sabato 25 dicembre 2010

E famose un regalino

Beh, abbiamo lavorato bene e i Babbi Natale aka Pantalone ce voiono bbene!

Ecco cosa a questi si sono regalati coi soldi di BN:


Rapido calcolo:
iPad 64gig 3g: 800€
Se ne desume che l'anello tricolore valga idem.
Diciamo che non tutti i 1000 ne beneficino.
La SVP per es potrebbe limitarsi a regalare dello Speck dop docg dip dap da soli 100€.
Occhio alle pesche sciroppate leghiste del Lago di Como, una di quelle potrebbe effettivamente costare quanto un buon Sfurzat d'annata veramente buona.

Allora facciamo 600 tra camera e senato?
600*800= 480.000€

Bene, bravi, continuate così!
Intanto Babbo Natale vi saluta e forse un giorno o l'altro vi ci manda pure.

*Sfurzat: vino elite della Valtellina che sta poco distante dal Lago di Como.

Pubblicato da  http://pztake.blogspot.com/2010/12/e-famose-un-regalino.html
il 22/12/2010
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Cartolina di Natale

Come biglietto di auguri natalizi, una lettrice ha spedito agli amici questa storiella edificante. Un sant’uomo chiede a Dio di poter visitare l’inferno e il paradiso, possibilmente nell’ordine (preferisce il lieto fine). Dio lo conduce davanti a due porte chiuse e spalanca la prima. Al centro della stanza spicca una tavola rotonda e al centro della tavola un pentolone da cui emana un profumo delizioso. Ma le persone sedute intorno alla tavola sono ridotte a scheletri. Ciascuna di esse ha un mestolo attaccato al braccio, lo tuffa nel recipiente per raccogliere il cibo e però poi non riesce a portarlo alla bocca perché il manico del mestolo è più lungo del braccio. Che supplizio atroce, pensa il sant’uomo, compatendo gli affamati. «Hai appena visto l’inferno», dice Dio e spalanca la seconda porta, quella del paradiso. C’è una tavola rotonda al centro della stanza anche lì. Al centro della tavola un pentolone da cui emana lo stesso profumo. E le persone sedute intorno alla tavola hanno un mestolo attaccato al braccio che nessuna di esse riuscirà mai ad avvicinare alla bocca. Eppure sono ben pasciute. «Non capisco», sbotta il sant’uomo. «È semplice» - risponde Dio -. «All’inferno gli uomini muoiono di fame perché non pensano che a se stessi. In paradiso, invece, stanno tutti in salute perché ognuno mangia dal mestolo degli altri».

Questo apologo mi ha talmente toccato il cuore che avrei voglia di dare una mestolata a Gasparri.

