ANTICHI MESTIERI
Gargiolai (o Gargiolari)
Garžulær, (sing. e pl. inv. -itz. gargiolai o gargiolari; urbano šgažulær-). Pure i gargiolari operavano in gruppetti di poche unità e si distinguevano dai canapini per le diverse funzioni che questi avevano, nei diversi trattamenti della canapa e nel contesto del loro lavoro. Il nome gargiolaio viene, appunto, da gargiolo;
ottenuto dalla cernita della canapa più fine. Loro compito era quello
di trattare, pettinare il gargiolo per poi essere filato e tessuto. Da
questa lavorazione si ottenevano tre scelte: a) – ramndî, sing. ramndæl (intr.). Era la parte del tiglio che ricopriva il fusto della pianta. Dopo la starpunæ (itz. starponata, a Pieve di Cento detta tâj [taglio]) in tre pezzi, poi pettinata ne uscivano i ramndî che erano la parte più fine della concia, i quali, filati, davano il filo. A volte si faceva una lavorazione ancora più fine e si otteneva al muræl (intr.: itz. darebbe morale o morello ma nell’ambiente, in questa accezione, rimarrebbero termini senza senso in quanto apparterrebbero ad altri contesti). Con il muræl si
otteneva il filo più sottile di tutti gli altri, ottenuti con le scelte
successive. Con la tela da questo ottenuta si facevano le doti da sposa
per le ragazze della famiglia, ma non sempre; si usava parimenti anche
tela fatta con filo di ramdæl senza la distinzione fra bdæl e muræl.
Con questi due tipi di tela si facevano anche biancheria intima,
asciugamani, lenzuola e quant’altro si potesse ottenere di fino; b) – manæle (pl. manæl, itz. mannella): era la seconda scelta (parte migliore dello scarto del gargiolo non usato per i ramndî), la cui filatura e tessitura dava la tàile ed manæle (tela di manella), con la quale si poteva fare praticamente di tutto ma era particolarmente usata per fare pantaloni, detti ed rigadéñ (itz.
di rigatino); verosimilmente perché questi, qualche volta fino alla
seconda guerra mondiale, venivano tinti in toto o con righe colorate in
blu o marrone. Questo fatto, molto probabilmente, è un’eredità fin dal
primo ’600, quando da quelle parti e non solo, si portavano le brache a
righe; la maschera del Narciso da Mal Albergo ne è buon testimone. I calzoni dei vecchi, a volte, erano tinti in tinta unica, molto tempo prima dell’avvento dei jeans americani; c) – tûz, sing. tôz, (intr.: itz. darebbe tozzi;
essendo parola monosemica non ha senso in altri contesti), terza
scelta, la più rozza: era il primo scarto ottenuto dalla lavorazione
che, filato, dava la tàile ed tôz
(lett. tela di tozzo), la quale serviva per fare sacchi, teloni da
carro e altro, nonché lenzuola per i ragazzi, per i bambini (chi scrive
compreso). Quando le lenzuola erano nuove e i ragazzi la mattina si
alzavano dal letto, potevano avere la pelle rossa e non immune da
qualche piccolo graffio.
A proprosito di gargiolari e canapini
è quanto meno opportuno chiarire il significato dei due termini che
(capita spesso) vengono fraintesi e confusi l’uno con altro; nel
contempo serve come esempio di lettura per un qualsiavoglia elemento
delle culture materiali. Questa distinzione si concretizza nel contesto
dell’oggetto di cui si parla. Poiché in quel mondo non esiste nulla in
sé, e tutto quanto lo compone (attrezzi, azioni, psicologie,
comportamenti, superstizioni e quant’altro) trova la propria ragione di
essere in un contesto, appunto, si approfitta per dire: a) – i gargiolari (detti anche cuñzéñ [itz. concini, conciatori?]) conciavano il gargiolo
secondo la tecnica necessaria per predisporlo ad ulteriori lavorazioni
per uso domestico; quindi, il fine di questa attività rientrava nel
contesto dell’economia domestica; b) – i canapini
lavoravano la canapa secondo una tecnica richiesta per l’ammasso;
quindi, il fine di questo lavoro era il mercato. Cosa che,
verosimilmente, è stata da sempre. Questo chiarimento per dire che,
purtroppo, a volte può capitare, che senza inquadrare l’argomento nel
contesto che gli è proprio, possa comparire altra cosa che potrebbe
essere definita o indefinita; in quest’ultimo caso potrebbe anche essere
qualsiasi cosa. Questo stesso discorso vale pure per i contadini, comunemente intesi.
Link: Il dialetto della bassa
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