venerdì 15 agosto 2014

Puma Libre

Lo stipendio del prossimo commissario tecnico della Nazionale sarà pagato al sessanta per cento da una multinazionale di scarpette. I puristi si metteranno le mani nei capelli (sempre che ne abbiano in abbondanza come lui). Ma chi purista non è, e nemmeno capellone purtroppo, accoglie con curiosità la privatizzazione dell’incarico più pubblico che esista. Non prima di avere esaminato le alternative. 

L’abbattimento del sistema capitalistico, di difficile realizzazione nell’immediato. O l’affidamento della panchina azzurra a un allenatore di seconda fila che si accontenti di quanto può corrispondergli uno Stato in bancarotta: briciole, rispetto alle fettone di torta che si spartiscono i migliori. 

Una volta deciso di puntare su un professionista dalla bravura inversamente proporzionale alla simpatia, bisogna capire se è più saggio che a Conte i milioni li dia la Puma o il contribuente italiano. Non sfugge il rischio che l’azienda tedesca possa esercitare pressioni sulla madonnina piangente di Lecce affinché convochi in Nazionale qualche fotomodello dal talento dubbio e balotello. Ciò nonostante, l’influenza della Puma resta preferibile a quella di Buana Tavecchio e del sor Lotito, che di Conte sarebbero gli interlocutori se il suo stipendio fosse interamente in conto allo Stato.  

Con buona pace dei difensori del Bene Comune, l’Italia non è la Scandinavia: qui ciò che è pubblico è pagato da tutti, ma appartiene soltanto ai partiti e ai loro analfabeti di riferimento. Per questo è meglio, o comunque meno peggio, avere dei padroni che dei padrini. Se non altro, ci costano meno.  
Massimo Gramellni
La Stampa, 15 agosto 2014

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