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La storia vera di Fernanda Wittgens, l'arte, l'impegno, la fede
29/06/2024
Ecco chi era la donna cui l'arte di Milano deve alcune delle sue opere
più importanti, salvate grazie al suo impegno dalle bombe e dalla razzia
nazista. Scopriamo il suo lato umano, politico, cristiano
Quando Fernanda Wittgens fu assunta alla Pinacoteca di Brera era il 1928,
aveva una laurea in Lettere con lode presa nel 1926 all’Accademia
scientifico letteraria, aveva insegnato nei Licei Manzoni e Parini e poi
storia dell’arte al Malagugini, una scuola privata. Non erano
tantissime le donne laureate all’epoca neppure nel gran Milan, la qualifica con cui fu assunta in Pinacoteca la dice lunga su tante cose: «Operaia avventizia». Un due di coppe con la briscola a bastoni, però in gamba. Caparbia e visionaria, andò lontano.
Era nata a Milano il 3 aprile del 1903 e Milano le deve moltissimo e
anche i tanti visitatori che dopo l’Expo hanno riscoperto Milano come
città non solo della moda ma anche dell’arte e del turismo hanno un
enorme debito con questa donna poco ricordata.
Tante delle opere d’arte che ancora oggi si ammirano in città non ci sarebbero forse senza di lei, che senza
badare alle qualifiche, al suo essere donna in un mondo di uomini e a
tutti i paletti che la vita le ha messo davanti ha lottato, anche
fisicamente organizzando e collaborandovi molti trasporti per salvare le
opere di Brera, del Poldi Pezzoli e della Quadreria dell’Ospedale
maggiore dalla razzia dei nazisti e, poi, dalle bombe: molto del patrimonio di Brera si salvò dal bombardamento del 1943 perché era riuscita a portarlo via per tempo. Anche il Cenacolo vinciano come lo conosciamo ora e il suo restauro sono un merito suo, dopo che
nel 1950 era diventata, prima donna nel ruolo, soprintendente alle
Gallerie della Lombardia. E così è merito suo la Pietà Rondanini che
convinse il Comune di Milano ad acquistare, sottraendola ad altre città
pretendenti.
Ma era solo una ragazza, nata in una famiglia della borghesia
milanese con sette figli, cui il padre Adolfo, di origine svizzera,
professore di liceo al Parini, aveva trasmesso la passione per l’arte,
quando la sua avventura ebbe inizio. Fu il successo di una mostra di
arte italiana a Londra a rivelare definitivamente il suo talento al
direttore Ettore Modigliani, che le diede fiducia e nel 1931 la volle
come vice. Quando Modigliani subì l’allontanamento forzato da Brera nel 1935, quindi il confino L’Aquila, in seguito a dissidi con un gerarca fascista, infine l’espulsione dalle cariche dello Stato per via delle leggi razziali del 1938, Fernanda Wittgens
fece pubblicare con la propria firma, visto che la legge non permetteva
che un ebreo firmasse una pubblicazione, il libro che Modigliani aveva
scritto in esilio, Mentore. E prese di fatto il posto del suo maestro: era 1941 e infuriava la guerra.
L’impegno per l’arte, specie lombarda di cui era fine e arguta
conoscitrice, e per gli esseri umani fu tutt’uno: sempre di salvare si
trattava. Per l’aiuto dato alla fuga in Svizzera del professore
ebreo Paolo D'Ancona, della sua famiglia e di altri ebrei che nemmeno
conosceva, Fernanda Wittgens fu arrestata: alla madre scriveva
lettere dalla cella ostentando serenità, ma anche rivendicando i propri
ideali e il dovere di spendersi per gli altri: «E appunto perché non ho
tradito la vera legge che è quella morale o sono provvisoriamente
colpita. La legge dello stato si deve seguire fino a quando
coincide con la legge morale, ma quando per seguirla bisogna diventare
anticristiani si deve sapere disubbidire a qualunque costo». E
ancora: «Quando crolla una civiltà e l’uomo diventa belva, chi ha il
compito di difendere gli ideali della civiltà, di continuare ad
affermare che gli uomini sono fratelli, anche se per questo dovrà...
pagare ? Almeno i cosiddetti intellettuali, cioè coloro che hanno sempre
dichiarato di servire le idee e non i bassi interessi, e come tali
hanno insegnato ai giovani, hanno scritto, si sono elevati dalle file
comuni degli uomini. Sarebbe troppo comodo essere intellettuali nei
tempi pacifici e diventare codardi, o anche semplicemente neutri quando
c’è pericolo».
Queste righe sono citate nell’appassionato omaggio che le dedicò al
Piccolo Teatro l’11 gennaio del 1958, a sei mesi dalla morte, il critico
letterario Francesco Flora che la ricordava così: «In tanta
energia, in tanta capacità di attuare quel che le stava nell’animo come
un gioioso dovere, Fernanda era pur sempre una creatura femminile. E
bastava infatti vederla nei contatti col prossimo, tra i potenti e gli
umili, capace di trovare il tono giusto, con quella virtù sempre un poco
materna che è il fondo della femminilità. Era pur sempre la donna che
nell’imminenza della morte, dicendo addio alla vita e alle persone più
care poté scrivere: «la mia vera natura [... ] è quella di una
donna a cui il destino ha dato compiti da uomo, ma che li ha sempre
assolti senza tradire l’affettività femminile».
Fernanda Wittgens, scomparsa a 54 anni nel 1957, riposa tra gli
illustri del civico mausoleo Palanti al Monumentale di Milano, la sua
città le ha intitolato una via accanto alla Basilica di San Lorenzo e il
suo nome dal 2014 figura tra i Giusti tra le nazioni, il riconoscimento
dato ai gentili che si sono prodigati nel salvare ebrei durante il
nazifascismo, un albero piantato a suo nome e un cippo la ricordano nel
Giardino dei Giusti a Milano.
Alla sua storia sono dedicati un romanzo di Giovanna Ginex e Rosangela Percoco,
intitolato l’Allodola (Salani), deve il titolo al soprannome che le
dava Modigliani - perché come l’allodola la riteneva discreta, la si
notava solo quando spiccava il volo e una precendente biografia sempre
id Ginex, Sono Fernanda Wittengs. Una vita per Brera (Skirà). Dalle
lettere e dagli scritti di Fernanda Wittgens nel 2018 il Piccolo teatro
ha ricavato una lettura scenica con Sonia Bergamasco per la regia di
Marco Rampoldi, intitolata il Miracolo della cena.
Per approfondire: https://it.wikipedia.org/wiki/Fernanda_Wittgens
Nel 1956 rifiuta, con una lettera, la proposta di Ferruccio Parri di presentarsi alle elezioni amministrative
con la lista del Fronte Laico. Significativo il passo: «Ora io non mi
sento, come artista, di entrare nel binario dei partiti perché la mia libertà è condizione assoluta per la vita stessa del mio essere».