Massimo Gramellini
La Stampa, 21/12/2010

giovedì 23 dicembre 2010

Buozzi Bruno

Nato a Pontelagoscuro (Ferrara) il 13 gennaio 1881, ucciso dai tedeschi a La Storta (Roma) il 4 giugno 1944, dirigente sindacale socialista.
Era stato costretto a lasciare la scuola dopo le elementari e fece, da ragazzo, il meccanico aggiustatore. Quando si trasferì a Milano, trovò lavoro come operaio specializzato alle Officine Marelli e poi alla Bianchi. Nel 1905 aderì al sindacato degli operai metallurgici e al PSI, militando nella frazione riformista di Turati. Nel 1920 fu tra i promotori del movimento per l'occupazione delle fabbriche. Più volte eletto deputato socialista prima della presa del potere da parte del fascismo, Bruno Buozzi nel 1926 espatriò in Francia, dove continuò, nella Concentrazione antifascista, l'attività unitaria contro il regime di Mussolini.
Durante la guerra di Spagna, per incarico del suo partito, diresse l'opera d'organizzazione, raccolta e invio di aiuti alla Repubblica democratica attaccata dai franchisti. Alla vigilia dell'occupazione tedesca di Parigi, Buozzi si trasferì a Tours. Lo tradì il comprensibile desiderio di visitare, a Parigi, la figlia partoriente. Nel febbraio del 1941 fu, infatti, arrestato dai tedeschi nella Capitale francese. Rinchiuso dapprima nelle carceri della Santé, fu successivamente trasferito in Germania e, di qui, in Italia dove rimase per due anni al confino in provincia di Perugia.
Riacquistata la libertà alla caduta del fascismo, ai primi di agosto del 1943, Bruno Buozzi fu nominato dal governo Badoglio, insieme al comunista Giovanni Roveda e al democristiano Gioacchino Quarello, commissario alla Confederazione dei sindacati dell'industria. Durante l'occupazione nazista di Roma, Buozzi trovò ospitalità presso un amico colonnello e, quando questi dovette darsi alla macchia, cercò un altro precario rifugio, dove fu sorpreso dalla polizia.
Era il 13 aprile 1944. Fermato per accertamenti e condotto in via Tasso, i fascisti scoprirono la vera identità del sindacalista. Il CLN di Roma tentò a più riprese, ma senza successo, di organizzarne l'evasione e il 1° giugno 1944, quando gli americani erano ormai alle porte della Capitale, il nome di Bruno Buozzi fu incluso dalla polizia tedesca in un elenco di 160 prigionieri destinati ad essere evacuati da Roma. La sera del 3 giugno, con altri 12 compagni, Buozzi fu caricato su un camion tedesco, che si avviò lungo la via Cassia, ingombra di truppe in ritirata. In località La Storta, forse per la difficoltà di proseguire, l'automezzo si fermò e i prigionieri furono fatti scendere. Rinchiuso in un fienile per la notte, all'indomani il gruppo fu brutalmente sospinto in una valletta e Bruno Buozzi - sembra per ordine del capitano delle SS Erich Priebke - fu trucidato con tutti i suoi compagni.
Dopo la Liberazione, a Bruno Buozzi sono state intitolate strade e piazze a Roma e in molte altre città d'Italia. Portano il suo nome anche cooperative, associazioni sportive, scuole. Una Fondazione Bruno Buozzi, che ha tra i suoi compiti quello di incrementare gli studi sul sindacalismo, si è costituita a Roma il 24 gennaio 2003. La presiede Giorgio Benvenuto.

Link permanente alla pagina dell'Anpi: http://anpi.it/b25/
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martedì 21 dicembre 2010

Auguri

AUGURI ! Apri la tua e-card.
- clicca sul francobollo per aprire la tua e-card;
- clicca sulla palla di neve più grande;
- trascina le palle una sopra all'altra per formare un pupazzo di neve;
- clicca su una delle tre palle di neve.

Auguri!!!!

lunedì 20 dicembre 2010

L'amato leader

L’astutissima intervista in cui Bersani liquida le primarie e annuncia di volersi alleare con Fini e Casini anziché far fronte comune con Vendola e Di Pietro ha finalmente ricompattato il popolo dei democratici. Lo si evince da una passeggiata nel sito del Pd.

«Sono un ex iscritto e tra poco sarò un ex elettore» (Francesco). «Ma Fini è di destra! Come è possibile anche solo pensare a un’alleanza con lui?» (Michele). «Stasera restituisco la tessera» (Francesca). «Così non andiamo da nessuna parte, anzi sì: al suicidio» (Chiara). «Mi domando cosa avete nel cervello. Ma davvero le partorite voi queste cavolate? Andatevi a nascondere e non fatevi più rivedere!» (Gianni). «Cacchio, ma si può?» (Gian Piero). «Se succede, lascio il partito in un secondo» (Gianluca). «Bersani fa bene, sono d’accordo con lui» (Fassina, ma forse è la sorella dell’ex segretario). «Cioè, fatemi capire: dovrei scegliere alle prossime elezioni fra Fini e Berlusconi?» (Alessandro). «Dopo la fatica che abbiamo fatto a liberarci di Binetti e Rutelli, paffete che ci ritroviamo a subire i loro veti!» (Monica). «State ancora una volta riuscendo a rivitalizzare Berlusconi. Sono allibito» (Stefano). «Ero un ventenne che aveva trovato una piccola speranza. Ora lei me l’ha spenta di nuovo. Grazie, segretario» (Riccardo). «D’ora in poi come inizierà i suoi comizi? Cari democratici, cari compagni, cari camerati?» (Concita). «Grazie a tutti quelli che stanno commentando l’intervista» (Pier Luigi Bersani). «Segretario, tu ci ringrazi, ma i commenti li leggi o guardi solo le figure?» (Monica). 

