sabato 26 luglio 2014

Rossoni Edmondo - Tresigallo






Piazza della Rivoluzione (oggi della Repubblica) - clicca per ingrandire
Tresigallo è un’oasi nel deserto, un deserto fatto di campagna. Te ne accorgi arrivando da Comacchio, dopo aver percorso quel nastro d’asfalto dritto come una fucilata che è la Via del mare. Non si tratta, però, di una campagna rilassante per l’occhio, come potrebbe essere quella dell’alto ferrarese o del bolognese, con campi ben divisi geometricamente, delimitati spesso da ordinati filari di olmi o di pioppi, che terminano per lo più con un grande cascinale. Quella che si attraversa lungo la Rossonia venendo dal mare è una distesa di terra senza fine, a perdita d’occhio, punteggiata di quando in quando da una casupola, di quelle che mio nonno ha sempre chiamato, misteriosamente per me quand’ero bambino, “case dell’Ente”. Solo più tardi ho capito, leggendolo sui libri, che si riferiva all’Ente Delta Padano, l’organo a cui fu affidata, nel 1951, l’attuazione della Riforma Agraria nelle terre bonificate del basso ferrarese. Per questo l’arrivo a Tresigallo lascia a bocca aperta. Dopo chilometri di nulla appaiono, improvvisamente, alla tua destra l’imponente mole del campo sportivo, la particolare architettura della Domus tua e delle scuole elementari e, più avanti, proseguendo verso Final di Rero, la sequenza di vecchie industrie che cingono la strada da entrambi i lati. Sembra di essere sbarcati su Marte.

Il campo sportivo di Tresigallo



Così come la conosciamo oggi, Tresigallo è diventata tra il 1933 ed il 1939. Chi ha studiato la definisce “città di fondazione” o, meglio, di “ri- fondazione”, perché (a differenza delle tante città create dal nulla a quell’epoca, in quello che la retorica di Regime chiamava l’Agro Pontino Redento) Tresigallo esisteva già. Era un villaggio di povere case nel comune di Formignana, popolato da braccianti, pescatori e raccoglitori di canne. Fino a qua arrivavano, infatti, il delta del Po (il Po di Volano scorre a Final di Rero, un paio di chilometri a ovest) e le Valli di Comacchio. Ed è in questo borgo di valligiani che, il 6 maggio del 1884, nasce l’uomo che farà di Tresigallo uno dei più interessanti esperimenti sociali e architettonici del suo tempo: Edmondo Rossoni.
Figlio di uno “spondino” (operaio specializzato a tracciare fossi, canali e strade), dopo aver studiato, senza troppo successo, dai salesiani a Torino, Rossoni, tornato nella sua terra, seguì il cursus honorum di molti tra quelli che diventarono alti gerarchi del fascismo, compreso lo stesso Mussolini. Politicamente crebbe nelle file del socialismo più estremista, ossia il sindacalismo rivoluzionario di Alceste De Ambris e questa fu la palestra che lo portò a partecipare attivamente, come organizzatore, agli scioperi bracciantili del primo decennio del ’900, fino a quando una condanna a quattro anni emessa dalla Corte d’Assise di Piacenza, nel giugno del 1908, per manifestazione sediziosa, incitamento all’odio tra le classi e turbamento dell’ordine pubblico non lo costrinse a trovare riparo all’estero. Qui vagò tra Svizzera, Francia, Brasile e Stati Uniti, dove fece in tempo ad organizzare il primo sciopero della storia degli Usa: quello dei sarti. Tornato in Italia nel 1916, durante la prima guerra mondiale, con l’interventismo consumò la definitiva rottura coi vecchi compagni socialisti e, a guerra finita, aderì al nascente fascismo di Benito Mussolini, di cui in breve tempo divenne padrone assoluto dell’ala sindacalista.
Abbandonata la lotta di classe, Rossoni fu il padre del corporativismo o sindacalismo integrale, la cosiddetta terza via tra capitalismo e marxismo che i fascisti credettero di aver tracciato: una sorta di composizione dei conflitti tra capitale e lavoro all’interno di una grande confederazione sindacale che comprendesse e tutelasse le esigenze tanto del padronato quanto dei lavoratori, nell’idea della collaborazione tra le classi in vista del superiore interesse della Nazione. Ma agli industriali non andava bene di essere messi sullo stesso piano dei loro lavoratori e, inoltre, come capo del sindacalismo fascista Rossoni stava concentrando nelle sue mani troppo potere per i gusti del Duce, che nel 1928 lo silurò, dandogli il contentino, nel 1930, di un posto nel Gran Consiglio del Fascismo. Senza più un ruolo attivo nella politica nazionale, a Rossoni non rimaneva, come palcoscenico pubblico, che la sua Tresigallo. E, a partire dal 1933, si buttò anima e corpo nell’impresa di realizzare, in questo borgo perso nella vastità della campagna bonificata, la sua utopia corporativa.





