giovedì 3 febbraio 2011

Il vestito di Carlà

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Carla Bruni non è più di sinistra. Ecco la classica notizia insignificante che piomba sul tavolo della redazione in una giornata plumbea e riesce quantomeno a provocare una smorfia. Madame Sarkozy non è più di sinistra, lo ha dichiarato lei in un’intervista, ed è una bella sorpresa, specialmente per la sinistra, che perso il voto di Carlà potrà dedicarsi a recuperare quelli della colf, della parrucchiera e della sarta di Carlà, che da decenni votano a destra, non foss’altro per reazione ai discorsi di Carlà.

Premessa: un maschio torinese non è la persona più obiettiva per giudicare colei che incarna la casta delle «cremine», come venivano chiamate ai tempi della mia e sua adolescenza le torinesi ricche, snob, enigmatiche e sostanzialmente stronze, nel senso di crudeli, per le quali la rivoluzione e i rivoluzionari erano un giochino cerebrale con cui ingannare la noia di esistenze facilitate dal destino. Con gli anni abbiamo imparato ad apprezzare la sua eleganza e a convincerci che nascondesse tesori di conoscenza. Ma certo il suo passaggio nell’area del non voto, se non addirittura fra le file del marito destrorso, va festeggiato come un momento di libertà. Sì, libertà di dire che i suoi dischi sono di una noia pazzesca, senza più correre il rischio di passare per insensibili. Libertà di vederla per quella che è, una donna di potere intelligente e spregiudicata, non una santa protettrice degli oppressi. Perché quelle come Carlà sono di destra dentro. E indossano le idee di sinistra come un vestito attillato che serve a fare colpo sugli illusi, ma prima o poi si strappa.
Massimo Gramellini
La Stampa, 1/2/2011

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