Massimo Gramellini
La Stampa. 18/12/2010
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Nonni



E’ grande il cortile nei miei ricordi. Quante volte ritorno con la mente, quasi una fuga, all’età felice; felice anche allora o solo felice oggi nei miei pensieri? Era sufficiente che dalla piazza del paese, piazza, e ben lo sanno chi è vissuto o conosce il paese, che non esiste in realtà, m'inoltrassi per il passaggio fra la macelleria e il muro di cinta dei Moggi, per entrare nel cortile dove si affacciava la porta dell’abitazione dei miei nonni materni. La sera, dopo il lavoro e prima della cena, il nonno lo ricordo seduto sulla panca di fianco alla porta con i piedi immersi in una catinella d'acqua.; il suo lento lavarsi, il corpo stanco in silenzioso raccoglimento quasi a voler riassumere tutto l’accaduto della giornata. Ciao nonno!

Lavoravano duro i nonni. Ma, nei miei ricordi, l’essenziale non è mai mancato. Ho ancora nella memoria i piatti di pasta con il ragù di carne, particolarmente buono, per me. Ma non bisognava sciupare nulla: nemmeno le briciole; a fine pasto non era necessario scrollare la tovaglia dalle briciole di pane, erano già state raccolte e mangiate. Il nonno, per farmi capire il concetto, mi disse che tutte le briciole lasciate sulla tavola avrei dovuto raccoglierle con un secchio senza fondo, prima di potere andare in paradiso. A volte il secchio senza fondo era sostituito da un forcone ma il ragionamento era lo stesso.
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giovedì 16 dicembre 2010

Tumiati Francesco

Nato a Ferrara nel 1921, morto a Cantiano (Pesaro) il 17 maggio 1944, studente, Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria.
Di nota famiglia ferrarese, per seguire le orme del padre, eminente avvocato, si era iscritto alla Facoltà di Legge. Nel 1941 il giovane Tumiati decise di arruolarsi volontario. Mandato in Nordafrica, tornò in Italia nel febbraio del 1942, per seguire a Bologna un corso per allievi ufficiali. Promosso sottotenente fu assegnato al 32° Reggimento carristi. Fu sorpreso dall'armistizio mentre, con il suo reparto, si trovava a Cantiano, nella zona montana tra l'Appennino centrosettentrionale e il mare Adriatico. Il sottotenente si diede alla macchia, seguito da un gruppo di suoi carristi e ben presto divenne, con il nome di Francino, comandante del distaccamento "Pisacane" della Brigata Garibaldi "Pesaro". Per otto mesi guidò i suoi partigiani in azioni audacissime contro i nazifascisti. Nel maggio del 1944, durante un massiccio rastrellamento, Francino fu catturato dai tedeschi e sottoposto ad un processo sommario. Sollecitato a tradire i suoi compagni in cambio della propria salvezza, rifiutò ogni compromesso e fu immediatamente fucilato.
Tratto da: http://www.anpi.it/donne-e-uomini/francesco-tumiati

