazione-temperatura.html

I misteri della pasta cotta due volte. Prima viene essiccata ad altissime temperature e poi in pentola. Nessuno ne parla, ma la qualità è diversa


Pasta essiccata ad alte temperature (sinistra) e ad altissime temperature a destra (riconoscibile per il tipico colore ambrato)

Oggi gli spaghetti vengono "cotti" due volte: prima a 90-115°C nel pastificio durante la fase di essiccamento e poi a 100°C nella pentola di casa. Sì avete capito bene la temperatura durante il processo di lavorazione della pasta è maggiore rispetto a quella raggiunta dall'acqua di cottura. Il trattamento ad altissime temperature cambia il valore nutrizionale e suscita qualche perplessità tra i nutrizionisti. I sistemi di essiccazione (chiamati HTSt (High Temperature-Short time), VHTs (Very High Temperature-Short time), o anche AT e AAT… con o senza iniezione di vapore), permettono di raggiungere temperature molto elevate e di ridurre i tempi di lavorazione risparmiando notevolmente sui costi. Nessuno vuole parlare di questi trattamenti che però sono diffusi in tutto il mondo e anche in Italia. Non parlano i marchi leader (Barilla, Rummo, La Molisiana…) e anche le catene di supermercati (Coop, Conad, Esselunga, Lidl…). Rifiutano il confronto le tre aziende che vendono in Italia gli impianti (Pavan, Fava e Buhler) e tace anche l'associazione di categoria Aidepi. Abbiamo inviato 19 richieste per avere informazioni con risultati disastrosi. Solo Granoro, Agnesi, Divella, Delverde e con un certo ritardo De Cecco  hanno risposto (vedi nota in fondo all'articolo), dicendo che non usano altissime temperature e indicando quali sono i loro schemi di lavorazione. Difficile capire perché tanti segreti su un aspetto che riguarda il piatto nazionale degli italiani, abituati a mangiarne quasi 30 kg l'anno a persona. Tutto ciò risulta ancora più strano dato che siamo considerati tra i principali produttori mondiali.

Il progressivo incremento della temperatura durante l'essiccazione provoca un danno alle proteine che possono essere distrutte o diventare meno biodisponibili. Il problema riguarda un po' tutti gli aminoacidi essenziali, in particolare la lisina che non solo è essenziale ma, per la pasta rappresenta un fattore limitante (riducendo il valore biologico delle proteine). L'importanza degli aminoacidi essenziali deriva dal fatto che l'uomo non è in grado di sintetizzarli in quantità sufficiente, e quindi devono essere assunti attraverso il cibo.

Il danno delle proteine causato dalle elevate temperature può essere misurato attraverso la furosina
Il danno termico nei confronti delle proteine causato dalle elevate temperature può essere misurato attraverso la quantità di furosina. Secondo quanto riportato in letteratura i valori oscillano da 100 a 200 mg/100 g di proteine, quando le temperature di essiccazione sono inferiori agli 85°C. La pasta con valori di  furosina inferiori a 200, viene considerata un prodotto con un buon indice di qualità nutrizionale, perché la quantità degli aminoacidi essenziali come la lisina resta elevata. Quando facendo le analisi si riscontra un valore di furosina di 5-600,vuol dire che la temperatura di essiccazione è molto elevata e in questi casi la biodisponibilità della lisina subisce un forte ridimensionamento. Considerato che la pasta resta il piatto fondamentale per milioni di italiani, sarebbe opportuno dare un valore nutrizionale differenziato ai vari tipi di pasta in funzione del trattamento subito nella processo industriale.
Per capire meglio bisogna sapere che l'essiccazione della pasta è una fase importante della lavorazione ed in continua evoluzione. Purtroppo la legge italiana prevede solo l'impiego di semola di grano duro per li spaghetti e non regolamenta questo aspetto che è invece molto importante. Se nel 1880 per asciugare gli spaghetti ci volevano 8-10 giorni in estate e 20-30 in inverno, nel 1903 con l'avvento dell'essiccazione meccanica i giorni si riducono a 3-5, e diventano 24-36 ore nel 1950 quando la temperatura di essiccazione raggiunge circa 60°C. L'intervallo dimezza ancora nel 1970 (12-15 ore) quando si superano i 65°C. Nel 1985-90 il termometro arriva a 80-85 °C, le ore diventano 4-6. (3) Con i nuovi macchinari che lavorano ad altissime temperature 90-115°C dopo 2-3 ore la pasta corta è pronta.

