lunedì 12 febbraio 2018

DIALETTO FERRARESE

ITALIANO E DIALETTO - Dialetto ferrarese


Il termine “dialetto” rispecchiava il «linguaggio che adopera la madre, il babbo e voi stessi quando parlate e quello che adopero io stesso in questo momento nel farvi lezione».
Così scriveva il professor Carlo Azzi, insegnante del ginnasio di Ferrara, autore di un manuale di «esercizi preparatori alla lettura» per la scuola elementare stampato a Ferrara nel 1860, poco tempo dopo l’unità nazionale, dalla Regia Tipografia Bresciani. 
Come in tutta la Penisola, in quegli anni a Ferrara si parlava, anche a scuola, prevalentemente il dialetto, così Azzi assecondò la necessità di uno strumento adatto a far apprendere «una specie di dialetto comune che si chiama lingua nazionale», una sorta di vocabolario “bilingue” con esercizi pratici da eseguire in dialetto. Ma non tutti parlavano il “nostro” dialetto, avvertiva l’insegnante: era sufficiente spostarsi poco lontano, per esempio «alla fiera di un paese distante venti miglia», per ascoltare una parlata diversa.

I dialetti del Ferrarese, appartenenti al gruppo gallo-italico e classificati come “emiliano-orientali”, si suddividono infatti in quattro varianti: 
- il ferrarese di città e dell’area costeggiante il Po di Volano comprendente Denore, Final di Rero, Migliarino, Ostellato, Migliaro e, in parte, Codigoro; 
- i dialetti rivieraschi orientali parlati a Ro, Guarda, Alberone, Cologna, Berra, Serravalle; 
- i dialetti meridionali, a sud di una immaginaria linea che unisce Bondeno, Mirabello, Masi Torello, Voghenza, Gambulaga, Sandolo, Santa Maria Codifiume e, in parte, Argenta; 
- il dialetto comacchiese, parlato a Comacchio e da Porto Garibaldi a Mesola. 
Le prime due varietà citate hanno i caratteri linguistici più originali relativamente alla semplicità vocalica, che risente dell’influsso delle parlate polesane e transpadane.

Il ferrarese e l’italiano si alternavano nella pubblicistica d’epoca, dove storielle, proverbi, barzellette, canzoni, satire sul vivere quotidiano erano proposte in dialetto. 
Ne sono esempi: Chichett da Frara (1826-1849) del conte Francesco Aventi, “lunario” di “ciarle ferraresi” con dialoghi e indovinelli, poi ripreso (1882-1907) appoggiando, con scritti in dialetto, opinioni politiche progressiste; I ptagulò d’ Frara (1849-1854) di Ippolito Andreasi, di tendenza moderatamente repubblicana; Minghet (1851-1853) di Francesco Barbi Cinti; La rana (1865-1872) e Al ranocc’ (1868-1870) di Romualdo Ghirlanda; L’usél grifòn (1894), L’omnibus (1900-1901), Al campanòn dal Dòm, di stampo umoristico, e così via.

Nello stesso tempo fiorivano testi e vocabolari. Tra i primi sono da ricordare traduzioni della parabola del figliol prodigo in ferrarese (Francesco Aventi) e in comacchiese (anonima) comprese nel Saggio sui dialetti gallo-italici (Milano, 1853) di Bernardino Biondelli che per primo studiò questi linguaggi, come pure versioni di una novella del Decameron di Boccaccio (giornata prima, novella IX) nelle parlate locali di Cento, Codigoro, Ferrara e nel “dialetto plateale” di Comacchio inserite ne I parlari italiani in Certaldo (Livorno, 1875) di Giovanni Papanti.
Tra i vocabolari, uno dei primi fu il Vocabolario portatile di Francesco Nannini (Ferrara, 1805) rivolto «ad ogni classe di persone» compresi i letterati, spesso in difficoltà nell’esprimere in un buon italiano «certe voci e frasi del paese»; ancora Carlo Azzi con il Vocabolario domestico ferrarese-italiano (Ferrara, 1857); il Vocabolario ferrarese-italiano (Ferrara, 1889) di Luigi Ferri.
Da ricordare, infine, che accanto al dialetto (lingua parlata quotidianamente da tutti) e al gergo (linguaggio in codice usato da alcuni gruppi sociali per non essere compresi da altri) nelle strade del ghetto la comunità ebraica utilizzava la parlata giudaico-ferrarese, con proprie specificità.

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