Francesco Tumiati, nasce a Ferrara il 25 maggio 1921.
Terzo di quattro fratelli, proviene da una famiglia borghese, colta e di tendenze liberali. Suo padre Leopoldo, noto avvocato e preside della Facoltà di Legge della locale Università, fu deputato nazional-liberale nell’ultima legislatura pre-fascista.
Al piccolo Francesco viene impartita un’educazione ispirata all’austerità ed al rigore morale.  Ironico e anticonformista, amante della letteratura, nel 1930 viene inviato a studiare nello stesso Collegio Fiorentino che già aveva ospitato il padre e gli zii.
Con la proclamazione dell’Impero nel 1936, il padre Leopoldo abbandona la sua avversione al regime, ma il giovane Francesco, pur con in tasca la tessera del partito, continua a manifestare sempre una sua propria libertà intelletuale derivante anche da una vivace intelligenza.
Partito volontario nella Seconda Guerra Mondiale, Tumiati viene inviato a combattere sul Fronte Libico e, al rientro in Patria, nel settembre 1942 presta servizio col grado di Sottotenente di Fanteria Carrista a Verona.
Dopo un travagliato periodo di riflessione, susseguito all’8 settembre 1943, matura la scelta di adesione attiva alla Resistenza.
Nella stessa famiglia, intanto, il fratello Gaetano, fatto prigioniero in Africa e prigioniero degli americani negli Stati Uniti, dopo sofferta decisione sceglie di non collaborare con gli alleati, finendo nel campo di concentramento di Hereford, in Texas.

Intanto in Italia Francesco, lascia Ferrara per unirsi ai gruppi Partigiani costituisi nell’Appennino dell’Italia centrale.
Verso la fine del 1943, con alcuni amici, tra cui un giovane seminarista, raggiunge le Marche, dove inizialmente trova una situazione di forte disorganizzazione e confusione, con gente in fuga dalle città e militari allo sbando che cercano con ogni mezzo di tornare alle proprie case.
Dopo un primo periodo di peregrinazione tra le parrocchie di Peglio e dell’Orsaiola nella zona di Urbania, lasciato in seguito dai due compagni che fanno ritorno a Ferrara, entra presto in contatto con altri giovani partigiani che andavano organizzandosi nel nascente movimento resistenziale.    
La sera spesso, visita povere famiglie contadine con cui si intrattiene a discorrere al focolare e si avvicina a quel mondo per lui nuovo con grande spirito di solidarietà.
Subito dopo il tragico bombardamento di Urbania del gennaio 1944, Tumiati accorre in città per prestare aiuto alla popolazione impegnandosi, senza badare alla fatica e al pericolo di essere arrestato come renitente, nella rimozione delle macerie, nel disseppellimento dei corpi, nell’assistenza e trasporto dei feriti.
Entrato nei nuclei che compongono la V Brigata Garibaldi, prende parte distinguendosi per il coraggio e la determinazione al combattimento del 25 marzo 1944 in cui le forze della Resistenza presso Cantiano respingono clamorosamente consistenti truppe nazifasciste impiegate in un’ampia azione di antiguerriglia.   Durante le azioni militari all’interno del suo gruppo composto da un consistente nucleo di ex-prigionieri jugoslavi tra cui il partigiano sloveno “Poldo” (Leopold Verbovsek), si distingue per valore e efficacia.  
Il suo gruppo opera con una certa autonomia all’interno della V Brigata Garibaldi, e si rende protagonista di numerose azioni, tra le quali si segnala ad esempio l’assalto alla caserma dei C.C. di Acqualagna sede anche della milizia fascista.
Presto però, Tumiati decide di riprendere stabili contatti con il comando della V Brigata Garibaldi. Il suo gruppo viene riaccolto tra le fila di quest’ultima, e aggregato al 1° Battaglione, con la denominazione di Distaccamento “Giannetto Dini”, in memoria del giovane partigiano fanese da poco fucilato.   A capo di quella formazione, da tutti conosciuto come il “comandante Francino”, partecipa all’assalto alla Caserma dei C.C. di Cagli.
Durante il rastrellamento del maggio 1944 nella zona umbro-marchigiana dell’Appennino tra Cantiano e Città di Castello, il suo distaccamento ebbe l’ordine di sganciarsi e ritrovarsi solo successivamente nella zona prevista.
Malgrado ancora fosse presente un’intensa attività nemica Tumiati decide di riprendere l’azione finendo catturato da militi della Repubblica Sociale in località San Polo nei pressi di Cantiano. Viene fucilato il 17 maggio 1944, presso il cimitero di Cantiano assieme a due partigiani jugoslavi.
L’intensa vicenda umana e civile del giovane comandante “Francesco” è narrata, anche con ricchezza di documentazione personale, nel volume scritto dal fratello Gaetano Tumiati dal titolo “Morire per vivere : vita e lettere di Francesco Tumiati Medaglia d'Oro della Resistenza”, con prefazione di Giovanni Conso, Ferrara, Corbo 1995.
 Tratto da: http://www.portalememorie.it/CMDirector.aspx?id=1245
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Neve - 16 dicembre 2010














