martedì 20 febbraio 2024

INNO DI MAMELI

 

Fratelli d'Italia

Dobbiamo alla città di Genova Il Canto degli Italiani, meglio conosciuto come Inno di Mameli. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani nacque in quel clima di fervore patriottico che già preludeva alla guerra contro l'Austria.

L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il più amato canto dell'unificazione, non solo durante la stagione risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe Verdi, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affidò proprio al Canto degli Italiani - e non alla Marcia Reale - il compito di simboleggiare la nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla Marsigliese.

Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli divenisse l'inno nazionale della Repubblica Italiana.

Il poeta

ritratto di Mameli

Goffredo Mameli dei Mannelli nasce a Genova il 5 settembre 1827 (figlio di Adele - o Adelaide - Zoagli, discendente di una delle più insigni famiglie aristocratiche genovesi, e di Giorgio, cagliaritano, comandante di una squadra della flotta del Regno di Sardegna). Studente e poeta precocissimo, di sentimenti liberali e repubblicani, aderisce al mazzinianesimo nel 1847, l'anno in cui partecipa attivamente alle grandi manifestazioni genovesi per le riforme e compone Il Canto degli Italiani. D'ora in poi, la vita del poeta-soldato sarà dedicata interamente alla causa italiana: nel marzo del 1848, a capo di 300 volontari, raggiunge Milano insorta, per poi combattere gli Austriaci sul Mincio col grado di capitano dei bersaglieri.

Dopo l'armistizio Salasco, torna a Genova, collabora con Garibaldi e, in novembre, raggiunge Roma dove, il 9 febbraio 1849, viene proclamata la Repubblica. Nonostante la febbre, è sempre in prima linea nella difesa della città assediata dai Francesi: il 3 giugno è ferito alla gamba sinistra, che dovrà essere amputata per la sopraggiunta cancrena.

Muore d'infezione il 6 luglio, alle sette e mezza del mattino, a soli ventidue anni. Le sue spoglie riposano nel Mausoleo Ossario del Gianicolo.

 

Il musicista

Ritratto di Michele Novaro

Michele Novaro nacque il 23 ottobre 1818 a Genova, dove studiò composizione e canto. Nel 1847 è a Torino, con un contratto di secondo tenore e maestro dei cori dei Teatri Regio e Carignano.

Convinto liberale, offrì alla causa dell'indipendenza il suo talento compositivo, musicando decine di canti patriottici e organizzando spettacoli per la raccolta di fondi destinati alle imprese garibaldine.

Di indole modesta, non trasse alcun vantaggio dal suo inno più famoso, neanche dopo l'Unità. Tornato a Genova, fra il 1864 e il 1865 fondò una Scuola Corale Popolare, alla quale avrebbe dedicato tutto il suo impegno.

Morì povero, il 21 ottobre 1885, e lo scorcio della sua vita fu segnato da difficoltà finanziarie e da problemi di salute. Per iniziativa dei suoi ex allievi, gli venne eretto un monumento funebre nel cimitero di Staglieno, dove oggi riposa vicino alla tomba di Mazzini.

Come nacque l'inno Il testo e lo spartito dell'Inno

La testimonianza più nota è quella resa, seppure molti anni più tardi, da Anton Giulio Barrili, patriota e poeta, amico e biografo di Mameli.

Siamo a Torino: "Colà, in una sera di mezzo settembre, in casa di Lorenzo Valerio, fior di patriota e scrittore di buon nome, si faceva musica e politica insieme. Infatti, per mandarle d'accordo, si leggevano al pianoforte parecchi inni sbocciati appunto in quell'anno per ogni terra d'Italia, da quello del Meucci, di Roma, musicato dal Magazzari - Del nuovo anno già l'alba primiera - al recentissimo del piemontese Bertoldi - Coll'azzurra coccarda sul petto - musicata dal Rossi.

In quel mezzo entra nel salotto un nuovo ospite, Ulisse Borzino, l'egregio pittore che tutti i miei genovesi rammentano. Giungeva egli appunto da Genova; e voltosi al Novaro, con un foglietto che aveva cavato di tasca in quel punto: - To' gli disse; te lo manda Goffredo. - Il Novaro apre il foglietto, legge, si commuove. Gli chiedono tutti cos'è; gli fan ressa d'attorno. - Una cosa stupenda! - esclama il maestro; e legge ad alta voce, e solleva ad entusiasmo tutto il suo uditorio. - Io sentii - mi diceva il Maestro nell'aprile del '75, avendogli io chiesto notizie dell'Inno, per una commemorazione che dovevo tenere del Mameli - io sentii dentro di me qualche cosa di straordinario, che non saprei definire adesso, con tutti i ventisette anni trascorsi. So che piansi, che ero agitato, e non potevo star fermo.

