Il 1943 è l'anno della svolta della
seconda guerra mondiale. Sul fronte orientale inizia la controffensiva
dell'Armata Rossa, che vince la lunga e difficile battaglia di
Stalingrado (31.1.-2.2.1943). Nello scacchiere meridionale si ha, nel
maggio di quell'anno, la capitolazione definitiva delle truppe
italo-tedesche in Africa. Immediatamente dopo, gli Alleati sbarcano in
Sicilia, iniziando così lo sfondamento della “fortezza Europa”.
In Italia, gli scioperi del marzo 1943, il bombardamento di Roma del
luglio e la caduta, nello stesso mese (25.7.1943), del fascismo, fanno
precipitare la situazione. Il paese è al tracollo, la guerra è persa su
ogni fronte e l'Italia si arrende: il 3 settembre viene stipulato
l'armistizio con gli Alleati. Verrà divulgato il successivo 8 settembre.
Venticinque luglio e otto settembre 1943 sono due date cruciali nella
storia d'Italia. Nella notte tra il 24 e il 25 luglio il Gran Consiglio
del Fascismo approva con 19 voti favorevoli, 7 contrari e 1 astenuto,
l'ordine del giorno presentato da Dino Grandi che esautora Mussolini
dalle funzioni di capo del governo. Poche ore dopo l'ormai ex duce è
fatto arrestare e imprigionare dal re Vittorio Emanuele III. Il 25
luglio segna dunque la data della fine del fascismo come forma
istituzionale e regime legittimo. Non è, tuttavia, la fine del fascismo
tout court, che di lì a pochi giorni si riproporrà in una nuova veste
alla guida della Repubblica Sociale Italiana, al cui vertice sarà lo
stesso Benito Mussolini.
Il maresciallo Pietro Badoglio, nominato dal re capo del governo lo
stesso 25 luglio, si affretta a reprimere gli entusiasmi popolari e
annuncia alla nazione che “la guerra continua”:
“Italiani! Per ordine di Sua Maestà il Re e Imperatore assumo il
Governo militare del Paese, con pieni poteri. La guerra continua.
L'Italia, duramente colpita nelle sue provincie invase, nelle sue città
distrutte, mantiene fede alla parola data, gelosa custode delle sue
millenarie tradizioni. Si serrino le file attorno a Sua Maestà il Re e
Imperatore, immagine vivente della Patria, esempio per tutti. La
consegna ricevuta è chiara e precisa: sarà scrupolosamente eseguita, e
chiunque si illuda di poterne intralciare il normale svolgimento, o
tenti turbare l'ordine pubblico, sarà inesorabilmente colpito. Viva
l'Italia. Viva il Re”.
Il 3 settembre, a Cassibile, in Sicilia, Italia e Alleati
anglo-americani firmano un armistizio, noto come “armistizio breve”. A
nome di Badoglio, ancora a Roma, firma il generale Giuseppe Castellano;
per gli Alleati è invece presente il generale Walter Bedell Smith. Le
clausole dell'armistizio breve – che sarà seguito, il 29 settembre 1943,
dall'“armistizio lungo” – prevedono in realtà la resa incondizionata
dell'Italia.
La sera dell'8 settembre 1943, tocca nuovamente al maresciallo
Badoglio, leggere alla radio un proclama che annuncia al paese
l'armistizio tra Italia e Alleati. L'accordo viene reso noto solo dopo
pesanti pressioni da parte anglo-americana: gli Alleati, infatti,
pretendono che il governo italiano smetta di tergiversare e annunci la
resa dell'Italia, e di conseguenza circa un'ora prima del proclama
badogliano la notizia dell'armistizio è diffusa dalla radio alleata di
Algeri.
Il proclama di Badoglio, volutamente ambiguo sull'atteggiamento da
tenere nei confronti degli ex alleati tedeschi, è probabilmente uno dei
testi più noti ed emblematici della storia nazionale.
“Il governo italiano, riconosciuta la impossibilità di continuare la
impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell'intento di
risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto un
armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze
alleate anglo-americane.
La richiesta è stata accolta.
Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze
anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni
luogo.
Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza.”
Nel tempo che intercorre, simbolicamente e materialmente, tra i due
proclami di Badoglio, i tedeschi hanno modo di occupare quasi tutta
l'Italia e di preparare i piani che permetteranno loro, dopo l'annuncio
dell'armistizio – interpretato dal Reich, in maniera del tutto
strumentale, come “tradimento dell'alleanza” – di disarmare, deportare e
uccidere, in alcuni casi, centinaia di migliaia di soldati italiani,
colti completamente di sorpresa e abbandonati dalle istituzioni che
avrebbero dovuto prepararli alla svolta. Le forze armate italiane
terminano la guerra – o almeno questa prima fase di guerra – come
l'hanno iniziata, nel segno dell'impreparazione e dell'inadeguatezza.
Comincia, tuttavia, una nuova guerra, che per una parte sarà quella
tesa alla liberazione del paese, per un'altra quella della fedeltà alla
barbarie del nazifascismo.
(dal sito A.N.P.I.)