venerdì 17 maggio 2019

IL MANIFESTO DI VENTOTENE - PER UN'EUROPA LIBERA E UNITA

Il Manifesto di Ventotene fu originariamente redatto da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi con il titolo Per un'Europa libera e unita. Progetto d'un manifesto nel 1941, quando per motivi politici furono confinati a Ventotene, nel mar Tirreno come oppositori del regime fascista. Altri confinati antifascisti sull'isola contribuirono alle discussioni che portarono alla definizione del testo. All'epoca della stesura del testo erano confinate sull'isola circa 800 persone, 500 classificate come comunisti, 200 come anarchici ed i restanti prevalentemente giellini e socialisti.
Originariamente articolato in quattro capitoli, il Manifesto fu poi diffuso clandestinamente. Eugenio Colorni nel 1944, poco prima di essere ucciso, ne curò la redazione in tre capitoli: il primo (La crisi della civiltà moderna) e il secondo (Compiti del dopoguerra. L'unità europea) interamente elaborati da Spinelli, come anche la seconda parte del terzo (Compiti del dopoguerra. La riforma della società), mentre la prima parte di quest'ultimo venne definita da Rossi.
Il manifesto venne diffuso grazie ad alcune donne che lo portarono sul continente dall'isola di Ventotene e lo fecero conoscere agli ambienti dell'opposizione di Roma e Milano, come Ursula Hirschmann, Ada Rossi ed alcune altre.

Per approfondire:


  ALTIERO SPINELLI


 ERNESTO ROSSI



EUGENIO COLORNI 


  URSULA HIRSCHMANN

NONNO LUIGI - ANNIVERSARIO

ANNIVERSARIO

17/10/1898 - 20/5/1990






giovedì 9 maggio 2019

25 APRILE - RIFLESSIONI DI PAOLO MALAGUTI

Tutto quello che segue è stato copiato dal blog di Paolo Malaguti e ho deciso di pubblicare le sue riflessioni sull'Anniversario della Liberazione perchè le condivido completamente.

Paolo Malaguti ha pubblicato diversi libri: tutti da leggere; a fine maggio uscirà il suo ultimo romanzo - L' ULTIMO CARNEVALE.

Per saperne di più......

Un libro e una riflessione



Sul baricentro tra la giornata mondiale del libro e il 25 aprile mi permetto di suggerire una lettura tesa ed appassionante, e diversamente non poteva essere, visto l'autore. Emilio Lussu scrive "Marcia su Roma e dintorni" nel 31. Il libro venne rivolto, come annota l'autore nella prefazione all'edizione italiana del 1944, "al pubblico francese e angloamericano".
In questo libro si trova il resoconto in presa diretta del decennio 19-29, con particolare attenzione alla fase che culmina con la marcia su Roma dell'ottobre del 1922. Lussu racconta l'ascesa del fascismo con lucidità e, non di rado, con ironia; dà spessore alla narrazione con nomi, fatti, voci dei protagonisti piccoli e grandi. Non è un saggio, Lussu lo definisce "documento soggettivo ". Perché ho letto "Marcia su Roma e dintorni"?

Per ricordarmi che la Resistenza, a ben vedere, dura lungo tutto il ventennio, perché da subito ci fu chi si oppose e lottò e cercò di far valere le proprie ragioni contro la dittatura nascente.
Per ricordarmi, ancora di più, che il fascismo non è nato forte, né vincente. Mussolini, prima di sedersi alla Camera come presidente del consiglio, il 16 novembre del 22, avendo ai suoi fianchi il generale Diaz e l'ammiraglio Thaon di Revel, ha dovuto fare strada. Il fascismo si è affermato anche perché gli è stato permesso. A tutti i livelli. Dai prefetti che, come narra Lussu, in più parti d'Italia lasciarono correre sui primi episodi di squadrismo, o appoggiarono apertamente le camicie nere, fino al re che si rifiutò di firmare il decreto di stato d'assedio proposto dall'on. Facta, decreto che con ogni probabilità avrebbe messo la parola fine alla marcia su Roma.
Per ricordarmi, infine, che il "consenso" è fatto dalla somma degli individui. Lussu dissemina tutto il libro di riferimenti ad amici, deputati, docenti universitari, giornalisti, sindacalisti, reduci... tutti fieri antifascisti della prima ora e, nel momento in cui il libro uscì, il 1931, altrettanto fieri esponenti del regime.
Tra le figure di resistenti "ante 43" narrate da Lussu propongo quella dell'onorevole Misiano. Già socialista, fu eletto nel 1921 nel partito comunista: alla seduta inaugurale della XXVI legislatura del Regno d'Italia fu aggredito da un gruppo di deputati fascisti e cacciato fuori da Montecitorio. All'esterno Misiano venne aggredito da squadristi che lo rasarono, gli sputarono addosso, lo insozzarono di vernice e lo fecero sfilare lungo il Corso. Questo capita nel 1921, a Montecitorio, e per le strade di Roma, in pieno giorno.
I motivi per cui Misiano era particolarmente inviso ai fascisti vanno cercati, al di là dell'appartenenza al PCI, nel suo antimilitarismo, nell'anti-interventismo, e nella sua condanna per diserzione nel maggio del 1915.