Mi posi al cembalo, coi versi di Goffredo sul leggio, e strimpellavo, assassinavo colle dita convulse quel povero strumento, sempre cogli occhi all'inno, mettendo giù frasi melodiche, l'un sull'altra, ma lungi le mille miglia dall'idea che potessero adattarsi a quelle parole. Mi alzai scontento di me; mi trattenni ancora un po' in casa Valerio, ma sempre con quei versi davanti agli occhi della mente. Vidi che non c'era rimedio, presi congedo e corsi a casa. Là, senza neppure levarmi il cappello, mi buttai al pianoforte.

Mi tornò alla memoria il motivo strimpellato in casa Valerio: lo scrissi su d'un foglio di carta, il primo che mi venne alle mani: nella mia agitazione rovesciai la lucerna sul cembalo e, per conseguenza, anche sul povero foglio; fu questo l'originale dell'inno Fratelli d'Italia." 

Il testo dell'Inno nazionale

Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta,
Dell'elmo di Scipio
S'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma,
Ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Noi siamo da secoli
Calpesti, derisi,
Perché non siam popolo,
Perché siam divisi.
Raccolgaci un'unica
Bandiera, una speme:
Di fonderci insieme
Già l'ora suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Uniamoci, amiamoci,
l'Unione, e l'amore
Rivelano ai Popoli
Le vie del Signore;
Giuriamo far libero
Il suolo natìo:
Uniti per Dio
Chi vincer ci può?
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Dall'Alpi a Sicilia
Dovunque è Legnano,
Ogn'uom di Ferruccio
Ha il core, ha la mano,
I bimbi d'Italia
Si chiaman Balilla,
Il suon d'ogni squilla
I Vespri suonò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò.

Son giunchi che piegano
Le spade vendute:
Già l'Aquila d'Austria
Le penne ha perdute.
Il sangue d'Italia,
Il sangue Polacco,
Bevé, col cosacco,
Ma il cor le bruciò.
Stringiamci a coorte
Siam pronti alla morte
L'Italia chiamò

Ritratto di ScipioneLa cultura di Mameli è classica e forte è il richiamo alla romanità. È di Scipione l'Africano, il vincitore di Zama, l'elmo che indossa l'Italia pronta alla guerra

rappresentazione della Vittoria La Vittoria si offre alla nuova Italia e a Roma, di cui la dea fu schiava per volere divino. La Patria chiama alle armi: la coorte, infatti, era la decima parte della legione romana

La bandiera italianaUna bandiera e una speranza (speme) comuni per l'Italia, nel 1848 ancora divisa in sette Stati

Giuseppe MazziniMazziniano e repubblicano, Mameli traduce qui il disegno politico del creatore della Giovine Italia e della Giovine Europa. "Per Dio" è un francesismo, che vale come "attraverso Dio", "da Dio"

La battaglia di LegnanoIn questa strofa, Mameli ripercorre sette secoli di lotta contro il dominio straniero. Anzitutto,la battaglia di Legnano del 1176, in cui la Lega Lombarda sconfisse Barbarossa. Poi, l'estrema difesa della Repubblica di Firenze,assediata dall'esercito imperiale di Carlo V nel 1530, di cui fu simbolo il capitano Francesco Ferrucci. Il 2 agosto, dieci giorni prima della capitolazione della città, egli sconfisse le truppe nemiche a Gavinana; ferito e catturato, viene finito da Fabrizio Maramaldo, un italiano al soldo straniero, al quale rivolge le parole d'infamia divenute celebri "Tu uccidi un uomo morto"

BalillaSebbene non accertata storicamente, la figura di Balilla rappresenta il simbolo della rivolta popolare di Genova contro la coalizione austro-piemontese. Dopo cinque giorni di lotta, il 10 dicembre 1746 la città è finalmente libera dalle truppe austriache che l'avevano occupata e vessata per diversi mesi

I Vespri sicilaniOgni squilla significa "ogni campana". E la sera del 30 marzo 1282, tutte le campane chiamarono il popolo di Palermo all'insurrezione contro i Francesi di Carlo d'Angiò, i Vespri Siciliani.

