Endoscopia hi-tech
di Giovanni Sabato
Contorto, buio, profondo: il tubo digerente è un rompicapo per chi indaga mal di pancia, celiachie e persino tumori. Ma la scienza ha cambiato la scena Un tubo flessibile
La tecnica principe resta tutt'oggi quella classica: un tubo flessibile dotato di una fonte di luce, introdotto dal basso per esplorare il colon, o dall'alto per visualizzare l'esofago, lo stomaco e l'inizio dell'intestino tenue (il duodeno). "In alcuni casi questo è lo strumento essenziale per la diagnosi", spiega Alessandro Repici, responsabile del Servizio di Endoscopia Digestiva dell'Istituto Clinico Humanitas di Milano: "Se si sospetta una celiachia (l'intolleranza ai cibi contenenti glutine), l'endoscopia del duodeno è indispensabile perché consente sia di verificare l'aspetto macroscopico della parete, che spesso è appiattita senza i normali rilievi, sia soprattutto di prelevare un campione della mucosa e analizzarlo per documentare l'atrofia dei villi, che è l'unico marcatore definitivo della malattia".
Anche per le malattie infiammatorie intestinali - morbo di Crohn e colite ulcerosa - con la colonscopia è possibile fare la diagnosi, e valutare quanto è estesa la malattia lungo l'intestino e il suo grado di attività, grave o lieve, tutti dati rilevanti per decidere la terapia.
Se la malattia infiammatoria dura da oltre 10-12 anni, la colonscopia va eseguita periodicamente, anche ogni anno, per cogliere sul nascere eventuali tumori. Il rischio di trasformazione tumorale in questi malati è particolarmente alto, come lo è nei portatori di forme genetiche di cancro del colon, cioè persone che hanno più familiari già colpiti. "In queste persone il normale ricambio dell'epitelio è molto accelerato. Mentre di norma l'evoluzione da tessuto normale a polipo a tumore richiede una decina d'anni, per loro può bastare un anno", spiega Alberto Larghi, specialista di Endoscopia Digestiva Chirurgica al Policlinico Gemelli di Roma.
Sotto un'altra luce
Ma l'endoscopia oggi è un'intera panoplia di tecniche mirate tutte a far luce nel profondo oscuro del tratto digerente. "Ci sono tecniche per individuare più precocemente le anomalie. Per esempio coloranti vitali, non tossici, che, spruzzati sulla mucosa, mettono in risalto la lesione rispetto al tessuto normale (cromoendoscopia)", spiega Larghi.
L'ultima novità sono addirittura dei dispositivi virtuali, che ottengono un effetto analogo emettendo luce di specifici colori. A seconda della lunghezza d'onda, la luce penetra a livelli diversi mettendo in evidenza un determinato strato di tessuto. Per esempio, la luce blu penetra solo superficialmente, mostrando l'aspetto della mucosa e dei vasi superficiali, che aiutano a riconoscere le caratteristiche di una lesione meglio rispetto all'endoscopia normale. La speranza è che l'evoluzione delle tecniche porti a visualizzazioni così raffinate da eliminare il bisogno di biopsie, facendo l'esame istologico in tempo reale, direttamente in vivo. "Molti ci lavorano ma siamo solo agli inizi, la cosa non è ancora possibile", precisa Larghi.
Il suono del tumore
Sfruttando poi un altro tipo di onde, i moderni strumenti varcano le pareti del tubo digerente, addentrando lo sguardo per qualche centimetro sotto la superficie e nei tessuti circostanti con le onde sonore. È l'ecoendoscopia: l'endoscopio ha sulla punta una sonda ecografica, che emette ultrasuoni e rileva l'eco riflessa dai tessuti.
"Si usa soprattutto per valutare l'avanzamento dei tumori", spiega Larghi: "L'ecografia ci dice non solo quanto il tumore infiltra la parete dell'organo, ma anche se si è già disseminato nei linfonodi vicini: elementi essenziali nel percorso diagnostico che porta a decidere se vale la pena di operare, e se è utile far precedere l'intervento da una chemioterapia che riduca la massa tumorale".
Se invece vicino al tubo digerente si trova un linfonodo invaso da cellule di origine ignota, sotto la guida ecografica l'endoscopio può prelevare in tempo reale un campione di tessuto per capire l'origine del tumore.