Le polemiche che ogni anno interessano il 25 aprile (quest'anno in particolar modo) sono l'ennesima conferma del cammino ancora lungo che il nostro paese deve fare per costruirsi una memoria condivisa. Spesso mi è capitato di riflettere su questo problema negli incontri con gli studenti: un paese senza memoria condivisa è un paese diviso. Magari la facciata dell'edificio è unita, ma le fondamenta sono separate. Il cammino è difficile, perché tocca ferite ancora aperte, ma non mi pare ci siano alternative.
E questo cammino credo debba partire dalla memoria, dalla ricerca, dallo studio delle fonti e dei testimoni, e poi dal confronto.
Per questo, da insegnante, credo che negarsi al 25 aprile sia un'occasione persa.
Devo dire che, sempre da insegnante, le ottiche celebrative mi lasciano perplesso, perché spesso la celebrazione implica l'agiografia, la aproblematicità, un certo tasso ineliminabile di eroismo. Perché un sedicenne dovrebbe trovare senso in qualcosa che è già dato, irrigidito nella posa assoluta del monumento, illuminato da una luce diffusa e candida che non lascia spazio a dubbi o a interpretazioni? Se sei un eroe, dov'è la difficoltà nelle tue imprese? Se il giusto e lo sbagliato sono ben divisi e riconoscibili di fronte a te, dov'è la difficoltà, la tragicità delle tue scelte?
Se invece il 25 aprile, il 4 novembre, il 2 giugno vengono vissuti come occasioni di commemorazione (cioè di "memoria assieme"), le cose cambiano, e non di poco: si mostra, attraverso la memoria della Storia e delle storie, quanto drammatica possa essere una scelta, quanto difficile è capire, ogni giorno, dov'è il bene e dov'è il male. Si capisce che una scelta non si compie mai una volta per tutte, ma poi va riconfermata, o smentita, per il resto della nostra vita. Che le nostre idee sono una cosa, e le nostre azioni spesso un'altra. Che lo Stato è fatto da persone, e pertanto è soggetto all'errore. Che si può mettere una data di fine a una guerra, ma poi i rancori, i conflitti, i dissidi e le ferite vanno avanti per decenni.
Chiaro, fare tutto ciò non è facile, non è rapido, non è economico. Sono più veloci le altre due strade, ugualmente rischiose:
a) fingere che la storia sia solcata da chiari confini, da + e - squadrati e lisci. Questa strada porta agli estremismi, e, di conseguenza, ai muri e alle esclusioni.
b) rinunciare alla memoria, perché sono "altri" i problemi cui oggi porre attenzione, piuttosto che un polveroso "derby" tra rossi e neri. Questo porta all'ignoranza e, di conseguenza, al rischio della ripetizione.


Nel libro di Gianrico Carofiglio "La versione di Fenoglio", da me letto subito dopo il libro di Emilio Lussu, sopra ricordato, il protagonista, Pietro Fenoglio,  parla dei libri di Lussu:

 " Ce n'è un altro suo che forse è addirittura migliore: Marcia su Roma e dintorni.  La storia dell'avvento del fascismo con tutte le mediocrità, le vigliaccherie, le miserie, i voltafaccia. Lo so che sto per dire una banalità, ma è un libro che sembra scritto oggi per raccontare cosa succede ora in questo Paese."

domenica 5 maggio 2019

CINQUE MAGGIO - ALESSANDRO MANZONI


Fu vera gloria? 
Ai posteri / l’ardua sentenza
Alessandro Manzoni, Il cinque maggio
 

Testo

Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,


Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale;
Nè sa quando una simile
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.


Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque;
Quando, con vece assidua,
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:


Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio,
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio:
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.


Dall’Alpi alle Piramidi,
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.


Fu vera gloria? Ai posteri
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.


La procellosa e trepida
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;
E il giunge, e tiene un premio
Ch’era follia sperar;


Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull’altar.