Stemma asburgicoL'Austria era in declino (le spade vendute sono le truppe mercenarie, deboli come giunchi) e Mameli lo sottolinea fortemente: questa strofa, infatti, fu in origine censurata dal governo piemontese. Insieme con la Russia (il cosacco), l'Austria aveva crudelmente smembrato la Polonia. Ma il sangue dei due popoli oppressi si fa veleno, che dilania il cuore della nera aquila d'Asburgo.

 

Ho copiato il post da:

https://www.quirinale.it/page/inno 

 

 

ANNO BISESTILE

 

ANNO BISESTILE

L’anno bisestile prende il nome dall’espressione latina bis sexto die (sesto giorno ripetuto). I romani infatti aggiungevano al calendario un giorno in più dopo il 24 febbraio, detto ante diem bis sextum Kalendas Martias (sesto giorno prima delle Calende di marzo).

L’anno bisestile è, sostanzialmente, un anno che conta un giorno in più – tradizionalmente il 29 febbraio – e che nel calendario giuliano cade ogni 4 anni (negli anni, appunto, divisibili per 4), mentre nel calendario gregoriano – il nostro – cade sia ogni 4 anni che negli anni secolari divisibili per 400. Il 2024 nella fattispecie sarà un anno bisestile.

Qual è stato il primo anno bisestile

L’idea dell’anno bisestile venne a Giulio Cesare nel 46 a.C., quando ancora veniva conteggiato dopo il 24 febbraio, cioè prima delle calende di marzo. L’applicazione degli anni bisestili è stata però definitivamente regolarizzata da Ottaviano Augusto a partire dall’8 d.C. Il primo anno bisestile per come lo conosciamo oggi – e cioè da quando i giorni sono conteggiati a partire dal primo del mese – è stato perciò l’8 d.C.

A cosa serve l'anno bisestile

L’anno bisestile serve a colmare un gap temporale nel mutare delle stagioni, ed è tipico dei calendari solari – giuliano e gregoriano, principalmente. La Terra impiega 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45 secondi a completare un'orbita intorno al Sole, il che non coincide con il calendario gregoriano attualmente in utilizzo, che di giorni ne conta solo 365.

Quanti giorni ha un anno bisestile

Dal momento che entro un secolo senza utilizzare l’anno bisestile si avrebbe uno sfasamento tra anno solare e anno tropico di circa 24 giorni, si è deciso di introdurre un giorno in più ogni 4 anni per riequilibrare la tempistica. La durata media dell’anno si “allunga”, perciò, rispetto a quella solita. Diventa così di 365,25 giorni (ovvero 365 giorni e 6 ore) riducendo il gap con l’anno tropico.

Cosa succede per i nati il 29 febbraio

Chi compie gli anni in un anno bisestile, naturalmente, non può aspettare 4 anni per poter festeggiare il compleanno. Tradizionalmente, il compleanno viene perciò festeggiato il 28 febbraio o il 1 marzo.


 Tutte le notizie sopra riportate sono state copiate dal sito seguente:

https://www.studenti.it/anno-bisestile-cos-e-e-come-funziona.html 

 

 

domenica 11 febbraio 2024

FERRARA - PROVERBI IN DIALETTO FERRARESE (3)

PROVERBI 'D PRIMAVERA.

 MARZ

Marzo, Marzott
di buon marlott, 
è lungh al dì com' è la nott. 

AVRIL

Atenti cl' la n' as toca:
eco Avril ch' al porta l' òca. (1)
In Avril tuti i dì un baril. 

(1) porta l'òca = porta il pesce d'aprile.

MAGG 

Ad Magg al sol l' adorna
e chi è d' bela forma artorna. (2)

(2) chi è d' bela forma artorna = chi è di bel colorito vi ritorna.

FERRARA - PROVERBI IN DIALETTO FERRARESE (2)

 Proverbi d' Autun.

SETEMBAR

Dil patach dal to ort fan un bel bloch,
to' dla farina e dl' acqua e po' fa i gnoch
(1).

Delle patate del tuo orto fanne un bel mucchio,
prendi della farina e dell'acqua e poi fai i gnocchi.

 (1) E' usanza ferrarese fare i gnocchi nel giorno di S.Michele,
per solennizare la raccolta delle patate.