mercoledì 15 dicembre 2010

Parto Cesario

Quanto invidio mia moglie, che riesce ad assentarsi dal telegiornale per guardare una coppia di passerotti appollaiati sulla ringhiera del balcone. Io, noto masochista, pure nel dì di festa non stacco gli occhi dal racconto della crisi, dove gli ex missini scorrono a frotte: La Russa, Gasparri, Ronchi, Urso, Matteoli, Bocchino, non se ne vedevano tanti, e tutti insieme, dalla giornata dell’oro alla Patria del 1935. Dopo la cacciata da Berlusconia, Bocchino ha chiesto asilo politico a un cameraman: lunedì litigava con La Russa a «Porta a Porta», martedì si accapigliava con Rotondi a «Ballarò» e ieri faceva jogging solitario in un boschetto di microfoni.

Fosse solo Bocchino. Poi ci sono tutti gli altri. I soliti ignoti, il cui voto non ha mai contato un tubo e ora invece può far cadere governi e sbilanciare bilanci allargando lo spread con la Germania, come ripetono minacciosi gli economisti. Così restiamo appesi, noi e lo spread, agli umori dell’onorevole Scilipoti, dipietrista apparentato con Rossella O’Hara, che «oggi la mia posizione resta quella di ieri, ma domani vedremo» e annuncia una conferenza stampa con Cesario che potrebbe partorire ribaltoni a breve, mentre Calearo aggiorna il tassametro della fiducia (da 350 mila euro in su) e Razzi ammette che le proposte sono allettanti, specie per chi ha un mutuo da pagare come lui. Confidavo nella nota rigidità dei sudtirolesi, ma il tg dice che stanno trattando l’astensione in cambio della segnaletica bilingue e allora spengo la tv con un’espressione intraducibile e mi metto a guardare i passerotti anch’io.

Massimo Gramellini
La Stampa, 9/12/2010
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mercoledì 8 dicembre 2010

