venerdì 18 novembre 2016

FERRARA - ADAMO BOARI - ARCHITETTO

FERRARA - ADAMO BOARI - ARCHITETTO

Marrara (Fe) 22/10/1863
Roma 24/2/1928

Marrara (Fe) - Via del Vescovo 95

Un ingegnere ferrarese in Messico


Il Gran Teatro Nacional, oggi Palacio de Bellas Artes. durante la costruzione, nel 1912.Adamo Boari, fra classicità rinascimentale e inquietudini novecentesche

Negli anni della formazione di Adamo Boari, che lo porteranno dalla natia Ferrara a laurearsi appena ventitreenne alla Facoltà di Ingegneria dell'Università di Bologna, il dibattito sull'architettura prende una strada affatto inedita nella storia europea, perché diventa prima di tutto dibattito sull'ingegneria, e più precisamente sui rapporti di questa con i valori dell'estetica e dell'arte. Si potrebbe anzi dire che le straordinarie conquiste della tecnica delle costruzioni, rese possibili dai nuovi impieghi della ghisa e dell'acciaio con le incredibili realizzazioni delle Esposizioni Universali, da Paxton a Eiffel, sposti l'attenzione del pubblico e di molti uomini di cultura dai temi sempre più rarefatti e controversi dello stile a quelli ben più concreti e apprezzabili della scienza applicata e delle conquiste da questa consentite. Il problema tuttavia non è banale.

Nelle scuole di ingegneria  mi si perdoneranno le inevitabili semplificazioni cui una breve esplorazione come la presente obbliga- ci si fa, in genere, paladini della più immobile tradizione accademica, sostenendo il classicismo più vieto e conformista, dato l'interesse scarso o nullo per la ricerca stilistico-formale, quando uno stile "classico" universalmente (e
anche piuttosto acriticamente) accettato finiva per essere "un problema di meno"; l'interesse della categoria si riversava piuttosto sulla ricerca tecnologica e sulla sperimentazione dei nuovi materiali che l'industria iniziava a mettere a disposizione dei costruttori: la ghisa, l'acciaio, il calcestruzzo armato con barre di ferro.


La facciata del Gran Teatro Nacional di Città del Messico.Al contrario, all'interno delle Scuole di Belle Arti, il dibattito sullo stile è più acceso che mai, ed è pressante l'esigenza di rottura dei canoni classici, quale necessaria premessa all'invenzione di stili nuovi o alla riscoperta revivalistica (ma non per questo meno rivoluzionaria) di canoni da tempo desueti come il gotico, nell'esplicito intento di rompere il conformismo dell'Accademia, che automaticamente nega, con il suo porsi in termini definitivi e universali, qualsiasi possibile rinnovamento del linguaggio architettonico, qualsiasi evoluzione verso una poetica figurativa nuova.
E' interessante notare poi come entrambe le scuole di pensiero finiscano per convergere verso un risultato del tutto simile, ossia verso lo sbocco eclettico, pur con provenienze da direzioni opposte: gli ingegneri per una sostanziale indifferenza verso i valori del linguaggio architettonico, che porta all'automatica e rassicurante adesione a tutto quanto tramandato e in qualche modo omologato dalla storia; gli architetti, nell'ansia di innovazione e ricerca di qualcosa di affatto nuovo (o rivoluzionario in quanto riecheggiante gli stilemi di un medioevo vitale perché preaccademico) cui non corrisponde, però, se non molto raramente, un'autentica forza di invenzione poetica e di ricerca stilistica; non stupisce allora che sia ormai alle porte il pasticcio che con garbato disincanto farà riflettere il musiliano Uomo senza qualità sul fatto che, lungo le strade dei nuovi quartieri di Vienna, si allineassero e facessero mostra di sé tutti gli stili "dall'assiro al cubista" (e non era forse ingegnere anche lo stesso Musil?).

La palazzina fatta costruire da Boari in Corso Ercole, a Ferrara.Esattamente negli anni in cui questo dibattito si accende fino a raggiungere, a tratti, i toni della più aspra polemica, Adamo Boari termina gli studi di ingegneria e inizia la sua fulminante carriera professionale che lo porterà, nel volgere di pochi anni, dall'Italia al Brasile, agli Stati Uniti e, infine, in Messico, dove realizzerà le sue opere più importanti. Tornerà definitivamente in Italia nel 1916, in seguito alla rivoluzione messicana, stabilendosi a Roma e con frequenti ritorni nella sua Ferrara, dove farà realizzare dal fratello Sesto (ma con ogni probabilità su suo proprio disegno) una palazzina in "stile Rinascimento" nella strada che è l'icona della Ferrara estense: via dei Piopponi, oggi Corso Ercole I d'Este.
Difficile oggi una valutazione critica reale e approfondita delle opere maggiori e più importanti di Adamo Boari, se non visitandole direttamente in Messico, impresa che non mi risulta a oggi intrapresa da alcuno studioso ferrarese e neppure italiano. Una volta tornato in Italia, infatti, l'opera di Adamo non va molto oltre una serie di proposte e progetti che rimangono in massima parte sulla carta, mentre sarà il fratello Sesto colui che realizzerà concretamente architetture che però, per dimensioni e importanza, non possono essere paragonate con quelle messicane del fratello maggiore, anche se rimangono per noi di grande interesse perché è del tutto probabile che nelle opere di Sesto non manchi la superiore forza ispiratrice di Adamo.