Ei si nomò: due secoli,
L’un contro l’altro armato,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor.


E sparve, e i dì nell’ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor.


Come sul capo al naufrago
L’onda s’avvolve e pesa,
L’onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan;

Tal su quell’alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
Narrar se stesso imprese,
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito
Morir d’un giorno inerte,
Chinati i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir!


E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli,
E il lampo de’ manipoli,
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.


Ahi! forse a tanto strazio
Cadde lo spirto anelo,
E disperò: ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
Pietosa il trasportò;


E l’avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desidéri avanza,
Dov’è silenzio e tenebre
La gloria che passò.


Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
Chè più superba altezza
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.


Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.

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Egli fu (è morto, è trapassato). Infatti ora giace giace immobile, avendo esalato l’ultimo respiro, e la sua spoglia è rimasta senza più ricordi, privata della sua anima: chiunque ha saputo la notizia di questa morte è attonito. Tutti restano muti pensando alle ultime ore di quest’uomo inviato dal fato e nessuno sa dire quando un uomo simile tornerà di nuovo a calpestare la terra che lui stesso ha calpestato, lasciando un cammino sanguinoso. Io, come poeta, ho visto Napoleone in trionfo, sul soglio imperiale, ma ho taciuto senza far poesia su questo evento, e ho visto anche il momento in cui, rapidamente, fu sconfitto, tornò al potere e cadde ancora, ma la mia poesia ha continuato a restare in disparte e non mischiarsi a tutte le voci adulanti che aveva intorno Napoleone; adesso il mio ingegno poetico vuole parlare - e si innalza commosso, senza elogi servili o insulti vili - dell’improvvisa morte di una figura simile, e offre alla tomba di quest’uomo un componimento che forse resterà eterno. Dall’Italia all’Egitto, dalla Spagna alla Germania le azioni rapidissime di quest’uomo seguivano il suo modo di pensare, condusse imprese dalla Sicilia fino al Don, dal Mediterraneo all’Atlantico. Fu vera gloria la sua? Spetta ai posteri la difficile sentenza: noi ci inchiniamo umilmente al Sommo Creatore che volle fare di Napoleone (lui) un simbolo della sua potenza divina. La pericolosa e trepida gloria di un grandissimo disegno, l’insofferenza di un animo che deve obbedire ma pensa al potere e poi lo raggiunge e ottiene un premio che sarebbe stato una follia ritenere possibile. Sperimentò tutto: provò la gloria, tanto più grande dopo il pericolo, la fuga e la vittoria, il potere regale e l’esilio, due volte è stato sconfitto, e due volte vincitore. Egli stesso si diede il nome: due epoche tra loro opposte guardarono a lui sottomesse, come se ogni destino dipendesse da lui, egli impose il silenzio e si sedette tra loro come un arbitro. Nonostante tanta grandezza, scomparve rapidamente e finì la sua vita in ozio, prigioniero in una piccola isola, bersaglio di immensa invidia e di rispetto profondo, di grande odio e di grande passione. Come sulla testa del naufrago si avvolge pesante l’onda su cui poco prima lo sguardo dello sventurato scorreva alto e in cerca di rive lontane che non avrebbe potuto raggiungere, così su quell’anima si abbatté il peso dei ricordi. Ah, quante volte ha iniziato a scrivere le sue memorie per i posteri ma su tutte quelle pagine si posava continuamente la sua stanca mano! Quante volte alla fine di un giorno improduttivo ha abbassato lo sguardo fulmineo, con le braccia conserte, preso dal ricordo dei giorni ormai andati. E ripensò agli accampamenti militari in continuo movimento, alle trincee, allo scintillare delle armi e agli assalti della cavalleria, e agli ordini dati rapidamente e alla loro esecuzione. Ah, forse fra tanto dolore crollò il suo spirito e si disperò, ma arrivò l’aiuto di Dio a quel punto, che lo condusse in una realtà più serena; E lo guidò per i floridi sentieri delle speranze, verso i campi eterni, lo condusse alla beatitudine eterna, che sorpassa ogni desiderio umano, lo guidò dove la gloria terrena non vale nulla. Bella, immortale, benefica fede, abituata ai trionfi! Considera anche questo tuo trionfo e sii allegra perché nessuna personalità più grande si è mai chinata davanti alla croce di Cristo. Tu (Fede) allontana dalle ceneri di quest’uomo ogni parola maligna: il Dio che atterra e rialza, che dà dolori e consola si è posto accanto a lui, per consolarlo nel momento solitario della sua morte.
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