"L'ecoendoscopia si usa anche per riconoscere alcune anomalie benigne (leiomiomi, fibromiomi o lipomi), che tipicamente si presentano come rilievi della parete ricoperti da una mucosa sana", aggiunge Repici: "Questa tecnica, a differenza di quella tradizionale, consente di studiarle in profondità distinguendo le formazioni con aspetto tumorale da quelle benigne".
Qui ci vuole il wireless
Perfezionato quanto si vuole, l'endoscopio, però, non arriva ovunque. Ci sono regioni precluse dalla distanza: i lunghi meandri dell'intestino tenue, inaccessibili - se non con tecniche particolari - oltre il breve tratto iniziale del duodeno. Se capita per esempio un sanguinamento persistente, ed esofago, stomaco e colon appaiono in ordine, occorre esplorare i metri e metri di intestino tenue per ricercarne la causa. In questi casi, da pochi anni c'è la capsula endoscopica: una videocamera senza fili contenuta in una pillola che, ingoiata, trasmette le immagini delle pareti in cui scorre ed è poi recuperata nelle feci. Finora la capsula è consigliata soprattutto per ispezionare la mucosa dell'intestino tenue, per accertare le cause di sanguinamenti di origine ignota, scoprire piccoli tumori, diagnosticare e valutare la celiachia o il morbo di Crohn quando interessa questa regione.
La tecnica tuttavia è giovane e in rapido progresso: la miniaturizzazione dei componenti permette di aggiungere nuovi strumenti per eseguire ulteriori analisi, per esempio dei contenuti gastrici. I ridotti consumi e il funzionamento intelligente, che la accende solo nel tratto d'interesse, e rallenta l'acquisizione delle immagini quando è ferma per accelerarla quando è in movimento, aumenta inoltre la durata delle riprese (finora uno dei suoi limiti), garantendo che completi l'esame senza esaurire le energie.
Grazie a queste innovazioni, la capsula è in sperimentazione - anche al Gemelli di Roma - pure per la ricerca di polipi e cancri nel colon: se si mostrerà all'altezza, potrebbe essere un'alternativa più pratica dell'endoscopia e facilitare l'adesione ai programmi di screening.
L'endoscopio, infatti, può essere fermato anche da impedimenti fisici, come restrizioni del colon, o dalle remore di chi magari ha già avuto una colonscopia e ne serba ricordi sgradevoli (anche se di solito i fastidi sono blandi). Oppure può essere sconsigliabile per il pericolo di perforazioni. In questi casi si può ricorrere alla colonscopia virtuale o, più precisamente, colografia virtuale: partendo da una serie di immagini ricavate con la Tac, l'interno del colon è ricostruito al computer in due o tre dimensioni, simulando una vera colonscopia. "Si usa anche per visualizzare altri aspetti del colon come la diverticolosi, oppure varianti anatomiche come una lunghezza insolita, che predispone al colon irritabile", spiega Emanuele Neri, specialista in questa tecnica al Dipartimento di oncologia, dei trapianti e delle nuove tecnologie in medicina all'Università di Pisa: "È invece inutile per le malattie infiammatorie, perché non distingue se la mucosa è infiammata o no". Riguardo allo screening tumorale, due studi recenti, di cui uno italiano, hanno confermato la buona accuratezza della tecnica, non pari però a quella classica.
Interpretare le immagini
Di fatto, comunque, i nuovi strumenti forniscono immagini sempre più accurate. Ma che hanno bisogno di essere lette e interpretate. "L'interpretazione spetta sempre all'occhio umano", racconta Larghi: "Moltissimo abbiamo imparato dai giapponesi. Lì il cancro dello stomaco è molto diffuso, e gli endoscopisti hanno accumulato un'esperienza immensa facendo esami accuratissimi, lentissimi, scrutando con dedizione assoluta ogni particolare, così che ormai sanno riconoscere a occhio anomalie minime che noi nemmeno vediamo. Sono un po' come i cercatori di funghi".
Qualche aiuto, però, il computer lo può dare. "Esistono sistemi che mettono in allerta il radiologo segnalando le zone sospette", spiega Neri: "Non tutti li usano, ma ormai sono molto efficaci. Non sostituiscono l'occhio, perché sta sempre al medico confermare o meno la diagnosi, ma lo aiutano a non lasciarsi sfuggire qualche dettaglio, specie in situazioni come uno screening in cui bisogna leggere 10-15 esami al giorno: il medico si stanca e può distrarsi, il computer no".
(13 maggio 2010)
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