Il palcoscenico del Gran Teatro Nacional di Città del Messico durante la costruzione. Per certo, le immagini del Palacio de Correos di Città del Messico ci suggeriscono la volontà lucida di un progettista di solida impostazione ingegneristica, che impone all'intorno urbano una massa imponente, ma non muscolosa, e che sa alleggerire con le merlettature al di sopra della loggia all'ultimo piano (purtroppo gravemente danneggiata col terremoto del 1985) un volume che appare comunque imponente e maestoso, pur se carente nel trattamento tridimensionale delle facciate, che rimangono, in definitiva, ancorate ai piani di riferimento cartesiani, senza che la luce possa penetrarvi a conferire chiaroscurale profondità. L'apparato ornamentale appare controllato (fatto non banale, date le mode dell'epoca), pur con il ricorso a stilemi di chiara ispirazione eclettica in cui riecheggiano -fra gli altri- timbri moresco-orientaleggianti.

D'altro canto, ancora oggi, non è scontato per un europeo liberarsi dalla fuorviante semplificazione che il Messico sia l'"Egitto d'America".
Di certo il limite ingegneristico del Boari si rivela a una riflessione sulla data di costruzione del Palacio de Correos, il 1907, quando si rifletta sul fatto che F. L. Wright avrebbe completato solo due anni più tardi la Robie House su Oak Park, e che nel 1910 i viennesi sarebbero stati sconvolti dal palazzo sulla Michaelerplatz di un Adolf Loos quarantenne. Peraltro, sempre a Vienna, nel 1905 Otto Wagner aveva completato il palazzo della Banca Postale con ben altri esiti sul piano della capacità di inserimento nella scena urbana e del controllo architettonico e dell'ornato, mentre a Glasgow Mackintosh già aveva realizzato la sua Hill House e Bruxelles aveva conosciuto i nitidi volumi marmorei di Hoffmann.

Più interessante per noi è forse l'analisi dell'altra gigantesca costruzione messicana di Adamo Boari, realizzata in immediata prossimità al Palacio de Correos, ossia il Gran Teatro Nacional, oggi Palacio de Bellas Artes, a partire dal 1904. Poiché la costruzione venne terminata solo nel 1934, Boari non la vide mai finita, anche se non mancano testimonianze di un suo coinvolgimento continuato nel progetto ancora dall'Italia, in costante contatto con l'architetto messicano Federico Mariscal, incaricato di portare a termine la costruzione del teatro dopo il ritorno in patria del nostro. Se i primi disegni del nuovo Teatro Nacional risalgono al 1902, è del tutto probabile che Boari avesse ben presente quanto realizzato a Parigi per l'Esposizione Universale del 1889, e nello specifico la Rotonda di Jean-Camille Formigé, sia per la tecnologia di costruzione in acciaio rivestito in lastre marmoree, sia per l'imponente consistenza dell'edificio sormontato da una cupola, (con l'immancabile alata, che però guida la fantasia dell'osservatore più che alla Samotracia alle vecchie macchine del caffè) in posizione prospettica e centrale nel suo contesto monumentale.


Interno del Gran Teatro Nacional di Città del Messico.La realizzazione messicana appare però meglio imbastita e giocata con maggiore sapienza spaziale per gli effetti tridimensionali del pronao semicircolare d'andito e delle sovrapposte arcate che ne scavano la facciata in profondità arricchendola di un effetto chiaroscurale che manca nella costruzione parigina, e finisce per offrire un risultato assai più convincente, pur nell'affinità dell'impostazione, evidente sul piano della tecnologia di costruzione.
Significativa, pur nella dimensione contenuta, è certamente la casa di abitazione di Adamo Boari a Città del Messico, realizzata nel 1899 nella Calles de Monterrey y Álvaro Obregón, che per i muri lisci e la quasi totale assenza di ornato viene ancor oggi considerata il prototipo dell'architettura moderna in Messico.

Qui, ancora, i nitidi piani che definiscono le facciate vengono scavati in profondità dal portico di ingresso e dalla sovrapposta loggia, ma la forma delle forature e degli incavi della facciata, pur riecheggiando stilemi nouveau di chiara ascendenza europea, nulla hanno a che fare con la "goticità" verticale di Horta; sono semmai superfici nette che anticipano il pieno controllo volumetrico di un Van de Velde e che, più di tutto, sembrano porre le basi della poetica delle ville ferraresi di Sesto, e che sono così ferraresi perché, pur nella novità del linguaggio e non esenti dagli inevitabili conformismi stilistici del loro tempo, sono permeate di quella classicità rinascimentale che non a caso si trova radicata così fonda nei due fratelli ferraresi. Certamente l'opera di Adamo Boari andrebbe ancora studiata e approfondita, soprattutto attraverso una diretta presa di contatto con le maggiori opere messicane e con l'analisi degli ultimi grandiosi progetti come quello per la Società delle Nazioni a Ginevra; impossibile quindi per noi tirare somme in questa sede, se non con l'invito a rileggere le belle monografie di Alessandra Farinelli Toselli, Lucio Scardino, Angela Ammirati e Marica Peron. Quel che oggi possiamo dare per definitivamente acquisita è la figura di un grande  ingegnere ferrarese, un accorto e sapiente costruttore, un uomo di cultura attento ai valori della storia e della tradizione fino a farsi egli stesso archeologo, un disegnatore di mano rapida dotata della geniale capacità di sintesi che a tratti ricorda Edwin Lutyens, suo lontanissimo contemporaneo. Più di tutto, un progettista che ha assorbito della città natale l'atmosfera unica e irripetibile del suo Rinascimento, e ne ha riportato lo spirito in paesi lontani, forse ultimo ambasciatore dei Duchi d'Este.

Articolo di Andrea Veronese
pubblicato sul n. 27/Dicembre 2007
su
FERRARA - VOCI DI UNA CITTA'
edizione Fondazione Cassa di Rispermio di Ferrara.

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