Domus Tua









Tresigallo è un esperimento curioso anche perché non è progettata da chissà quale nome dell’architettura accademica, ma da Rossoni stesso, che da Roma (dove nel 1932 è nominato sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) dirige via lettera i lavori, oltre alle trattative per gli espropri dei terreni. Suoi luogotenenti sul posto sono l’amico Livio Mariani e l’ingegner Frighi, cui spetterà il compito di realizzare gli schizzi che il gerarca acclude alle lettere. Frequenti sono poi i sopralluoghi che Rossoni fa nella sua città in costruzione, per verificare di persona che i lavori vengano eseguiti come da lui ordinato. Nelle intenzioni del suo creatore, la nuova Tresigallo doveva essere una cittadella del lavoro, circondata da opifici per la trasformazione dei prodotti raccolti nelle terre della bonifica. Da borgo fondato su un’economia di mera sussistenza, Tresigallo si converte, perciò, in un importante centro agro-industriale. Nella cintura periferica della città vengono edificati, tra gli altri, uno zuccherificio (nella cui area, oggi, sorge un complesso residenziale) e una distilleria per la produzione di alcool dalla barbabietola (oggi sostituita dalla Mazzoni, una grande azienda ortofrutticola), un burrificio, un canapificio ed una fabbrica per la lavorazione della cellulosa, oltre ad un’industria metalmeccanica per la costruzione di macchinari agricoli, la S.A.I.M.M., che chiuse soltanto negli anni ’70 del secolo scorso.

Casa della cultura (ex Casa della G.I.L.)

Dal nucleo delle fabbriche partono, poi, le altre infrastrutture, prima fra tutte il fondamentale asse viario (ancora oggi chiamato Rossonia) che garantisce un rapido collegamento tra Tresigallo e Ferrara, con la costruzione del ponte sul Po di Volano, che fino ad allora si attraversava su un’improvvisato traghetto nella vicina Valpagliaro. Poi, allontanandosi dalle fabbriche verso il centro del paese, le case degli operai e dei dirigenti, i servizi sociali (le scuole elementari, l’asilo, la scuola di cucito e ricamo per le ragazze madri, i bagni pubblici) e i servizi “ricreativi”, come la casa della Gioventù Italiana del Littorio (oggi Casa della Cultura), in cui venivano inquadrati i giovani, e la sala da ballo Domus tua, oltre al teatro e al campo sportivo. Fino ad arrivare alla scenografica Piazza della Rivoluzione (quella fascista, naturalmente, oggi Piazza della Repubblica), con la sua caratteristica forma a ferro di cavallo e la sua aria un po’ astratta, alla De Chirico. Il tutto secondo lo stile architettonico dell’epoca, fatto di costruzioni monumentali (vedi l’ingresso estremamente scenografico e parecchio retorico del campo sportivo) e linee razionaliste. Ultima costruzione in ordine di tempo fu il sanatorio, circondato dal grande parco che ancora oggi è visibile percorrendo la circonvallazione.


L’ex Casa del Fascio - clicca per ingrandire




Dopo la seconda guerra mondiale, Tresigallo si auto-condannò ad una sorta di damnatio memoriae: comprensibilmente troppo imbarazzante era la sua origine fascista per le amministrazioni “rosse” che si succedettero alla guida del paese. La progressiva decadenza dei palazzi del centro e la chiusura delle fabbriche volute da Rossoni portarono ad un graduale spopolamento (negli anni di massimo splendore si arrivò fino a 9 mila abitanti). Oggi, a quasi settant’anni dalla fine della guerra, i tresigallesi sembrano aver finalmente fatto i conti con la propria Memoria. L’amministrazione comunale sta, infatti, recuperando gran parte degli edifici storici e delle piazze e l’inserimento di Tresigallo nel circuito dei Borghi autentici d’Italia sembra testimoniare una sua futura vocazione turistica. E, forse, sarebbero maturi i tempi per dedicare almeno una via o un parco, se non proprio una piazza, al suo ri-fondatore.
Rossoni che, la notte del 25 luglio del 1943, nella drammatica seduta del Gran Consiglio del Fascismo, votò a favore dell’arresto di Mussolini e, per questo, fu condannato a morte dalla Repubblica di Salò. Sfuggito ai suoi vecchi compagni di partito, a guerra finita venne condannato all’ergastolo dall’Alta Corte di Giustizia, ma riuscì a scappare in Canada. Tornò in Italia solo dopo l’amnistia voluta da Togliatti nel 1946, ritirandosi a Roma come privato cittadino e facendo ritorno al suo paese d’origine solo dopo la morte, nel giugno del 1965. Da allora riposa in quel curioso mausoleo dal sapore d’annunziano che si è fatto costruire al centro del cimitero di Tresigallo. E da lì, da quello strano monumento paganeggiante, parte il lungo viale che taglia longitudinalmente il paese, attraversa Piazza della Repubblica e termina, dopo la circonvallazione, nella zona delle vecchie fabbriche. Tanto per far capire a tutti che, anche da morto, è lui il Signore di Tresigallo.
.
Fonti: Arrigo Marrazzi, Edmondo Rossoni e Tresigallo, Cartoleria Sociale Ferrara, 2008; Antonio Pennacchi, Tresigallo, l’anti- Ferrara del compagno Rossoni, LIMES 1, 2004; Parametro, mensile di architettura e urbanistica, Anno I N. 125, Aprile 1984, Faenza editrice.
Foto di Teresa Gagliano


