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Ipocriti e cumenda.
Da che mondo è mondo coi dittatori ci si indigna in pubblico e si fanno affari in privato. A volte non ci si indigna neppure: si rimane zitti. Un silenzio interrotto solo dal fruscio dei soldi. Mai visto un politico o un imprenditore andare in Cina inalberando cartelli per il rispetto dei diritti civili. Si diventa esportatori della democrazia solo quando conviene, come in Iraq o in Afghanistan. Però esiste un limite che gli statisti cercano di non valicare ed è il rispetto di sé e del Paese che si rappresenta. Quel senso del decoro e delle istituzioni che ti impone di stringere la mano a Gheddafi, ma ti impedisce di baciargliela. Che ti costringe a riceverlo con tutti gli onori, ma non ti obbliga a trasformare la sua visita in una pagliacciata invereconda, con il dittatore a vita che tiene lezioni di democrazia all’università e pianta la sua tenda beduina in un parco storico della Capitale per ricevervi una delegazione di ragazze prese a nolo.
Berlusconi non ha fatto che applicare alle relazioni internazionali le tecniche di adulazione con cui i vecchi cumenda lombardi stordivano il cliente da intortare. Disposti a tutto pur di compiacerlo, considerando la dignità non tanto un accessorio quanto un ostacolo alla conclusione di un affare. Qualche lettore penserà: il cumenda di Stato è solo meno ipocrita degli altri. Verissimo. Ma a me sta venendo il dubbio che l’antica ipocrisia «borghese», contro cui da ragazzo mi scagliai anch’io, fosse preferibile all’attuale sguaiataggine.
Massimo Gramellini
La Stampa - 23/2/2011
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