tab-essicazione-temperatura-pasta

In linea generale una temperatura di essiccazione inferiore ai 60°C limita il danno termico, perché non altera la struttura del glutine e mantiene il più possibile intatte le caratteristiche organolettiche e nutrizionali del prodotto (1). Le paste migliori artigianali infatti utilizzano l'essiccazione lenta a basse temperature. Nella produzione su scala industriale le temperature medie variano da 60 a 80°C. Poi ci sono molti marchi famosi che operano ad alte e altissime temperature da 90°C in su con punte massime di 115°C. Il problema è che la pasta essiccata a 60°C è diversa da quella lavorata a 80 oppure a 115°C. Per capire meglio basta fare un paragone con il latte che può essere: pastorizzato, pastorizzato di alta qualità, a lunga conservazione o sterilizzato. La tipologia e anche il prezzo cambiano in relazione alla qualità iniziale e soprattutto in base alla temperatura raggiunta durante la lavorazione. Più sale la temperatura, più cambia il sapore e più si riduce il valore nutrizionale e il prezzo. Allo stesso modo la pasta essiccata a basse e medie temperature è diversa da quella che arriva a 115°C. In questo caso il diverso trattamento termico come pure  le differenze nutrizionali non sono evidenziate in etichetta come avviene per il latte.

Aumentare le temperature di essiccazione comporta una notevole riduzione dei tempi di lavorazione e dei costi.
Aumentare le temperature di essiccazione comporta anche una notevole riduzione dei tempi di lavorazione e quindi una riduzione dei costi. Produrre un lotto di spaghetti dopo 20 ore di lavorazione o dopo 2.5-3 ore fa la differenza. L'altro elemento decisivo che incentiva le aziende ad alzare la temperatura, è la possibilità di conferire alla pasta una migliore tenuta in cottura anche se si impiegano semole non eccellenti. Una volta, quando la temperatura di essiccazione arrivava a 60°C, per produrre una buona pasta in grado di assicurare la tenuta in cottura, serviva una semola con un elevato contenuto di proteine e un glutine tenace ed elastico. Adesso la situazione è cambiata. La semola ha un tenore di proteine maggiore rispetto a 40 anni fa anni (i valori oscillano da 12,0 a 14,5% rispetto al 10,5% previsto dalla legge), ma è vero che basta dosare in modo sapiente la temperatura nella fase di essiccazione per garantire sempre un'ottima tenuta in cottura. Oggi infatti tutte le paste che si comprano al supermercato,anche quelle che costano 0,75 €/kg, non scuociono. Alzando la temperatura durante l'essiccazione, il glutine forma un reticolo ben strutturato in grado di trattenere con facilità all'interno le molecole di amido gelatinizzato, e in questo modo la pasta tiene sempre bene la cottura. Certo il colore diventa più intenso e scuro per via della reazione di Maillard (*) ma si tratta di un aspetto che il marketing e la pubblicità hanno trasformato da difetto in pregio. Oggi le paste ambrate piacciono molto al consumatore, anche se il colore è scuro (vedi foto in alto) è dovuto alle altissime temperature che provocano l'ossidazione degli acidi grassi insaturi e la degradazione dei pigmenti carotenoidi. Quando i gradi salgono troppo anche  il gusto viene penalizzato, perché si perdono sostanze aromatiche.