Testo tratto da : 
http://lecodelpo.info/2014/06/04/la-concreta-utopia-di-rossoni-tresigallo/


°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°








Alcune foto di Nonnokucco:
(da Wikipedia)

Foto di N.K.


Foto di N.K.

Eccidio di Ponte Albersano - 27 giugno 1901

Albersano è una piccola località in comune di Berra, collocata fra l’argine destro del Po e il Canal Bianco, a pochi chilometri da Serravalle, dove comincia il delta. Dall’alto dell’argine si può ammirare a perdita d’occhio la distesa dei campi coltivati. Questa è terra di bonifica, di quella Grande Bonifica Ferrarese che, iniziata in epoca estense, è stata portata a termine con successo nella seconda metà dell’Ottocento, dopo che la Rivoluzione Industriale aveva portato in dote l’utilizzo delle idrovore a vapore. 
A realizzare quest’opera furono alcune grosse società, come la Banca di Torino, la Lodigiana e la francese Vaudoise, che divennero anche proprietarie dei terreni prosciugati. La sola Lodigiana ne possedeva, nel 1879, quasi tremila ettari.  
Questi imponenti lavori idraulici avevano richiamato nel basso ferrarese molta manodopera, che, una volta terminata la bonifica, andò ad ingrossare l’esercito dei lavoratori stagionali dell’agricoltura. Inoltre, l’applicazione dei criteri capitalistici nella conduzione delle terre da parte delle grandi imprese “forestiere”, aveva spazzato via il vecchio sistema Patriarcale, basato su usi antichi e su una rapporto tra padrone e colono che riproduceva, appunto, quello tra padre e figlio.
Le condizioni di miseria che si vivevano nelle campagne, la mancanza di lavoro o le paghe da fame quando questo c’era, il susseguirsi di una serie di cattive annate, portarono all’esasperazione il proletariato agricolo, che nel frattempo aveva iniziato ad associarsi in Leghe. 
Si trattava, per lo più, di leghe che si ispiravano alle nuove teorie socialiste, di quella particolare corrente rappresentata dal sindacalismo rivoluzionario. La prima prova sul campo di questa nuova forma di lotta si ebbe con lo sciopero del 1897, che mobilitò diverse migliaia di lavoratori stagionali, ma l’episodio di gran lunga più importante fu lo sciopero del 1901, che coinvolse circa trentamila lavoratori delle campagne, quasi la metà dell’intera popolazione contadina ferrarese. 
Lo sciopero era stato proclamato contro la pretesa dei proprietari delle terre (in particolare la Banca di Torino) che non volevano concedere un aumento del salario ai lavoratori nel periodo della mietitura. Per tutta risposta, i dirigenti delle grandi aziende agricole avevano reclutato un gran numero di crumiri, per lo più provenienti dal Piemonte, per portare avanti, comunque, il lavoro e avevano chiesto ed ottenuto dal prefetto di Ferrara la protezione della forza pubblica, nonostante il parere contrario di Giolitti. 
Uno dei fondi assegnati ai crumiri piemontesi fu la tenuta di Albersano. Quando, il 27 giugno, gli scioperanti, che picchettavano le campagne, videro i piemontesi al lavoro, cercarono di attraversare il ponte che dava sulla tenuta, forzando il blocco dell’esercito, per convincere i crumiri ad unirsi a loro. I soldati, comandati dal tenente De Benedetti, una specie di Bava Beccaris ferrarese, spararono sulla folla, uccidendo sul colpo Calisto Desuò di Villanova Marchesana e Cesira Nicchio di Berra. Altri venti lavoratori rimasero feriti. (1)
L’episodio di Albersano ebbe notevole risonanza a livello politico nazionale, in seguito alle proteste dei deputati socialisti, il che indusse gli agrari a concedere gli aumenti retributivi richiesti. Di quegli anni è anche la politica riformatrice giolittiana che va sotto il nome di Legislazione Sociale, la quale, partendo dal riconoscimento delle intollerabili condizioni dei lavoratori, rappresentò il primo, timido tentativo di dare tutela normativa al lavoro.

 (1) un altro bracciante  (Fusetti) morì successivamente per le ferite riportate.












Il testo è tratto da : http://lecodelpo.info/2013/06/12/hello-world/
Le foto dal sito: http://www.serravalleweb.com/storia/eccidioalb.htm