domenica 15 maggio 2016

Cibi in scatola e guerra 15/18



A pagina 76 del libro di Paolo Malaguti SUL GRAPPA DOPO LA VITTORIA si legge:

.........Il Grappa era stracolmo di qualsiasi tipo di materiale. Un mio coetaneo di Romano, Salvo si chiamava, aveva scoperto, completamente intatto, un deposito di cibo austriaco, presso il Fontanasecca , una delle cime conquistate con l'ultima offensiva. Casse, pile intere di carne in scatola, cioccolata, caffè, cognac. Trovò addirittura il settore con i viveri destinati agli ufficiali, con caviale e marmellata arance.  ........................

Pensavo che l'uso delle scatolette fosse più recente ed invece:


Il primo cibo inscatolato risale al 1812 in seguito agli studi di Nicolas Appert; presentava numerosi problemi, tra cui la mancanza di metodi autonomi di apertura. Solo nel 1855 fu inventato l'apriscatole, e nel 1866 le scatole furono dotate di chiave. Nel 1876 si ebbe la prima esportazione intercontinentale di carne in scatola, dall'Argentina alla Francia.

In Italia l'invenzione della carne in scatola e del minestrone per le truppe si deve al colonnello  Ettore Chiarizia, che brevettò nel 1929 la produzione di prodotti alimentari scatolati per le truppe, tra cui la carne in scatola, il minestrone e la minestra di pasta e lenticchie. Tali prodotti, pertanto, costituirono un notevole passo verso la soluzione dell'importante e delicato problema di vettovagliamento delle truppe in campagna e specialmente per il fatto che consentivano la distribuzione di un rancio caldo e sostanzialmente gradito dalle truppe che si trovavano in località particolarmente disagiate, dove non era possibile od agevole confezionare o far giungere in buone condizioni il rancio caldo normale.

«La grande guerra di latta» (edizioni Menin, 13 euro) è un libro che ci riporta al quotidiano della vita dei soldati italiani impegnati su 600 chilometri di fronte nel periodo 1915-18. Ci riporta alle loro sofferenze attraverso un’ottica insolita, non quella dell’eroe che si sacrifica per la Patria ma dell’uomo che affida la sua sopravvivenza a quelle coloratissime scatole di latta, contenenti pesce o carne. Ma anche burro o prosciutto, dadi per il brodo o mortadella. Lo hanno scritto a quattro mani Giovanni Dalle Fusine, giornalista e scrittore (nonchè dirigente del Museo della Grande guerra di Canove, sull’Altopiano di Asiago), e Gianluigi Demenego, cuoco ed escursionista. Per anni hanno raccolto reperti nelle zone di guerra, hanno fatto certosine ricerche d’archivio e poi con passione hanno ricomposto il mosaico. Il risultato non è solo una raccolta di cimeli, ma una rappresentazione insolita della guerra. Fa notare Patrizia Stano della Rizzoli Emanuelli Spa, azienda di Parma che ancora oggi produce le alici in salsa piccante che venivano distribuite ai soldati italiani (stessa ricetta, stessa scatola): «Nessuna foto d’epoca ci potrà mostrare i colori percepiti dagli eserciti durante la Grande Guerra, paradossalmente riesce nell’impresa un modesto barattolo strappato al campo di battaglia».

Ai soldati italiani nel corso del conflitto furono distribuite qualcosa come 200 milioni di scatolette. Contenevano 220 grammi di tonno o di carne ciascuna, ma potevano essere consumate soltanto dopo il nulla osta superiore, ovvero quando mancava il rancio caldo prodotto dalle cucine da campo. Le razioni alimentari dovevano assicurare al soldato circa 4.350 kcalorie, ma alla fine del 1916 la razione venne ridotta e il morale della truppa ne risentì. La disfatta di Caporetto era alle porte, preceduta dalle sanguinose battaglie sull’Isonzo. Sul fronte del Piave a rivitalizzare l’animo dei soldati contribuì anche l’aumento della quantità di cibo distribuita. Ancora oggi non è raro trovare nei luoghi dei combattimenti della scatolette arrugginite aperte dai soldati prima della battaglia. Alcune però (come documentato nel libro) hanno miracolosamente conservato i propri colori , mostrando la pregevole grafica dei marchi. Alcuni storici come la Cirio o la Bertolli. C’erano prodotti etichettati con nomi patriottici “Antipasto finissimo Trento e Trieste” o “Alici alla Garibaldi”, “Filetti Savoia”, “Antipasto Tripoli”. La bandiera italiana compare spesso.

Fu Napoleone Bonaparte ad indire un concorso per conservare i cibi destinati ai soldati. Lo chef Nicolas Appert riscontrò che la bollitura e il compostaggio in barattoli di vetro allungava i tempi di conservazione, bloccando la fermentazione. Vinse lui i 12.000 franchi in palio. Ma fu il connazionale Pierre Durand che ebbe l’idea di utilizzare i più resistenti contenitori in metallo. Poi vendette il brevetto agli inglesi. La ditta Donkin e Hall introdusse la saldatura del coperchio. In Italia la prima ditta a inscatolare il cibo fu la Cirio (piselli, Torino 1858), mentre per la carne il primato spetta alla Sada di Crescenzago (1881).

La razione alimentare distribuita ai kaiserjager autroungarici durante la guerra era inferiore a quella dei colleghi italiani (200 grammi di carne in brodo), tanto che per rimpinguare la dotazione il governo imperiale dovette importare scatolame dalla Norvegia. Ma le sorti del conflitto erano già segnate.

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