Oggi la pasta non scuoce mai perché viene essiccata al altissime temperature
Nel test condotto da Altroconsumo nel maggio 2016 su 24 tipi di penne rigate, si nota che tutte le marche superano brillantemente la prova cottura e il 95% anche quella di assaggio. Questo avviene perché l'essiccazione ad alte e altissime temperature garantisce il buon risultato sia per la pasta di primo prezzo sia per quelle vendute al triplo. "Il trucco delle altissime temperature funziona ma non fa miracoli" –  ci spiega un capo pastaio che lavora da 25 anni nel settore.
 

tab-pasta-essicazione-temperatura-furosina

Chi usa semole con un'alta percentuale di proteine e un buon grado di tenacità ed elasticità ed essicca a temperature inferiore a 80°C oppure a 60°C, ottiene un prodotto superiore, ma lo vende anche a prezzo elevato. Gli altri usano semole di qualità corrente e, attraverso le altissime temperature,  raggiungono ugualmente un buon risultato a costi decisamente inferiori. Secondo le ricerche condotte in Italia su questo argomento (1), (2), le differenze tra i pastifici artigianali (dove il processo prevede essiccazione lenta e basse temperature), e industriali (essiccazione veloce e altissime temperature) non sono più così nette. Si ha ragione di ritenere che diverse paste in vendita sul mercato riportino in modo arbitrario scritte come "pasta artigianale" o "lavorazione lenta", "lavorazione artigianale", "essiccata lentamente a basse temperature"…

Sull'etichetta della pasta i consumatori vogliono trovare l'origine del grano
A questo punto viene spontaneo chiedersi qual è il vero significato di molte diciture presenti sulle confezioni e anche nei messaggi pubblicitari. Molti  degli slogan che hanno molta presa sul consumatore, sono privi di significato non essendo riferiti a precisi parametri. I pastifici che vantano produzione lente ed essiccazioni lunghe, dovrebbero indicare in modo chiaro sull'etichetta quali sono i tempi di lavorazione e le temperature in relazione ai valori di furosina che abbiamo indicato in tabella. Altrimenti si tratta di parole prive di significato utili a prendere in giro il consumatore. Una volta riconosciuti  i parametri di furosina che indiciamo in tabella, sarebbe il caso di riportare anche il valore nutrizionale effettivo in relazione alla quantità di aminoacidi essenziali biodisponibili. Gli acquirenti hanno il diritto di sapere se gli spaghetti sono stati "precotti".


Qual è il vero significato di diciture sulle confezioni relative alla  lenta lavorazione e alle basse temperature
Sempre in tema di trasparenza ci sono altri elementi che vorremmo trovare sulle etichette della pasta. La prima è l'origine del grano. Si tratta di una notizia che gli italiani vogliono conoscere, ma che le aziende si ostinano a non indicare adducendo scuse improbabili (in Italia il 30 – 40% del grano utilizzato nei pastifici è importato dall'estero ma nessuno lo dichiara in etichetta, anche se la materia prima straniera è in genere di ottima qualità). Prova di questa ipocrisia è che quando gli spaghetti o i maccheroni sono ottenuti con semola 100% italiana le aziende lo evidenziano in etichetta. Per esempio Barilla indica l'origine sulla confezione solo per la pasta Voiello (marchio di sua proprietà) perché la semola è 100% italiana, ma dimentica qualsiasi riferimento all'origine per la pasta con il suo marchio. Un altro elemento utile da riportare sull'etichetta è il tempo di cottura, che potrebbe essere differenziato tra la pasta al dente e quella cotta fino a quando scompare la cosiddetta "animella".
Le richieste che rivolgiamo ai produttori sono tre: indicare il tipo di lavorazione, le temperature di essiccazione utilizzando come riferimento il metodo della furosina, e l'origine del grano duro. I più volenterosi potrebbero cimentarsi anche con  il valore nutrizionale. Si tratta di un passo avanti doveroso nei confronti del nostro piatto nazionale. Aspettiamo delle risposte da: Barilla, De Cecco, Delverde, Garofalo… e anche dalle catene di supermercati che propongono la pasta con il loro marchio, ricordando a tutti che ignorare il problema non è una soluzione.