Zortea di Canal San Bovo, Trento

Agosto 1950.
Ho appena terminato la prima classe delle elementari. Altri tempi, dopo aste verticali, quadrati e segnetti vari, riesco a malapena a leggere e a scrivere. Ma è un mese importante perché, data la mia salute cagionevole e la mancanza di disponibilità economiche, i miei genitori sono riusciti a mandarmi in "colonia", in montagna a Zortea di Canal San Bovo in provincia di Trento. E' la prima volta che mi allontano da casa e senz'altro i miei genitori una certa preoccupazione l'avranno avuta. Io non ricordo il mio stato d'animo, troppi anni sono passati; l'unica problema, parlando con gli amici, era come fare a nascondere il mangiare se non era di mio gusto; segno evidente della mia inappetenza. Erano due gli Enti che davano la possibilità di inviare i bambini in vacanza: il Comune e il Patronato scolastico. La guerra era appena terminata e il Comune non godeva di grandi risorse finanziare e correva voce che il trattamento era migliore nelle colonie del Patronato scolastico. Per questo mia mamma e la nonna Maria fecero di tutto per mandarmi con il Patronato e la cosa ci costò due salami cotechini per ottenere la raccomandazione necessaria. Seppi dopo tanti anni che il Governo centrale, per controbattere le colonie del Comune (giunta di sinistra), finanziava con fondi segreti il Patronato scolastico.
La mamma mi costruì uno zaino utilizzando la stoffa dei sacchetti di pasta (la pasta non era venduta in scatole di cartone come oggi). Dentro allo zaino c'era tutto quello che mi doveva servire, preparato seguendo l'elenco che ci era stato consegnato e su ogni capo di biancheria era stato applicato un numero in modo che le Signorine (vigilatrici) sapessero a quale bambino apparteneva. Partimmo di buon ora quel mattino. La nonna con lo zaino sul manubrio, la mamma con me sul sellino di legno della bicicletta. Dovevamo percorrere  quindici chilometri, la distanza che separa il nostro paese dalla città. La partenza era fissata dalle scuole dell'Alda Costa. In tram ci portarono alla stazione ferroviaria e in treno giungemmo alla Stazione di Feltre; si proseguì, poi, con un pulman che si dovette fermare nel fondovalle perché il ponte che attraversava il torrente era troppo stretto. Quindi tutti a piedi a percorrere la salita che arrivava a Zortea. Appena cercai di mettermi sulle spalle lo zaino, si ruppero le bretelle e dovetti faticare non poco a portare il peso fino a destinazione.
La "colonia" era una scuola elementare adattata allo scopo: camerate con letti a castello, il letto delle Signorine in un angolo riparato da tende, servizi igenici... non li ricordo. Al mattino, prima della colazione, tutti in fila in cortile, a lavarci ad una fontana. Tante passeggiate, gare con le cavallette alle quali avevamo tolto le ali. Prima della partenza, nelle scuole Alda Costa, fummo pesati e, prima del ritorno, ripesati per controllare se eravamo aumentati di peso durante la vacanza. Un giorno la Signorina, vedendomi seduto su un gradino della scala, assorto nella lettura della lettera ricevuta da casa volle sincerarsi se nella lettera ci fosse scritto qualcosa di non piacevole e volle leggerla. La mia mamma, fra tante altre cose, si raccomandava di andare a servite la Messa per non dimenticarmi quello che avevo imparato come chierichetto. E così fui obbligato, la domenica successiva, ad andare a servire messa: fu un disastro, non era una messa come le nostre; che figuraccia.



Zortea dove si trova ?

1950 - Zortea di Canal San Bovo (Tn) - Colonia montana del Patronato scolastico di Ferrara - Il nonno Kucco è il terzo da sinistra nella seconda fila in piedi.

Votare o non votare ?

Alcuni giorni fa ho avuto una vivace discussione con un carissimo amico se andare o meno a votare alle prossime elezioni politiche. Alla mia asserzione che l'astensionismo non risolve i problemi, il mio amico mi ha snocciolato una serie di motivi a sostegno della sua tesi e per ribadirli mi ha inviato questa mail:
" Carissimo Nonno Kucco, 
sempre più convinto della mia decisione, ti ribadisco che, probabilmente,  non andrò a votare perché:
01) - non voglio, con il mio voto, legittimare la presenza in Parlamento di persone che, in tempo di     crisi, percepiscono in un mese quello che un lavoratore, se lavora, percepisce in un anno;
02) - è vergognoso che i parlamentari si rechino allo stadio per vedere le partite di calcio con le auto blu;
03) - la sanità pubblica ha tempi di attesa lunghissimi, mentre se pago il giorno dopo posso fare l'esame ;
04) - lo Stato finanzia la scuola privata e taglia i fondi alla scuola pubblica;
05) - lo Stato ha esentato dall' I.C.I. gli edifici di proprietà della Chiesa cattolica;
06) - lo Stato destina l'8 per mille alle varie organizzazioni religiose. Che siano i loro adepti a finanziarle.
07) - lo Stato pone ostacoli alla ricerca scientifica in nome di un'etica religiosa, l'etica di uno stato laico  deve essere un'etica laica. Non dimentichiamo che in nome della religione cattolica sono stati uccisi migliaia di persone e distrutte intere civiltà;
08) - c'è ancora il segreto di stato sulle stragi;
09) - i parlamentari acquisiscono il diritto alla pensione, se non erro, dopo cinque anni;
10) - si costruiranno le centrali nucleari;

Forse non riuscirò a cambiare la tua idea ma ti prego di meditare.
Ciao"

