giovedì 17 gennaio 2019

IL MULINO DEL PO - RICCARDO BACCHELLI

PROVERBI, FILASTROCCHE, CANZONETTE...........E QUALCHE FRAMMENTO DI STORIA.....................

Ferrara, Ferrara
La bella città.
Si mangia, si beve,
E allegri si sta.
Si mangia, si beve,
L'amore si fa:
Un giorno di qua,
Un giorno di la,
Tarà, taratà, tarà, rataplà!
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.....il Mazzacorati l'udì cantare verso il villaggio, riconobbe la canzone:

Se può venir il tempo della foglia
Mi voglio innamorar, venga chi voglia.

Era uno stornello delle giovani contadine dei suoi posti, sotto gli argini di Po e di Reno e di Panaro, quando i prati secchi e i pascoli esausti nei mesi del gran caldo le mandavano sugli alberi a far la foglia per il bestiame. Continuava la canzone:

Il tempo della foglia l'è venuto,
Io avevo un bell'amante, e l'ho perduto.
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 A Ferrara in Piazza Nuova c'era, e c'è tuttavia adesso che si chiama Piazza Ariostea, una gentil colonna di marmo antico: dovevano essere due, gemelle, a reggere la statua d' Ercole duca di Ferrara, sul cavallo modellato già da Leonardo per il genero di lui, per Ludovico il Moro. Ma la gemella andò a picco in Po, e il cavallo, nel cortile del Castello di Milano, seguì la sorte ch'ebber tutte le cose del malavventurato genero del duca savio, e tante del divino Leonardo.
Passata la città dall'aquila bianca d'Este sotto le chiavi pontificie, sulla colonna fu messo un papa che aveva voluto bene ai ferraresi, e che vi stette pacifico fino 1796, quando i giacobini lo tirarono giù colle corde, incollonnando una Libertà, che durò fino la reazione del '99 e  agli austro-russi. Ma la Libertà di marmo non ritrovo più la via e il tempo di risalire sulla colonna, poichè vi fu messo nel 1810, ed era tardi, l'imperatore dei francesi e re d'Italia. La piazza si chiamò "Napoleone", il quale sulla colonna, in toga romana, resse il  mondo in palma di mano non molto più, a conti fatti, di quel che vi aveva durato la Libertà giacobina: fino ai 14 di maggio del 1814. E dopo che il' Nugente, generale austriaco, in nome del Papa e per mandato della Santa Alleanza, ebbe preso possesso della padana città dei poeti, la colonna restò vuota parecchi anni, bianca tra il verde dell'erba delle belle piante, quasi nessuno avesse più l'animo di mettercisi, pensando a

quella che di noi fa come il vento
D'arida polve, che l'aggira in volta,
La leva fino al cielo, e in un momento,
A terra la ricaccia onde l'ha tolta.

Adesso v'è sopra il poeta, e non ha più padroni, nè Ippolito cardinale nè duca Alfonso, a farlo, tanto mal suo grado , "cavallaro" "per monti e balze",  e castellano di Garfagnana, lontano da Ferrara e  dagli studi e dalla donna.
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Alla fine del 1807 si ripeterono gli stenti del 1801, e proprio ad Ariano, che aveva chiesto daccapo sgravi di tasse, si replicò più penoso e più odioso il rifiuto. Le leve sempre più gravi e frequenti spopolavano di braccia valide un paese di bocche affamate. I parroci erano stati costretti dal governo  a redigere le odiatissime liste di coscrizione. Passarono in proverbio e in canzone coteste leve. E il ricordo toccava i cent'anni in una canzone, in un compianto delle ragazze abbandonate, nella melanconia d'un verso che noi abbiamo ancora udito cantare dalle nostre nonne in quelle terre di Po e di Reno:

Napoleone,
La bella gioventù per te la vuoi.
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 Morirò, morirò, non dubitare!
E allor contenterò chi mi vuol male. 
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Tacete o voi che non sapete il canto:
L'asnein dal mulinar v'ha tolt il vanto.
t'ha tolto il vanto e messo ti ha l'anello:
L'asinin del mugnaio è tuo fratello.
 
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Per Santa Lucia,
La più lunga notte che ci sia.
 
Madonna Candelora,
O che nevichi o che piova,
D'inverno siamo fuora;
O piovere o nevare,
Quaranta dì son da passare.
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........Non aveva inteso senza una strana, improvvisa tristezza, il ragazzetto dell'arrotino, il "moletin", cantare nel suo dialetto trentino:
E sin e son, la mola
E' un arte che consola;
E sin e son e san,
E' un buon mestier in man.
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 Me pare fa 'l moleta,
Mi fago 'l moletin;
Quand sarà mort me pare,
Farò 'l moleta mi;
E sin e son e san,
L'è un bon mistier in man.

- Sentite padrone, -aveva detto allora l'arrotino fermando il piede sulla stanga per regolare lo zipolo dell'acqua, - che cosa canta questo gaglioffo?  Metteteli poi al mondo! È mio figlio, padrone ,- e rideva:-  tocca a lui  cantare e a me ascoltare, come toccò mio padre.................
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 Epifania, ogni festa porta via.

Polvere in gennaio,
Fai di rovere il granaio.

San Giovanni mietitore
E San Pietro sgranatore,
Porta la spiga al mulino
A far farina e fiore e semolino.

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Di fatto, nei vari paesi, usavano diverse frasche, a seconda che il maio voleva significare amore, o gelosia, o disprezzo e ripudio. E, fra genti sempre state inclini alle burle e ai detti mordaci, usava anche il maio da burla, per castigo o vendetta delle ragazze superbe o dispettose o vane, o per semplice derisione, come aveva temuto Princivalle.
Al dì dell' Ascensa, portan maio a chi non se 'l pensa;- Il detto, non ché a sperare amore, dunque dava anche a temere odio. 

Il ben che ti ho voluto sia un cortello.

Ma certo nessuno odiava Dosolina. Donata si  intestardiva a cercare chi si fosse arrrischiato a tentarle la figliuola, e nei grami casolari sparsi della Diamantina stava diventando una favola davvero, da farle cantare davanti casa qualche quartina satirica:

Dosolina, non far tanto la granda,
Perché 'l tuo padre non è 'l re di Francia,
E la  tua madre non è la regina:
Non far tanto la granda, o Dosolina!
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La mia amorosa fa la contadina,
Quando che va al mulino s'infarina;
La s'infarina di farina bianca,
La mia amorosa l'è quella che canta. 

Sant'Antonio dal campanin, 
Qui non c'è pan, qui non c'è vin,
Qui non c'è legna da bruciar;
O Sant'Antonio,
Com' abbiamo da far ?


Din don campanon:
La campana - d' fra' Simon
La campana - d' fra' Simon;
Tri putin  sotto'una scrana,
Din don campanon:
La campana - d' fra' Simon
La cantava notti e dì
Che Gregori l'èe fallì,
L'è fallì coi franciscon
A la barba di mincion.


Di maggio, il sol  l'adorna,
 E chi è di bella forma ritorna.

Prima pioggia d'agosto
Pover' uomo ti conosco.

Il calor se ne va in fumo,
 prepara il sacco dei pomi.

Par Sant'Andrè
 Ciappa 'l busgat pr' al piè.

Se t'an al vo' ciapar,
Lass' l'andar  fin a Nadal.


  

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