(1) "La furosina come marker di qualità della pasta di grano duro" Giannetti, Boccacci Mariani, Mannino. Tecnica Molitoria – dicembre 2013.
(2) "Indagine sul danno termico della pasta secca e sue relazioni con le caratteristiche della materia prima e delle condizioni di processo". Pagani, Marti, Bottega, Patacca. Tecnica Molitoria – aprile 2013
(3) "La furosina: un indicatore di processo per la pasta" Acquistucci, Pagani, Marconi, Panfili. Accademia dei Georgofili Firenze 28 novembre 2013
(*) La reazione di Maillard come pure il valore di furosina dipendono oltre che dalla temperatura, dall'umidità del tunnel di essiccazioen e dal tempo di permanenza

Temperature e  tempi di essiccazione comunicati a Il Fatto Alimentare da quattro produttori, gli altri preferiscono il silenzio

  • Granoro – Pasta lunga temperatura essiccazione: da 48°C a 75°C; tempo  7,5 ore
    –  Pasta corta temperatura essiccazione: da 70°C a 75°C;  tempo 6 ore;
    –   Pasta Artigianale "Le Specialità di Attilio": da 40°C a 50 C° (con umidificazione) tempo da 8 a 12 ore.
  • Agnesi – temperatura essiccazione: 72-75°C; tempo 4,5-5 ore per pasta corta 7 ore  pasta lunga
  • Divella – temperatura essiccazione: 78-85°C; tempo 8 ore per pasta corta 20 ore pasta lunga
  • Delverde – temperatura media di essiccazione: 40-55°C (inferiore a 70°C per alcuni formati); tempo 8 ore per pasta corta 20 ore pasta lunga (30 ore per alcune linee)
  • Del Cecco – temperatura media di essiccazione: 60-65°C ; tempo 8 -10 ore per pasta corta, 18-36 ore pasta lunga.
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  Roberto La Pira

giornalista, tecnologo alimentare


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Posted By marco to ECOLOGIC at 10/23/2016 09:30:00 AM

giovedì 10 novembre 2016

SALTARE LA CENA?


http://www.lagrandevia.it/2016/10/21/saltare-la-cena/

SALTARE LA CENA?