Senza di loro

Possiamo farcela. Anche se la crisi si fa critica, l’euro è ricoverato alla neuro e Bruxelles sta per intimarci di dimezzare il debito pubblico, così la prossima volta sulla Mole con gli studenti ci saliranno i pensionati? Anche se La Russa vola sopra l’Afghanistan credendosi l’erede illetterato di D’Annunzio (chi fa la Duse, Santanchè?) e Bersani si arrampica sui tetti come lo spazzacamino di Mary Poppins, ma col sigaro in bocca che neanche Messner? Anche se alla Camera la Mussolini bacia sulla bocca l’indagato Cosentino, Bossi confessa «sono stato studente universitario anch’io» (fino a 40 anni, ci aveva preso gusto) e Berlusconi, dico Berlusconi, invita tutti a comportarsi con sobrietà? Sì, possiamo farcela e proverò a spiegarvi perché.

Tranne che ai tempi di Mussolini (infatti finì in tragedia), la politica italiana ha sempre affrontato i passaggi cruciali della storia allo stesso modo: ignorandoli. Nell’Ottocento il premier Depretis coccolava le pratiche sulla sua scrivania: «Ognuna di esse avrei dovuto deciderla entro 24 ore, se non volevo mandare in rovina l’Italia. Le 24 ore sono passate, la pratica è sempre lì e l’Italia va avanti lo stesso». Un secolo dopo, con le fabbriche bloccate e i terroristi a sparare per strada, i governi democristiani si occupavano di convergenze parallele. E mentre i politici rimuovevano i problemi, gli italiani li risolvevano inventandosi l’economia sommersa. Una cosa un po’ eroica e un po’ illegale: come tutto, qui da noi. Sì, la sfangheremo anche stavolta. Chissà in che modo e con chi. Ma sicuramente senza di loro.

Massimo Gramellini
La Stampa, 26/11/2010
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martedì 7 dicembre 2010

Le piccole fortezze private su ruote crescono

Con lungimiranza da favola pure i nostri ci si mettono.
A fabbricare suv, non le elettriche.

Quelli ai quali PZ suggeriva di cambiare nome e "mission" in Fabbrica Italiana Alternative Tecnologies


Un gustoso articoletto sul tema lo trovate su quel giornale comunista e travagliato del Fatto Quotidiano.

Copiato da: http://pztake.blogspot.com/ (un milanese.......pungente)
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lunedì 6 dicembre 2010

Punti base

I giornali e i telegiornali parlano di punti base.
Chi sa che sono?
Oggi sono 215 più dei Bund (chi sa che sono?)

Oh bella, il debito (30000€ a testa per abitante sul suolo italico) pubblico per rifinanziarsi paga in btp a 10 anni il 4,8%.
Il debito pubblico sale da sempre (con una piccola parentesi quando era al governo Prodi).
Se PZ non erra da quando ci sta questo governo (2 anni) di 400miliardi.
Una buona parte del rifinanziamento va a pagare gli interessi sul debito. Gli altri in auto blu, stipendi dei gerenti, scorte, attrito burocratico ed altre amenità, tipo la creazione dalla società del ponte sullo stretto o qualche mancia per l'Expoinutile™.
Senza contare gli "interventi" della protezione civile.

La Germania paga 2,6%.
Poco più della metà.
Che vuol dire che la Germania, reduce dall' assorbimento di uno stato comunista e salvataggio di banche più "creative" di quelle italiche (21000€ di debito pro capite) paga meno su un debito pubblico inferiore (3400 contro 3600miliardi di miliardi di vecchie lire, come direbbe fede) mentre pantalone paga il doppio su un importo maggiore.
Ogni pantalone fa 1400€ a testa (vedi sopra) solo di interessi per anno e senza rimborsare una lira pardon €.

Domanda ulteriore: Se foste una banca o anche un angel investor a uno come pantalone gli prestereste una lira, pardon €?

PS: punto base=1/100 di un percento 

Copiato da: http://pztake.blogspot.com/ (un milanese....pungente)
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