lunedì 19 novembre 2018

FERRARA - CHIESA DI SAN DOMENICO E LA LEGGENDA DEL MAGO CHIOZZINO

La leggenda popolare ferrarese del mago Chiozzino, di cui parla anche Riccardo Bacchelli nel suo romanzo Il mulino del Po, ci viene tramandata da fonti manoscritte ottocentesche, riprese da articoli dello stesso secolo e dalla tradizione popolare. Una delle molteplici versioni della leggenda narra di un ingegnere idraulico, Bartolomeo Chiozzi ( cabalista e astrologo) conosciuto come il mago Chiozzino, nato nel 1671 a Mantova e successivamente trasferitosi a Ferrara, dove avrebbe acquistato un palazzo in via Ripagrande 29, già della famiglia Palmiroli, in prossimità del volto sito all' imbocco di vicolo del Chiozzino.

Entrata del palazzo di Via Ripagrande 29



 Palazzo di Via Ripagrande 29

La leggenda narra di un libro di formule magiche, rinvenuto dal Chiozzino nei sotterranei della sua abitazione, che gli avrebbe permesso la notte del 19 novembre 1700 di evocare il diavolo, il quale gli sarebbe apparso nelle vesti di un fedele servitore di nome Magrino, detto "Urlone" per il timbro di voce potente e rimbombante. Con l'aiuto del servo demoniaco, al quale ovviamente dopo qualche tempo aveva promesso la sua anima con un vero e proprio patto della durata di 12 anni, il Chiozzino fece cose mirabolanti e divenne celebre nel campo dell'idraulica e dell'idrostatica; non solo a Ferrara, ma anche in altre città della nostra penisola ed europee, dove risolveva le più complesse problematiche relative alle acque e pertanto veniva accolto con tutti gli onori. Ogni suo desiderio si avverava grazie a Magrino, disponibile e servizievole fino essere considerato per molto tempo dall'ingegnere un vero e proprio amico. Ma, si sa, quando il diavolo ti accarezza vuole l'anima. E così il Chiozzi, nonostante i tanti successi nel campo professionale e in quello privato, allo scadere dei 12 anni era non era affatto felice, forse perché sentiva avvicinarsi le fiamme dell'inferno, oppure perché anche la moglie, fervente cattolica, era triste e aveva capito la malvagità del servo. Fatto sta che Bartolomeo decide di sciogliere quel legame con il diavolo Urlone e pensò di trovare rifugio nella chiesa di San Domenico, che proprio nei primi decenni del settecento è stata completamente trasformata e  rinnovata.
 






Vicolo del Chiozzino

I domenicani erano deputati all'inquisizione e in quel periodo a Ferrara erano prodighi di aiuti proprio nei confronti dei posseduti o presunti tali, che venivano quindi liberati dal maligno e  perdonati dopo pubblica abiura. Pare che lo stesso mago Chiozzino avesse confidato ai religiosi la sua incredibile vicenda e si fossero caccordati per eliminare il demone. Così, l'ingegnere riuscì con una scusa a liberarsi del suo servitore, ordinandogli in virtù del citato patto di ritornare a casa a prendere la scatola del  tabacco che aveva dimenticato. Urlone andò e tornò come una saetta, ma l'ingegnere ormai ce l'aveva fatta: entrato nella chiesa, dove gli venne subito impartita la benedizione dai domenicani, che lo accolsero tra le braccia esorcizzandolo. Magrino, accortosi della mossa del suo padrone, cercò di entrare di soppiatto dal  portale minore della chiesa di San Domenico ma fu raggiunto da alcune gocce di acqua benedetta e dovette desistere. 



















La chiesa di San Domenico

Dalla rabbia di aver ormai perduto l'anima di Bartolomeo Chiozzi, Urlone si sarebbe trasformato in un vero e proprio diavolo dalle sembianze caprine e con un calcio avrebbe sferrato una zampata così violenta alla base della colonna di destra del portale, da lasciare l'impronta visibile ancora oggi a distanza di tre secoli. Il diavolo Magrino, avendo fallito la sua missione sarebbe stato poi condannato da Belzebù a  bestemmiare come un ossesso nelle boscaglie del Barco, la vasta area compresa tra Ferrara e il Po, ora nota come Parco Bassani, che nel 18º secolo era in parte paludosa e piuttosto  lugubre. E allora sorse un'altra leggenda, quella dell' Urlon del Barco, territorio in cui servitore demoniaco si sarebbe manifestato per vent'anni con urla e strani rumori, specialmente durante le bufere di vento.
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Non ho trovato l'impronta della zampata e, per rimediare, pubblico la foto che segue:



Nota:
Le foto sono state scattate  nel novembre 2018.
I commenti alle foto e le notizie storiche sono tratti dal libro di Francesco Scafuri, ALLA RICERCA DELLA FERRARA PERDUTA.


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