SAN MARTINO di Tours
Uno dei più illustri ornamenti della Chiesa nel secolo IV fu
certamente S. Martino, vescovo di Tours e fondatore del monachismo in
Francia.
Nato nel 316 in Sibaria, città della Pannonia,
l'odierna Ungheria, da genitori nobili ma pagani, ancor bambino si
trasferì a Pavia, ove conobbe la religione cristiana. A 10 anni
all'insaputa dei genitori si fece catecumeno, e prese a frequentare le
assemblee cristiane. Appena dodicenne deliberò di ritirarsi nel deserto;
essendo però figlio d'un tribuno, dovette presto seguire il padre nella
cavalleria e per tre anni militare sotto gli imperatori Costanzo e
Giuliano.
Umile e caritatevole, aveva per attendente uno
schiavo, al quale però egli puliva i calzari e che trattava come
fratello. Un giorno nel rigore dell'inverno era in marcia per Amiens,
incontrò un povero seminudo: sprovvisto di denaro, tagliò colla spada
metà del suo mantello e lo copri. La notte seguente, Gesù, in sembianza
di povero, gli apparve e mostrandogli il mantello disse: « Martino ancor
catecumeno m'ha coperto con questo mantello ». Allora bramoso di
militare solo sotto la bandiera di Cristo, chiese e ottenne
dall'imperatore stesso l'esenzione dalle armi.
Si portò a
Poitiers presso il vescovo S. Ilario da cui fu istruito, battezzato e in
seguito ordinato sacerdote. Visitò ancora una volta i genitori per
convertirli; poi, fatto ritorno presso il maestro, in breve divenne la
gloria delle Gallie e della Chiesa.
Desideroso di vita austera
e raccolta, si ritirò dapprima in una solitudine montana, poi eresse la
celebre e tuttora esistente abbazia di Marmontier (la più antica della
Francia) ove fu per parecchi anni pddre di oltre 80 monaci. Però i suoi
numerosissimi miracoli, le sue eccelse virtù e profezie lo resero così
famoso, che, appena vacante la sede di Tours, per unanime consenso del
popolo fu eletto vescovo di quella città. La vita di San Martino fu
compendiata in questo epigramma: "Soldato per forza, vescovo per dovere,
monaco per scelta".
Il nuovo Pastore non cambiò appunto
tenore di vita, ma raccoltosi a meditare i gravi doveri che assumeva, si
diede con sollecitudine ad eseguirli. Sedò contese, stabilì la pace tra
i popoli, fu il padre dei poveri e più che tutto zelantissimo nel
dissipare ogni resto di idolatria dalla sua diocesi e dalle Gallie.
Formidabile lottatore, instancabile missionario, grandissimo vescovo.
sempre vicino ai bisognosi, ai poveri. ai perseguitati. Disprezzato dai
nobili, irriso dai fatui, malvisto anche da una parte del clero, che
trovava scomodo un vescovo troppo esigente, resse la diocesi di Tours
per 27 anni. in mezzo a contrasti e persecuzioni.
Tormentato
con querele e false accuse da un suo prete di nome Brizio. diceva: "Se
Cristo ha sopportato Giuda, perché non dovrei sopportare Brzio?"
Stremato di forze, malato, pregava: "Signore, se sono ancora necessario
al tuo popolo, non mi rifiuto di soffrire. Altrimenti, venga la morte".
Per saperne di più:
https://www.santodelgiorno.it/san-martino-di-tours/
San Martino di Giosuè Carducci
La nebbia agl’irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor de i vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
sull’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
Parafrasi
La nebbia, lasciando una pioggerella leggera, sale verso i colli
carichi di alberi spogli, e intanto il mare è in tempesta, pieno di
schiuma e di onde, a causa del vento Maestrale. Per le vie del borgo,
però, c’è festa e il mosto che fermenta nei tini, diffondendo un odore
aspro per tutto il paese, rallegra gli animi.
Sulla brace accesa e scoppiettante gira intanto lo spiedo; mentre il
cacciatore sta sull’uscio fischiettando, intento a guardare, tra le
nuvole rosse del tramonto, uno stormo di uccelli neri che, come fossero
pensieri vagabondi, si allontanano in direzione della notte.
Analisi del testo
Questa poesia si compone di quattro quartine, ognuna composta da settenari.
Lo schema delle rime si ripete uguale per ogni strofa: il primo verso è
libero, il secondo è il terzo rimano tra di loro e il quarto (sempre
tronco) rima col verso finale di tutte le altre strofe (-ar). Questo
schema si chiama anacreontico.
Questa poesia racconta, in pochi versi, un mondo intero: si tratta di un confronto
tra il paesaggio malinconico di una natura tempestosa e grigia, tipica
della stagione autunnale, e la felicità nel borgo che aleggia tutto
intorno al poeta.
L’atmosfera festosa nel paesello maremmano (fatto coincidere o con Bolgheri o con Castagneto) deriva dalla giornata in corso, San Martino, che porta le strade a riempirsi del buon odore di vino e carne succulenta cotta allo spiedo. I pensieri di Carducci, però, volano lontano da questa atmosfera festosa e la figura del cacciatore riporta il lettore alla malinconia iniziale, caratteristica dell’ora del tramonto e del volo degli uccelli migratori, che in questo caso sono come pensieri che vagano, simbolo di irrequietezza, affanno e insoddisfazioni tipici della natura umana.
Nella prima strofa di San Martino, Giosuè
Carducci descrive il paesaggio rurale, colmo di tristezza per la
stagione in corso (nebbia, pioggia, tempesta), che si contrappone con la
quieta festosità del borgo nel giorno di San Martino descritta
dall’autore nella strofa successiva.
Il “ma” presente al primo verso della seconda strofa assume un valore doppio, segnando non solo il cambiamento di luogo, ma anche quello del sentimento suscitato.
Inoltre la lirica è piena di notazioni visive e di colori, che contribuiscono a rendere ancora più forte il contrasto nell’animo del poeta rispetto a ciò che vede. L’insistenza sugli aspetti sensoriali è particolarmente forte. La pioggerella della nebbia che fine si posa sui colli, il mosto che ribolle, il mare che “biancheggia” spumoso, lo spiedo che cuoce scoppiettando, le nubi rosse: non c’è riflessione diretta, è tutto affidato al dipinto, praticamente fisso e immutabile, di quanto accade. Questa fissità è ottenuta anche grazie alle scelte operate da Carducci con i tempi verbali: presente, gerundio e infinito, in assenza di alcuna coordinata spaziale o temporale precisa (se escludiamo il fatto che il tutto si svolge durante la festa di San Martino), trasmettono un senso di immobilità.
L’ultima strofa vede il paragone tra gli stormi di uccelli neri che volano all’orizzonte con i pensieri fuggenti dell’uomo, rivelando un partire dal concreto per arrivare all’astratto caratteristico del componimento.
Foto scattate l'11 novembre 2020
Nessun commento:
Posta un commento