martedì 11 agosto 2020

DE STEFANI ALBERTO


Verona - 6 ottobre 1879

Roma 15 gennaio 1969

Nel 1921 entrò nella politica militante, aderendo al movimento fascista e partecipando alle azioni squadriste di Fiume, Genova, Trento. Presentatosi alle elezioni politiche nel collegio elettorale Verona-Vicenza, risultò l'unico eletto in tutto il territorio nazionale di una lista esclusivamente fascista, finendo per assurgere in tempi rapidissimi a figura di primissimo piano del nuovo partito, e assumendone il ruolo di economista ufficiale dopo aver scalzato personalità certo meno forti della sua quali quelle di E. Rocca e A. Lanzillo. Gli articoli economici di sapore neomanchesteriano che proprio in quella veste venne poi scrivendo sul Popolod'Italia rivestirono un ruolo tutt'altro che secondario per l'apertura di una breccia nel muro di diffidenza che il demagogismo "follaiolo" del fascismo della prima ora aveva visto erigere contro di sé da parte del mondo industriale.

L'aspetto più cruciale della sua proposta finiva per essere la rifondazione dell'assetto sociale secondo valori religiosi; e l'istituzione Chiesa, chiamata ad una politica dichiaratamente ierocratica, finiva per essere la destinataria di questo appello. Le conseguenze erano duplici: da un lato, una volta verificata l'impossibilità di scaricare sulla sfera politica tutte le difficoltà di una economia non riformata, le si negava per intero qualunque effettualità, essendo essa rimasta intrappolata in una visione positivista, scientista ed edonista che la rendeva ormai palesemente inetta a rimuovere gli ostacoli che le si paravano dinanzi sul percorso. Dall'altra si riaffermava una visione organicista e neogiobertiana dello Stato e si evocava la rinascita dello Stato cattolico, compiendo al contempo un ulteriore passo verso la definitiva rottura con il regime. In questo senso il voto favorevole all'ordine del giorno Grandi nella seduta del Gran Consiglio del 25 luglio 1943 non fu altro che l'ultimo, conclusivo atto di una crisi cominciata molto addietro.

Dopo la caduta di Mussolini ed il collasso del regime fascista, il D. si rifugiò in un monastero di Roma (dall'inizio del 1944 al luglio del 1947) per sfuggire prima alla esecuzione capitale cui era stato condannato per tradimento dal tribunale di Verona della Repubblica sociale italiana, poi per proteggere ancora la sua contumacia nell'Italia repubblicana davanti alla Alta Corte, che lo assolse. Furono questi gli anni del misticismo e della vena pittorica e letteraria. Scrisse i Racconti del risveglio e in successive stesure, a partire dal 1942, il più importante Fuga dal tempo (Perugia 1948; Bologna 1959), romanzo pieno di reminiscenze orientaleggianti, traboccante immagini bucoliche e consolatorie, libro che ebbe un non indifferente successo di critica e di pubblico.

Il 15 giugno del 1948 venne riabilitato all'insegnamento universitario che lasciò nel novembre dell'anno successivo per raggiunti limiti d'età, pur conservando l'incarico di direttore dell'istituto fino all'anno accademico 1953-54, anno in cui la facoltà gli conferì il titolo di professore emerito. Seppur ritirato dalla politica attiva, fu ancora ascoltato consigliere del nuovo personale politico democristiano che additò ad esempio i risultati da lui raggiunti in campo finanziario nel primo dopoguerra (e su quelle posizioni liberiste egli stesso tornò lasciando completamente alle spalle i trascorsi furori corporativi).

Nel 1953 aderì assieme a Bottai alla costituenda Associazione nazionale combattenti d'Italia che si sciolse nel 1958. Dal 1948 al 1955 collaborò quale notista economico a Il Tempo, dal 1956 al 1959 al Giornale d'Italia, e poi di nuovo a Il Tempo dal 1960 fino alla morte.



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