 

UTOBAR

Se a piov al di' 'd San Gal (2),
a piov fin a Nadal.

Se piove il giorno di San Gallo,
piove fino a Natale. 

(2) Il 16

 

Par San Luca (3) al tron al va in dla zzuca (4).

Per San Luca il tuono va nella zucca.

(3) Il 18 
(4) Vuol dire che il tuono va a nascondersi, cioè finiscono i temporali.

 

Par San Simon e Giuda (5),
cava la rava e metla in dla busa
(6).

 Per San Simon e Giuda
cava la rapa e mettila nella buca.

(5) Il 28 
(6) Si trapiantano le rape.

 

NUVEMBAR

Se a neva in sla foia,
d'inveran an s' na voia (7).

Se nevica sulla floglia,
d'inverno non se n'ha voglia.
 
(7) Se nevica prima che cadano le foglie, l'inverno sarà molto lungo.


 

 

venerdì 9 febbraio 2024

 

Otello Putinati



Nato a Ferrara il 25 agosto 1899, deceduto a Bologna il 19 dicembre 1952, operaio e dirigente politico e sindacale.

Cominciò a lavorare, giovanissimo, da pastaio. Chiamato alle armi durante la guerra 1915-18, fu ferito in combattimento. Nel dopoguerra, Putinati s'impegnò nell'attività politica e nel 1921 fu tra i primi dirigenti della Federazione comunista, incaricato di curare il lavoro giovanile. 

Dopo l'avvento del fascismo divenne segretario della Federazione e passò alla lotta clandestina. Nell'ottobre del 1927, dopo la promulgazione delle "Leggi eccezionali", il primo arresto con altri comunisti ferraresi e bolognesi e la prima sentenza del Tribunale speciale che, il 19 febbraio 1929, lo condannò a 2 anni di reclusione. Scontata la pena Putinati tentò un collegamento con il Centro estero del suo partito a Parigi, ma fu di nuovo arrestato e processato. Questa volta la condanna fu a 4 anni di carcere, non tutti scontati per l'amnistia del decennale. Nel 1933 nuovo arresto e terza condanna: 16 anni di reclusione. Rinchiuso nel carcere di Pianosa, l'indomito comunista vi restò 6 anni e quando uscì e tornò nella sua città, fu sottoposto a continua sorveglianza e a frequenti arresti. Anche durante i quarantacinque giorni del Governo Badoglio la polizia non lo perdette di vista, ma lui (in condizioni di semiclandestinità), continuò il lavoro di organizzazione della struttura comunista ferrarese.

 Il giorno dopo l'annuncio dell'armistizio, Putinati guidò l'imponente manifestazione popolare che si svolse a Ferrara per la pace e contro l'occupazione tedesca. Per ragioni di sicurezza il PCI lo inviò ad operare nel Modenese e nel Reggiano, ma agli inizi del 1945 ecco di nuovo Putinati a Bondeno dove diresse quel CLN e dove fu tra i promotori della manifestazione contro la guerra che si svolse nella piazza antistante quel Municipio. 

Dopo aver preparato l'insurrezione di Reggio Emilia, a Putinati toccò, dopo la Liberazione di Ferrara, l'incarico di segretario della Camera del Lavoro di quella provincia. Nel 1946, eccolo consigliere al Comune di Ferrara e, nelle elezioni del 1948 per il primo Parlamento repubblicano, eccolo senatore eletto nelle liste del Fronte democratico popolare. Nel 1949, Otello Putinati fu nominato segretario della Federazione lavoratori edili della CGIL e nell'ottobre successivo diresse di nuovo, sino a che non morì prematuramente, la CdL di Ferrara.

 La sua città natale gli ha dedicato una strada. Portano il suo nome una Polisportiva ferrarese e anche un classico Trofeo di bocce, intitolato "Senatore Otello Putinati". Sul muro della casa che Putinati abitò nel popolare Borgo ferrarese di San Luca, c'è una lapide con questa epigrafe:

 "Cittadino ricorda/ che il fascismo non è caduto da solo/ che da solo non sorgerà un mondo migliore. / Per questo/ Otello Putinati/ poco dimorò/ nella povera esistenza di questa casa/ ove pure lo chiamava l'affetto dei suoi cari/ ma fuori, nelle lotte/ con gli umili, con gli operai, con gli oppressi/ visse indomito fra l'uno e l'altro carcere/ fino alla morte."