Da più di 100 anni sappiamo che se agli animali diamo poco da mangiare – 20-30% in meno di quello che mangerebbero se avessero disponibilità illimitata di cibo –  vivono di più e si ammalano meno di cancro e di altre malattie degenerative. Il primo studio è stato pubblicato nel 1909 e 100 anni dopo, nel 2009, è stato pubblicato il primo studio sulle scimmie, che ha confermato che anche le scimmie dimezzano il loro rischio di ammalarsi di cancro se sottoposte a restrizione calorica. 
Converrebbe anche a noi mangiare meno, dunque, ma sappiamo che è difficile in questa società dell'abbondanza, dove il cibo è sempre disponibile.  Studi sperimentali più recenti, su roditori, hanno mostrato che il digiuno intermittente, cioè  periodi di digiuno o di marcata restrizione calorica (50% in meno) alternati a periodi di dieta ad libitum, riducono l'incidenza dei tumori, ad esempio dei tumori della mammella, ancor più che una restrizione calorica costante (ad esempio 25% in meno). Sempre in esperimenti animali si è anche osservato che il digiuno intermittente, ad es. due giorni non consecutivi alla settimana,  è associato a una ridotta crescita dei tumori, ad esempio della prostata e del fegato, ma non tutti gli studi hanno confermato questi risultati. Recentemente si è dimostrato che se gli animali con tumore sono messi a digiuno 48 ore prima della chemioterapia, il giorno stesso e il giorno dopo del trattamento, la chemioterapia è molto più efficace nel controllare la crescita tumorale. La ragione, verosimilmente, è che mettendoci a digiuno riduciamo marcatamente la glicemia, la concentrazione di fattori di crescita, e lo stato infiammatorio, tre fattori che cooperano nella stimolazione della proliferazione delle cellule tumorali. Le cellule tumorali sono in stress metabolico e più suscettibili al veleno della chemioterapia.
E nell'uomo? Più studi clinici sono in corso ma non ci sono ancora risultati sull'effetto del digiuno sulla prognosi.  Ci sono però studi che indicano che chi ha la glicemia più alta, pur all'interno dell'intervallo di normalità, si ammala di più e, se ammalatosi, ha più frequentemente recidive. Lo stesso vale per lo stato infiammatorio e per i fattori di crescita (Vedi il documento sulla dieta adiuvante le terapie oncologiche nella sezione riservata ai soci de LaGrandeVia). È interessante, comunque, che molti  pazienti che hanno deciso di digiunare in occasione della chemioterapia hanno testimoniato che non hanno avuto i disturbi gastrointestinali (nausea, vomito e diarrea ) altrimenti frequenti durante il trattamento (verosimilmente perché con il digiuno le cellule di rivestimento della mucosa del tubo digerente, che normalmente proliferano molto vivacemente, smettono di moltiplicarsi e non sono più bersaglio del veleno chemioterapico).
Uno studio recente su 2413 donne operate per carcinoma mammario suggerisce che, probabilmente, brevi periodi di digiuno siano efficaci anche nell'uomo (Marinac CR et al. 2016 JAMA Oncology 2:1049). Queste pazienti compilavano periodicamente diari alimentari in cui registravano anche l'ora in cui consumavano pasti e spuntini. Mediamente passavano 12,5 ore fra l'ultimo pasto della sera e il primo del mattino. Nel corso di 7,3 anni di sorveglianza 390 donne hanno avuto una recidiva della malattia o un nuovo tumore mammario.   L'incidenza  di questi nuovi eventi è stata significativamente più alta (36% in più) nelle donne il cui intervallo di digiuno notturno era inferiore a 13 ore rispetto a quelle con intervallo superiore, a parità di altri fattori che influenzano la prognosi (età, gruppo etnico, grado di istruzione, concomitanza di altre malattie, stadio del tumore alla diagnosi, grado di malignità, terapie effettuate, stato menopausale, consumo calorico totale). E' interessante che le donne che rimanevano senza mangiare per meno di 13 ore avevano più alti livelli ematici di emoglobina glicata (un indice di esposizione media al glucosio nel volgere di tre mesi), un'ulteriore ragione per consigliare di tener bassa la glicemia ai malati di cancro.
Pare ragionevole, anche se non ci sono ancora risultati delle sperimentazioni sull'uomo, consigliare ai malati di cancro che non siano denutriti brevi periodi di digiuno, ad esempio saltare la cena, o mangiare solo una piccola porzione di verdure non amidacee condite con poco olio extravergine di oliva.
(FB Ottobre 2016)


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Posted By marco to ECOLOGIC at 11/09/2016 12:18:00 PM

venerdì 14 ottobre 2016

ANDALO - CONCA PALU'

ANDALO - CONCA PALU'

Agosto 2016

La casa di "Sandro"

La casa di "Sandro"

La casa di "Sandro" - ottobre 1995





Edicola all'incrocio fra Via Palù e Via Toscana

Edicola all'incrocio fra Via Palù e Via Toscana

Edicola all'incrocio fra Via Palù e Via Toscana

Lavatoio - Maso Toscana

Maso Toscana



Località Le Rindole

Località Le Rindole






Maso Toscana

Maso Toscana

Maso Toscana

Maso Toscana

Maso Toscana




Dal centro del paese, di fianco agli impianti di risalita per Cima Paganella, prendere Via Rindole e dopo breve salita si giunge alla località  Le Rindole : a destra parcheggio per camper e a sinistra le piste e il campo scuola per sciatori principianti.
A sinistra inizia via Palù che attraverso un conca incontaminata conduce al Maso Toscana.