La leggenda popolare ferrarese del mago Chiozzino, di cui parla anche Riccardo Bacchelli nel suo romanzo Il mulino del Po,
ci viene tramandata da fonti manoscritte ottocentesche, riprese da
articoli dello stesso secolo e dalla tradizione popolare. Una delle
molteplici versioni della leggenda narra di un ingegnere idraulico,
Bartolomeo Chiozzi ( cabalista e astrologo) conosciuto come il mago
Chiozzino, nato nel 1671 a Mantova e successivamente trasferitosi a
Ferrara, dove avrebbe acquistato un palazzo in via Ripagrande 29, già
della famiglia Palmiroli, in prossimità del volto sito all' imbocco di
vicolo del Chiozzino.
Entrata del palazzo di Via Ripagrande 29
Palazzo di Via Ripagrande 29
La
leggenda narra di un libro di formule magiche, rinvenuto dal Chiozzino
nei sotterranei della sua abitazione, che gli avrebbe permesso la notte
del 19 novembre 1700 di evocare il diavolo, il quale gli sarebbe apparso
nelle vesti di un fedele servitore di nome Magrino, detto "Urlone" per
il timbro di voce potente e rimbombante. Con l'aiuto del servo
demoniaco, al quale ovviamente dopo qualche tempo aveva promesso la sua
anima con un vero e proprio patto della durata di 12 anni, il Chiozzino
fece cose mirabolanti e divenne celebre nel campo dell'idraulica e
dell'idrostatica; non solo a Ferrara, ma anche in altre città della
nostra
penisola ed europee, dove risolveva le più complesse problematiche
relative alle acque e pertanto veniva accolto con tutti gli onori. Ogni
suo desiderio si avverava grazie a Magrino, disponibile e servizievole
fino
essere considerato per molto tempo dall'ingegnere un vero e proprio
amico. Ma, si
sa, quando il diavolo ti accarezza vuole l'anima. E così il Chiozzi,
nonostante i tanti successi nel campo professionale e in quello privato,
allo scadere dei 12 anni era non era affatto felice, forse perché
sentiva
avvicinarsi le fiamme dell'inferno, oppure perché anche la moglie,
fervente cattolica, era triste e aveva capito la malvagità del servo.
Fatto sta che Bartolomeo decide di sciogliere quel legame con il diavolo
Urlone e pensò di trovare rifugio nella chiesa di San Domenico, che
proprio
nei primi decenni del settecento è stata completamente trasformata e
rinnovata.
Vicolo del Chiozzino
I
domenicani erano deputati all'inquisizione e in quel periodo
a Ferrara erano prodighi di aiuti proprio nei confronti dei posseduti o
presunti tali, che venivano quindi liberati dal maligno e perdonati
dopo
pubblica abiura. Pare che lo stesso mago Chiozzino avesse confidato ai
religiosi la sua incredibile vicenda e si fossero caccordati per
eliminare il demone. Così, l'ingegnere riuscì con una scusa a liberarsi
del suo
servitore, ordinandogli in virtù del citato patto di ritornare a casa a
prendere la scatola del tabacco che aveva dimenticato. Urlone andò e
tornò come una saetta, ma l'ingegnere ormai ce l'aveva fatta: entrato
nella chiesa, dove gli venne subito impartita la benedizione dai
domenicani, che lo accolsero tra le braccia esorcizzandolo. Magrino,
accortosi della mossa del suo
padrone, cercò di entrare di soppiatto dal portale minore della
chiesa di San Domenico ma fu raggiunto da alcune gocce di acqua
benedetta e dovette desistere.
La chiesa di San Domenico
Dalla rabbia di aver ormai perduto
l'anima di Bartolomeo Chiozzi, Urlone si sarebbe trasformato in un
vero e proprio diavolo dalle sembianze caprine e con un calcio avrebbe
sferrato una zampata così violenta alla base della colonna di destra del
portale, da lasciare l'impronta visibile ancora oggi a distanza di tre
secoli. Il diavolo Magrino, avendo fallito la sua missione sarebbe stato
poi condannato da Belzebù a bestemmiare come un ossesso nelle
boscaglie del Barco, la vasta area compresa tra Ferrara e il Po, ora nota come
Parco Bassani, che nel 18º secolo era in parte paludosa e piuttosto lugubre. E allora sorse un'altra leggenda, quella dell' Urlon del
Barco, territorio
in cui servitore demoniaco si sarebbe manifestato per vent'anni con
urla e strani rumori, specialmente durante le bufere di vento.
----------------------------------------
Non ho trovato l'impronta della zampata e, per rimediare, pubblico la foto che segue:
Nota:
Le foto sono state scattate nel novembre 2018.
I commenti alle foto e le notizie storiche sono tratti dal libro di Francesco Scafuri, ALLA RICERCA DELLA FERRARA PERDUTA.
Nessun commento:
Posta un commento